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Sul risultato delle elezioni regionali

Umberto Santino

Sul risultato delle elezioni regionali

Rita Borsellino non ce l’ha fatta. Certo, il consenso per Cuffaro si è notevolmente ristretto (passa dal 59 per cento delle regionali del 2001 all’attuale 52,9), la Borsellino riesce a raggiungere il 42,2 per cento, mentre Leoluca Orlando nel 2001 era arrivato solo al 36,6, ma il dato di fondo è che la maggioranza dell’elettorato siciliano rimane legata a un sistema di potere che rimonta agli anni ’40, ai primi passi della regione a statuto speciale.
E bisogna chiedersi perché è durato tanto tempo. La risposta, almeno in termini generali e schematici, non è difficile. La Democrazia cristiana prima, il centrodestra adesso sono riusciti a coltivare gli interessi degli strati sociali più forti, più o meno direttamente legati ad ambienti mafiosi, e a tenere a galla una rete di consenso tra gli strati più deboli, distribuendo redditi e offrendo opportunità che assicurino la sussistenza. Le sinistre e il centrosinistra non sono riusciti e non riescono a costruire un blocco sociale alternativo.
Con la candidatura di Rita Borsellino, venuta dopo vani tentativi di trovare una candidatura credibile tra le file dei partiti, si era aperta una prospettiva nuova, che ha portato al coinvolgimento della società civile nella redazione del programma, ma nella scelta dei candidati sono ritornati a pesare vecchi vizi. Esigua e inadeguata la rappresentanza dell’associazionismo, nessuno spazio ai protagonisti di lotte esemplari, come quella per la casa; i partiti, che hanno considerato la Borsellino un personaggio estraneo e hanno maldigerito la sua vittoria nelle primarie, hanno imposto i loro uomini e non si sono certo sbracciati durante la campagna elettorale. Tutto questo può avere influito, ma il problema di fondo rimane la mancanza di una strategia politica. Le iniziative antimafia degli ultimi anni, nelle scuole, con l’antiracket e l’uso sociale dei beni confiscati, non sono riuscite a far lievitare un movimento di liberazione in cui si riconosca gran parte della popolazione.
Può anche darsi che, utilizzando il voto disgiunto, si sia voluto esprimere il distacco da Cuffaro per le sue disavventure giudiziarie, ma dopo gli esempi di Marcello Dell’Utri, di Gaspare Giudice, Calogero Mannino, dello stesso Cuffaro, candidati ed eletti alle elezioni politiche nonostante i processi in corso, non tener conto delle incriminazioni e neppure delle condanne fa parte del paesaggio politico nazionale.
Cosa fare adesso? Le elezioni regionali non sono l’ultima spiaggia e fare una buona opposizione non significa rassegnarsi a gestire la sconfitta in qualche modo. Se si vuole costruire una strategia bisogna elaborare progetti che diano risposte concrete ai problemi posti dalla disoccupazione e dalla precarietà, dai bisogni collettivi, organizzando la partecipazione, riscoprendo la presenza sul territorio, senza attendere miracoli e senza riproporre deleghe. Se si camminerà in questa direzione, queste elezioni possono essere una premessa e un laboratorio e non la riconferma di una Vandea senza speranza.

Pubblicato su “Carta”, n. 21, 9 giugno 2006