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Intervento all’incontro con il Presidente della Repubblica

Intervento all’incontro con il Presidente della Repubblica
Palermo, Giardino della memoria, 15 giugno 2007

Signor Presidente,

l’albero che viene piantato oggi alla Sua presenza nel giardino della memoria in un terreno confiscato alla mafia è un altro passo, certo tra i più significativi, sul percorso sempre più lungo che sta diventando la memoria di Peppino Impastato. Ormai lo dicono tutti: Peppino Impastato è stato assassinato dai mafiosi che non tolleravano il suo impegno di analisi, di denuncia, di mobilitazione e consideravano la sua irrisione un atto di lesa maestà, tanto più grave poiché Peppino veniva da una famiglia mafiosa ed era il nipote del capomafia. Se la memoria di Peppino è stata salvata, se siamo riusciti a smantellare la montatura che lo voleva terrorista e suicida, avallata da rappresentanti delle forze dell’ordine e delle istituzioni, e ad ottenere giustizia, questo è il frutto di un impegno ventennale che ha avuto come protagonisti la madre Felicia, il fratello Giovanni, la cognata Felicetta, i compagni di militanza, noi del Centro siciliano di documentazione di Palermo. Non è stato facile e per lungo tempo siamo stati costretti a remare controcorrente, in pochi e isolati. Ci hanno aiutato organi di stampa come “Lotta continua” e il “Quotidiano dei lavoratori” che hanno ben presto chiuso le pubblicazioni, i dirigenti di Democrazia proletaria e nel palazzo di giustizia abbiamo trovato alcuni magistrati che hanno accolto la nostra richiesta di verità e giustizia, sollecitata incessantemente. Voglio ricordarli, anche perché più d’uno è caduto per mano mafiosa: Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, Renato Grillo, Franca Imbergamo.
La nostra lunga battaglia è arrivata a compimento, con le sentenze che dopo più di vent’anni hanno condannato Gaetano Badalamenti e il suo vice come mandanti dell’assassinio. E un altro risultato siamo riusciti ad ottenere: la Commissione parlamentare antimafia nel 2000 ha approvato una relazione in cui si dice esplicitamente che uomini delle istituzioni hanno depistato le indagini e oggettivamente coperto i mafiosi. Abbiamo fatto pubblicare la relazione in un volume con il titolo Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio. È la prima volta che una sede istituzionale come una Commissione bicamerale riconosce la responsabilità di rappresentanti delle istituzioni e quando i rappresentanti della Commissione sono venuti a Cinisi a presentare la relazione in casa Impastato hanno chiesto scusa ai familiari. E la madre di Peppino, già avanti negli anni, ha detto nel suo dialetto che era una sorta di lingua universale: “Aviti risuscitatu me figghiu”. Voglio ricordare mamma Felicia, che ci ha lasciato nel dicembre del 2004. Una donna che ha saputo rompere con la parentela del marito, ha rinunciato alla vendetta mafiosa e ha chiesto giustizia, è diventata un punto di riferimento e una figura familiare per tanti e per molti anni, con l’implacabilità delle sue accuse, il dito puntato contro Badalamenti nell’aula bunker, la lucidità della sua intelligenza e la sapidità della sua ironia, la sua lezione morale di casalinga-militante che l’ha fatta sorella delle donne protagoniste delle lotte contadine, dai Fasci siciliani agli anni ’50, di Margherita Clèsceri, madre di sei figli caduta a Portella della Ginestra, di Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, che non riuscì ad avere giustizia per l’assassinio del figlio.
Per troppo tempo l’impunità è stata una forma di legittimazione della violenza mafiosa, che è stata impiegata per sconfiggere ogni forma di opposizione e vanificare ogni possibilità di alternativa, nella certezza dell’impunità. Una violenza troppo spesso per il potere e con il potere. Senza giustizia sono rimasti i 108 morti dei Fasci siciliani, le decine di uccisi delle lotte contadine e operaie successive, da Lorenzo Panepinto a Bernardino Verro, da Nicolò Alongi a Giovanni Orcel, da Accursio Miraglia a Epifanio Li Puma, a Nicolò Azoti e a tanti altri di cui si ignora perfino il nome. E per la strage di Portella sono rimasti impuniti i mandanti. Anche per eventi tragici più recenti, come le stragi, non solo mafiose, che hanno insanguinato il nostro Paese, o non si è fatta giustizia o si è fatta solo parzialmente. È questa la ragione che mi ha spinto a scrivere, nell’introduzione al volume con la relazione sul caso Impastato, nella prima edizione e nella ristampa, che questa dovrebbe essere “il primo capitolo di una storia dell’impunità”, che rimane tutta da scrivere. Purtroppo siamo rimasti fermi a quel primo capitolo.
Una democrazia non può dirsi compiuta se tra verità storica e verità giudiziaria e ufficiale rimane una gigantesca disparità. Comprendiamo che la giustizia richiede prove che per una serie di ragioni non si riesce a raggiungere, ma un’istituzione come la Commissione antimafia potrebbe, e dovrebbe, assumersi questo ruolo di ricostruire verità scomode e spalancare l’armadio degli scheletri e delle vergogne. Le chiediamo di far sentire la Sua voce perché la verità si faccia strada, sempre e comunque, perché senza verità non ci può essere convivenza civile e democrazia piena.
Su un altro terreno chiediamo il Suo intervento. Troppe volte le iniziative antimafia hanno avuto e hanno il limite della precarietà e dell’evento isolato. Per questo il Centro Impastato ha proposto la creazione di un Memoriale-laboratorio che sia insieme percorso storico, itinerario didattico, biblioteca e archivio, laboratorio di iniziative, spazio di socializzazione, casa delle associazioni. Per realizzare questa iniziativa occorre il contributo di tutti e occorrono risorse che il Centro, che è autofinanziato, è lontano dall’avere. Le chiediamo di aiutarci a realizzare questa struttura indispensabile per un progetto di antimafia continuativo ed efficace, nelle forme che riterrà più consone e adeguate.
Un altro punto ci preme sottolineare. Il Centro opera da trent’anni, nella ricerca, nelle scuole, a sostegno delle esperienze che animano il territorio, come le lotte per la pace e dei senzacasa, ed è autofinanziato perché non siamo riusciti ad ottenere delle norme che stabiliscano dei criteri oggettivi per l’erogazione del denaro pubblico per iniziative culturali e antimafia. Il problema dei finanziamenti pubblici è sempre delicato, lo è ancora di più quando si tratta di iniziative che si propongono di lottare la mafia e ogni forma di clientelismo, grembo ospitale per il germe mafioso. La Sua voce potrebbe dare una spinta decisiva per un’inversione di rotta.
Con questi propositi Le rivolgiamo il nostro benvenuto in terra di Sicilia, ieri come oggi impegnata in una lunga e difficile lotta di resistenza e di liberazione che riguarda l’intero Paese. La strada è già tracciata. L’attività nelle scuole ha assunto sempre di più caratteri e dimensioni di alfabetizzazione civile, ma la legalità non può essere una buccia vuota, deve sostanziarsi di valori democratici. Il movimento antiracket segna l’avvio di una lotta di liberazione, cominciata da Libero Grassi e ripresa da Addiopizzo, che va estesa a tutto il territorio nazionale dove gruppi criminali praticano l’estorsione come forma primaria di sperimentazione della signoria territoriale. L’uso sociale dei beni confiscati scandisce i primi passi di un’appropriazione dei patrimoni mafiosi ma i beni sono ancora troppo pochi e per la loro assegnazione passa troppo tempo e rimane inesplorato l’immenso patrimonio finanziario. Occorre una normativa non legata all’emergenza delittuosa, capace di seguire e prevenire l’evoluzione delle mafie, di cogliere e perseguire le articolazioni del loro sistema di rapporti, la formazione di borghesie mafiose, e un progetto di antimafia sociale che leghi insieme l’uso razionale delle risorse e la partecipazione democratica, nel contesto di una politica rinnovata, sottraendo il voto al ricatto del bisogno e spezzando ogni legame con le mafie e con il malaffare, disponendo, tra l’altro, l’incandidabilità di chi è stato condannato e la sospensione di chi è rinviato a giudizio per reati incompatibili con l’esercizio di funzioni pubbliche.

Signor Presidente,

a nome dei familiari e dei compagni di Peppino Impastato, dei soci e degli amici del Centro a lui intitolato, grazie per la Sua presenza oggi e per la vigile attenzione che caratterizza l’adempimento del Suo mandato, a cominciare dalla costante denuncia delle morti sul lavoro, una vergogna nazionale da cancellare al più presto, garantendo a tutti i cittadini pienezza di diritti e pari dignità sociale, in attuazione dei principi fondamentali della Costituzione.

Mi è gradito donare a Lei e alla Signora Clio alcune pubblicazioni del Centro che raccolgono parole e immagini di Peppino e di Felicia.

Umberto Santino
Presidente del Centro siciliano di documentazione”Giuseppe Impastato”