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Appunti a proposito di libertà di informazione in terra di mafia

Umberto Santino

Appunti a proposito di libertà di informazione in terra di mafia

Non ha senso parlare solo dell’informazione in Sicilia, delle esperienze positive e negative consumatesi nell’isola, degli otto giornalisti uccisi dalla mafia (voglio ricordarli: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano), della Radio dei poveri Cristi di Danilo Dolci durata appena un giorno, di Radio Aut e di Tele Jato ecc. ecc. Lo sguardo va necessariamente allargato sul piano nazionale e per non sfondare porte aperte, più che riferirmi alle grandi testate, più o meno inginocchiate davanti al potere democristiano prima e berlusconiano dopo, mi riferirò alla stampa di sinistra da cui era e sarebbe lecito attendersi qualcosa di più e di diverso.


Un po’ di storia

Cominciamo dall’assassinio di Peppino: 9 maggio 1978, il Centro siciliano di documentazione c’era già dall’anno prima. La stampa che allora definimmo “di regime” scrisse che Peppino era un terrorista e un suicida. Solo il “Quotidiano dei lavoratori” (tra gli altri Pino Ferraris, che non era un giornalista) e “Lotta continua” ci diedero una mano per smontare la montatura imbastita da carabinieri e magistrati. Ma della redazione di “Lotta continua” nessuno venne in Sicilia. Non venne il direttore Enrico Deaglio, non vennero i vecchi compagni di Peppino, come Mauro Rostagno, a cui Peppino era legatissimo. Ho visto per l’ultima volta Mauro tre mesi prima che l’uccidessero e gli ho accennato a Peppino. Ho capito che il discorso lo infastidiva e ho preferito non insistere.
“Il manifesto” diede la notizia in modo incredibile. G. R. (Gianni Riotta), che successivamente sarebbe asceso ai fasti del “Corriere”, dell’editoria e della televisione (dove si dice che come direttore del Tg1 abbia archiviato il “panino”: la rivoluzione che tutti auspicavamo!), scrisse una noticina striminzita: polizia e carabinieri parlano di attentato, i compagni dicono: “È stata la mafia”. Tutto qui. La notizia non sarebbe stata ripresa e l’anno dopo quando preparavamo la manifestazione nazionale contro la mafia, la prima della storia d’Italia, “il manifesto” non dedicò neppure una riga. Il giornale ha avuto il ruolo che sappiamo su tantissimi temi e abbiamo seguito con trepidazione quanto è successo a Giuliana Sgrena che ho conosciuto ai tempi di Comiso nei primi anni ’80, e a Nicola Calipari, caduto nella guerra infinita che insanguina l’Iraq, ma su mafia, Sicilia e Mezzogiorno “il manifesto” ha sempre scritto poco e male. Bisognerà aspettare molti anni per trovare qualche pezzo di Guido Ruotolo sulla vicenda processuale che faticosamente cercavamo di portare avanti assieme ai familiari e ai compagni di Peppino.
A livello politico gli unici che ci aiutavano erano i compagni di Democrazia Proletaria, Giovanni Russo Spena, da allora fino alla relazione della Commissione antimafia sul “caso Impastato” (dopo si è eclissato assieme a tutti i “rifondati”, che evidentemente preferiscono altri interlocutori, in nome di un movimentismo senza strategia e dell’uso alternativo dello sfintere) e per un po’ di tempo Silvano Miniati e Guido Pollice che mi affidò il compito di scrivere gran parte della relazione di minoranza della Commissione antimafia del 1985.
Ma torniamo alla stampa o più in generale all’informazione. 1979, l’anno dell’uccisione di Mario Francese, Boris Giuliano, Cesare Terranova e Lenin Mancuso. A Palermo, sotto i portici di piazzale Ungheria il Centro espone una mostra fotografica, con fotografie di Letizia Battaglia, Franco Zecchin e altri. Passa Joe Marrazzo, il notissimo giornalista televisivo. Ci chiede di poter riprendere la mostra e intervista le persone che la guardano. Intervista Letizia Battaglia e me. Ci chiede di portare la mostra a Corleone e fa parecchie interviste. Viene fuori un servizio interessante, ma dell’intervista a Letizia viene trasmessa una battutina sulla paura, non c’è traccia della mia, in cui parlavo del lavoro del Centro, che aveva già fatto il convegno nazionale “Portella della Ginestra: una strage per il centrismo”, in cui per primi e poi per anni da soli sostenevamo la valenza strategica della strage, mentre la storiografia ufficiale parlava della violenza come espressione della crisi e dell’isolamento del blocco agrario, che invece si apprestava a vincere mentre avrebbero perso il movimento contadino e le sinistre. Il Centro aveva promosso nel maggio del ’79, primo anniversario dell’uccisione di Peppino, la manifestazione nazionale contro la mafia, ma evidentemente queste informazioni “non fanno notizia”. Scrivo una lettera di protesta: ci avete presentati come portatori di pannelli, ma la cosa si ferma lì.
“Samarcanda”, la notissima trasmissione di Santoro, non ha mai dedicato un secondo al Centro mentre sono state dedicate ore di trasmissione a Leoluca Orlando e ai suoi amici, tra cui c’erano Carmine Mancuso passato dopo qualche tempo a Forza Italia, e Padre Pintacuda, che allora sosteneva che il “sospetto è l’anticamera della verità”, successivamente passato nei dintorni di Forza Italia. Quando è stato ucciso Libero Grassi (1991) pensavamo che ci si desse qualche spazio: assieme ai Verdi avevamo organizzato l’unica iniziativa pubblica per sostenerlo (un’assemblea nella sala delle lapidi: eravamo solo in trenta, vistosamente assenti i devoti di Orlando) ma i redattori della trasmissione non lo sapevano.
12 marzo 1992: uccidono Salvo Lima. Su Lima avevamo redatto due dossier, uno presentato prima a Roma e poi a Strasburgo nel 1984, con l’allora giovanissimo Claudio Fava de “I siciliani”, una rivista che costituisce una delle pagine più significative del giornalismo d’inchiesta non solo in Sicilia ma in Italia (a proposito: i libri di Giuseppe Fava sono da tempo introvabili. Bisognerebbe fare una nuova edizione di tutte le sue opere). Il secondo dossier su Lima fu presentato a Roma da Giovanni Russo Spena e da me nel 1989. Lima aveva risposto per iscritto al primo dossier, un caso unico e debbo dire che la risposta era molto civile. Subito dopo l’assassinio di Lima “Samarcanda” va in onda da Palermo al Foro Italico, mi invitano ad andare, vado con i due dossier, parlo con Mannoni, non sapeva nulla dei dossier ma mi dice che mi darà la parola, attendo invano per due o tre ore e tolgo il disturbo, anche perché dalla folla dei presenti si levava un applauso, sciagurato, alla morte di Lima.
Febbraio 1995. Dalla piazza di Terrasini va in onda “Tempo reale”. Tutto il tempo è dedicato al sindaco Manlio Mele che accusava, assieme ad Orlando, il maresciallo Lombardo, suicida da lì a poco. Nelle vicinanze della piazza c’era la sede di Radio Aut. Nessuno parla di Peppino Impastato e dei suoi compagni. Neppure quando uno dalla piazza grida: “Qui non è stato ucciso nessuno”. I giornalisti del giro santoriano evidentemente non sapevano chi era Peppino Impastato. Anche loro per saperne qualcosa dovranno attendere il film, che ne darà un’icona da Peter Pan di provincia.
Sulla Rete tre, ai tempi di Sandro Curzi, per qualche anno c’è stato “Telefono giallo” di Corrado Augias. Un giornalista si presenta al Centro e ci chiede di collaborare a una puntata su Peppino Impastato. Collaboriamo, ma poi il giornalista ci comunica che la trasmissione su Impastato non ci sarà.
Alla Rai, dopo il film su Peppino ci sono state parecchie interviste a Felicia e a Giovanni ma come Centro non abbiamo avuto molta fortuna, né prima né dopo. Qualche esempio. Trasmissione di Minoli (non ricordo come si chiamava). Viene al Centro la De Palma, una giornalista bravissima, purtroppo morta prematuramente, che ci dedica più di due ore di registrazione per un’intervista a 360 gradi: su Lima, sui Salvo ecc. ecc. Poi ci telefona, mortificatissima, dicendo che Minoli non trasmetterà nulla. Va in onda Nicola Tranfaglia che ha curato un libro in cui su Lima scrive Vasile che, da buon ex pci, ignora i nostri dossier e il voto dell’allora eurodeputato comunista De Pasquale contro la mozione presentata da Emilio Molinari sui rapporti di Lima con la mafia.
“Elmo di Scipio” di Deaglio. Vengono al Centro due giornaliste giovanissime. Quasi tre ore di registrazione. Trasmettono solo una battutina di Anna davanti all’albero Falcone. Riprendono gli attori che recitano i versi del mio Ricordati di ricordare, senza dire di chi è. Su Impastato, sulla relazione della Commissione parlamentare sul depistaggio delle indagini, costituitasi su nostra proposta e ai cui lavori abbiamo dato un contributo decisivo, parlano altri che non hanno avuto nessun ruolo, ma evidentemente sono più “telegenici”.
“Primo piano”. Va in onda uno speciale dopo la proiezione de “I cento passi”. Roberto Scardova è venuto al Centro, mi ha intervistato, gli abbiamo dato il recapito di Felicia. Telefona che della mia intervista non sarà trasmesso neppure un secondo, perché si deve dare la parola a Gigi Lo Cascio, l’attore che interpretava Peppino, e sulla relazione della Commissione antimafia, che senza il Centro non si sarebbe mai fatta, debbono parlare in tandem Beppe Lumia e Russo Spena.
Da qualche tempo chiediamo alla Rai di fare un video su Peppino e sul dopo, che rimane quasi sconosciuto (il film si ferma al funerale), ma finora non si è potuto realizzare.
È andata e va meglio con altre televisioni, dalla Spagna alla Finlandia agli Stati Uniti all’Olanda e alla Svizzera, che spesso ci mandano le cassette: una forma di emigrazione mediatica che ci porta a pensare che non sarebbe una cattiva idea togliere le tende dal paesetto Italia.


Sull’Ordine dei giornalisti e su Magistratura Democratica

Nel novembre del 1997 l’Ordine dei giornalisti ha iscritto Peppino nell’elenco dei giornalisti professionisti e in seguito alle condanne di Claudio Riolo e mia per diffamazione a mezzo stampa in seguito alle citazioni in giudizio civile di Francesco Musotto e Calogero Mannino abbiamo organizzato delle iniziative di dibattito e riflessione. Nel dicembre 2003 abbiamo parlato di “Libertà di critica, libertà di ricerca”, in un seminario nazionale organizzato assieme alla Facoltà di Lettere, all’associazione Articolo 21, a Libera e a Magistratura Democratica. Abbiamo parlato dei disegni di legge in discussione, che non promettono nulla di buono. Gli atti del convegno sono stati raccolti in volume, ma le nostre proposte (per esempio, togliere la competenza su temi come questi alla giurisdizione civile e penale e attribuirla a un giurì d’onore; prevedere come sanzione la replica, la correzione, l’integrazione, non la pena pecuniaria che riduce l’onorabilità delle persone a un genere da supermercato) non hanno avuto seguito.

Una parentesi sui nostri rapporti con Magistratura Democratica. Ottimi nei primi anni, con la nostra partecipazione al convegno nazionale del 1980 (i relatori mi chiesero di utilizzare miei scritti senza citarmi, perché temevano un’eccessiva politicizzazione, dopo qualcuno di loro ha lasciato la toga per la politica) e a un seminario nazionale del 1982, inesistenti per circa vent’anni (era il periodo in cui l’ipergarantismo, dettato dalla diffidenza per un’estensione alla mafia del “teorema Calogero” elaborato per i terroristi, in Md era alle stelle), ripresi negli ultimi anni, con i convegni nazionali del 2001 e del 2005. Dopo l’infatuazione per Arlacchi e le sue teorie sulla mafia inesistente come realtà organizzata (per convincersi dell’esistenza della mafia strutturata doveva attendere le dichiarazioni di Calderone), sulla mafia tradizionale in competizione per l’onore e la mafia imprenditrice che scopre la competizione per la ricchezza solo negli anni ’70, che sono delle emerite sciocchezze (ma nel volume che raccoglieva gli atti del seminario del 1982 l’opera arlacchiana veniva definita “essenziale per la comprensione del fenomeno mafioso” e Giuseppe Borré nell’introduzione faceva continui riferimenti all’Arlacchi e ignorava completamente la mia relazione, che ho riletto in questi giorni e sembra scritta oggi), le mie analisi sulla mafia come realtà complessa, come soggetto politico, sul blocco sociale egemonizzato dalla borghesia mafiosa sembrerebbero entrate in circolo, ma mi pare che si stia facendo strada un’altra infatuazione a base di Supermafia planetaria e onnipotente e di “voglia di mafia”, espressione prescientifica che lascerei al linguaggio popolare per designare i desideri alimentari delle donne incinte.
Nel convegno su “Mafia e potere” del 18 e 19 febbraio 2005, conclusosi con ovazioni a Orlando anche da parte di magistrati che evidentemente hanno dimenticato i suoi attacchi a Falcone, si è discusso dell’esito del processo ad Andreotti. Rimango del mio avviso: il processo ha avuto una conclusione in piena coerenza con il “barcamenismo” italico. Si parla di reato commesso fino al 1980, con una prescrizione calcolata al minuto secondo e un’assoluzione per insufficienza di prove per gli anni successivi che non poteva non avallare la canonizzazione di Andreotti, già avviata ad opera dello stesso Santo Padre con l’abbraccio in occasione della santificazione di Padre Pio, che è il massimo che la Chiesa possa offrire, se nella classifica della devozione il frate con le stimmate ha battuto tutti, compreso Gesù Cristo. Il rapporto di Andreotti con Salvo Lima, e quindi indirettamente con la mafia, è documentato fino alla morte di quest’ultimo: non sarà stato rilevante penalmente ma resta gravissimo sul piano etico-politico. Comunque, insistere sulle colpe di Andreotti ormai mi pare in ritardo con la storia. Sulla scena ci sono ben altri personaggi che si ritengono al di sopra e al di fuori della giustizia e che sono un pericolo per la democrazia. Ma la vulgata vuole che bisogna stare attenti a non demonizzare troppo, altrimenti Berlusconi diventa invincibile…


Sulle riviste

Qualche parola sulle riviste teoriche della sinistra, anche se hanno una scarsissima diffusione. Sulle pagine di “Marx 101” le mie riflessioni su mafia e dintorni hanno avuto un certo spazio, e anche su “AltrEuropa” e su “Alternative”, di cui scrissi l’editoriale programmatico del primo numero. Poi è successo qualcosa. Un mio pezzo per una progettata rubrica di “AltrEuropa”, in cui esprimevo la mia contrarietà all’abolizione dell’ergastolo per stragisti e mafiosi, è stato censurato. La rubrica non è nata e ho invitato i compagni della redazione a fare una letterina a Fidel Castro per chiedergli l’abolizione della pena di morte a Cuba, dove Fidel l’ha applicata anche ad avversari politici come Ochoa, condannato a morte per un traffico di droga in cui era coinvolto pure il fratello del dittatore, ovviamente scagionato. Proposta non accolta e fine dei rapporti. Per la nuova serie di “Alternative” mi sono visto retrocesso dal comitato di redazione al comitato scientifico, che per tutte le riviste è solo un elenco di nomi, più o meno prestigiosi, che non contano nulla per la linea della rivista. Per la serie attuale di “Alternative” non mi hanno neppure informato. Lo stalinismo è un vizio duro a morire anche per chi si professa convertito alla nonviolenza.
Sulla “Rivista del Manifesto” nel settembre 2001 ho scritto un pezzo sulle elezioni regionali, ponendo alcuni problemi sulla sinistra in Sicilia, in crisi dagli anni ’50 (la prima e ultima vittoria delle sinistre alla elezioni regionali è del 20 aprile 1947, dieci giorni prima della strage di Portella della Ginestra). La rivista doveva aprire un dibattito. C’è stato solo un intervento di Forgione che ha ignorato totalmente il mio articolo. In seguito la rivista ha chiuso le pubblicazioni.
In Sicilia, tra le riviste che hanno avuto un ruolo positivo vanno ricordate “CxU”, chiusa ormai da tempo, “Città d’utopia” (la redazione di Palermo era costituita dal Centro) che dopo dieci anni di ottimo lavoro ha anch’essa cessato le pubblicazioni, mentre ormai da più di trent’anni si pubblica “Segno”, con cui abbiamo avuto per anni ottimi rapporti purtroppo interrotti quando infuriava l’orlandismo con il suo carico di bigottismi. La mia proposta di aprire un dibattito sul ruolo di Orlando è stata respinta, con la giustificazione che bisognava “fare quadrato” e “non rompere il fronte”. Poi è accaduto quello che avevo puntualmente previsto: alle elezioni comunale del 1990 Orlando, capolista con al numero 2 Di Benedetto, legato a Lima, ha portato al massimo storico la Dc e dimezzatogli alleati di centrosinistra. Ma da allora non c’è stato nessun rapporto con i redattori della rivista. A Messina da più di dieci anni si pubblica il settimanale “Centonove”, impegnato in un’attività di informazione e di inchiesta in un contesto difficile.
A livello nazionale c’è “Narcomafie”, con cui collaboriamo fin dal primo numero. Una rivista che bisognerebbe diffondere meglio e fare conoscere di più, ma le mie proposte, come componente del comitato scientifico, di fare delle presentazioni, costituire delle redazioni locali, non trovano grande accoglienza. La rivista è legata a Libera e qui bisognerebbe aprire un discorso su di essa, sul difficile rapporto mio e del Centro Impastato con Libera nazionale che mi ha portato nel 2005 alle dimissioni, su vicende recenti che hanno portato allo scioglimento di Libera Palermo, ma in questa sede bastano questi accenni.
Negli ultimi mesi abbiamo avviato un rapporto con alcune pubblicazioni dell’area nonviolenta, con la costituzione di un gruppo di studio su nonviolenza, mafia e antimafia, che ha organizzato un convegno nazionale nel maggio 2005.


Ultime notizie

Tra le ultime notizie ci sono le mie dimissioni da consulente della Commissione parlamentare antimafia, del febbraio 2005. A livello nazionale, brevi su “l’Unità” e sul “Manifesto”, nulla su “Liberazione”. Sia chiaro: il presidente della Commissione Centaro faceva il suo mestiere e tra i suoi compiti c’era quello di “dimostrare” che la mafia è solo un fenomeno criminale e che il rapporto mafia politica è un’invenzione delle “toghe rosse”. A tal fine ha utilizzato anche uno spezzone di una mia frase sul terzo livello, in cui affermavo che quella rappresentazione mediatica (la mafia come un edificio a tre piani: al pianterreno i gregari, al secondo i capi, al terzo una supercupola politico- finanziaria) è inadeguata per rappresentare un sistema relazionale che è molto più complesso e che il rapporti tra mafia, politica e istituzioni è costitutivo del fenomeno mafioso. Ha preso la prima parte e ha cestinato il resto. Un’operazione che si commenta da sé. Ma le mie dimissioni sono state soprattutto una critica aperta per le opposizioni che non hanno fatto nulla di significativo, sia perché le persone più impegnate badavano più ai problemi dei loro partiti, alle campagne elettorali, ai salti da un Parlamento all’altro, agli iperpresenzialismi mediatici, alle esibizioni teatrali ecc. ecc. che al lavoro nella Commissione, ma soprattutto perché hanno mostrato di non avere capacità e volontà adeguate per imporre contenuti e pratiche alternativi.
Ho ricevuto una lettera da Centaro in cui mi comunica che “l’Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi nella seduta del 16 febbraio ha deciso all’unanimità di concludere immediatamente il rapporto di consulenza con Lei instaurato, fra l’altro corrispondendo al Suo desiderio”. Non so se sia vero, se è vero, non posso che esprimere la mia gratitudine ai rappresentanti dei gruppi parlamentari di sinistra che hanno mostrato di non meritare la collaborazione mia e del Centro Impastato. A fine legislatura è arrivata una relazione di minoranza in cui si scopiazzano malamente le mie teorizzazioni sulla borghesia mafiosa, che vengono fatte convivere con le fantasticherie sulla mafia-industria della protezione privata. In ogni caso una presa di posizione tardiva e inefficace.
Qualche accenno al quadro attuale. “Telejato” deve battersi contro la Bertolino, difesa da Alfredo Galasso, vecchio compagno d’armi di Orlando e di Pintacuda nelle accuse a Falcone e ora tra i fondatori della Fondazione Caponnetto. E, con tutte le querele che le piovono addosso, mi sembra davvero un evento straordinario che “Telejato” ci sia ancora.
Dei nuovi arrivati posso dire che “L’isola possibile” mi pare troppo gracile e “Casablanca” non so se avrà un futuro, come mi auguro.
Noi come Centro Impastato continuiamo a lavorare, totalmente autofinanziati perché altri centri studi e fondazioni preferiscono mungere la mucca Regione Sicilia con le leggine fotografie e i rappezzi alla Finanziaria. Ci sono state polemiche, tardive, con padre Bucaro, gestore del Centro Borsellino, che è stato sciolto in seguito alle voci su una sua incriminazione per riciclaggio, non seguita da rinvio a giudizio, ma sono tanti quelli che per fare un’iniziativa hanno bisogno dei fondi pubblici arraffati in qualche modo. E finché a sinistra e nella stessa antimafia non si avrà il coraggio di cambiare registro non c’è da attendersi nulla di buono. Tranne che non faccia qualche miracolo il responsabile di “Antimafia 2000” che è un miracolo vivente, ha le mani bucate dalle stimmate (quella supplementare sulla fronte nel frattempo è sparita), sa tutto sulla Madonna di Fatima, sugli Ufo e su Nostradamus e organizza convegni con la Facoltà di Lettere di Palermo e con la partecipazione dei magistrati più impegnati. Ma mi guardo bene dal partecipare a questi spettacoli, non credo nei miracoli e di fronte a questa idea di Dio e dintorni, fatta a immagine e somiglianza di un’umanità non proprio esaltante, sono rigorosamente ateo.


Per finire

Dal 2002 è in atto a Palermo la lotta dei senzacasa, che è riuscita a sfuggire alla solita trappola della guerra tra poveri e si è caratterizzata come esempio di antimafia sociale, con la richiesta, in parte soddisfatta, che vengano assegnate ai senzatetto le case confiscate ai mafiosi. Ad eccezione dell’inserto palermitano del quotidiano “la Repubblica”, che ha dedicato una certa attenzione, c’è stato solo qualche articoletto su “l’Unità” e sul “Manifesto”, più di cronaca che di riflessione, nulla su “Liberazione”, che continua a dedicare pagine su pagine all’amore anale e alla pornografia alternativa. Contenti loro…
Di borghesia mafiosa ormai parlano tutti, o quasi. Ma pare che sia una teoria orfana di padre. Di recente alla nuova trasmissione di Santoro il sostituto procuratore Antonio Ingroia l’ha attribuita a innominati “sociologi”, nonostante sappia perfettamente che il sociologo è stato uno ed uno solo e ha nome e cognome. Così va il mondo…

Relazione al convegno “La libertà di informazione in terra di mafia. Da Radio Aut a Telejato”, Partinico, 11 marzo 2005, con aggiornamenti e integrazioni.