loading...

Intervista a Umberto Santino

Per “Amanecer”, Paolo Moiola intervista Umberto Santino, presidente del Centro Impastato di Palermo.

1. Gli Stati Uniti da vari anni hanno intrapreso un’autentica guerra contro le coltivazioni di coca in America Latina. Qual è la sua valutazione sui metodi usati?

La “guerra alla droga” è cominciata negli anni ’80 con il presidente Reagan e ha avuto come principale bersaglio le coltivazioni di coca nei paesi andini, con l’eradicazione forzosa delle piantagioni, l’intervento militare nell’ottica della “guerra di bassa intensità”, sulla base della considerazione del narcotraffico come minaccia alla sicurezza. L’intervento militare si è concentrato soprattutto in Bolivia, dove gli scontri con i contadini che si opponevano all’eradicazione sono stati molto duri. L’episodio più grave fu il massacro di Villa Tunari del 27 giugno 1988, con 6 contadini morti, 10 feriti e 9 dispersi.

Con la presidenza Bush la “guerra alla droga” venne intensificata, con l’invio di militari e l’installazione di basi statunitensi, cioè con gravi violazioni della sovranità nazionale. Nel ’90, con l’incontro di Cartagena, a cui parteciparono i presidenti degli Stati Uniti, della Bolivia, della Colombia e del Perù, e nel ’92 con quello di San Antonio, con la partecipazione anche dei presidenti dell’Ecuador e del Messico, si cercò di operare una mediazione tra le esigenze dei paesi latino-americani e la strategia nordamericana, avviando una politica di cooperazione internazionale e cominciando a porre il problema del sottosviluppo di quei paesi, ma l’ingerenza degli Stati Uniti venne confermata anche da quegli incontri ed è durata fino a oggi. Dal 1995 gli Stati Uniti usano come strumento di pressione sui paesi andini la cosiddetta “descertifación”: se essi ritengono che quei paesi non sono impegnati nella lotta alla droga, praticano il blocco economico. Ma – osservano rappresentanti delle ONG andine – sui consumi di droghe negli Stati Uniti (ma si potrebbe aggiungere: sullo sviluppo delle coltivazioni di cannabis sul loro territorio), non c’è un organismo che pratichi controlli e applichi sanzioni. I metodi degli Stati Uniti sono la pura applicazione della legge del più forte, ma non ci si può limitare a condannarli. Bisognerebbe avere la capacità di fare qualcosa di più, ma se si toglie la cooperazione tra Organizzazioni Non Governative europee e latino-americane, che ha dato vita a progetti di sviluppo in aree di coltivazione della coca e a iniziative come la campagna Coca ’95, per la legalizzazione della foglia di coca e a sostegno dell’azione dei sindacati dei contadini coltivatori di coca, attualmente la solidarietà internazionale è ridotta al lumicino e le Nazioni Unite sono al punto più basso della loro storia.

2. Quando si parla di narcotraffico il riferimento è sempre ad alcuni paesi latinoamericani produttori di coca (Colombia, Perù, Bolivia), mentre si pone meno attenzione ai paesi asiatici produttori di oppio. Ci sono delle novità nella geopolitica delle droghe?

Le novità sono molte. Il mercato delle droghe ormai è un mercato a dimensione planetaria, sono aumentate le aree produttrici della materia prima (il papavero da oppio si coltiva anche al di fuori delle aree tradizionali: il Triangolo d’oro e la Mezzaluna d’oro) e del prodotto finito; il consumo si è espanso a livello mondiale, anche nei paesi produttori; si sono maggiormente articolate le rotte dei traffici, si sono affermate le droghe sintetiche. La novità più rilevante è data dai paesi ex socialisti, che sono tanto produttori che consumatori.

Con l’espansione del mercato delle droghe sono aumentate le mafie; cioè i gruppi criminali, storici o di nuova formazione, tendono ad assumere i caratteri propri della mafia siciliana, che è un intreccio tra crimine, accumulazione e potere. Questi fenomeni si inseriscono in un quadro di relazioni internazionali che è preoccupante: il divario tra paesi ricchi e paesi poveri invece di attenuarsi si aggrava, come risulta anche dai rapporti di organismi ufficiali come l’UNDP (United Nations Development Programme).

3. In un sistema sempre più liberalizzato e globalizzato che tipi di sviluppo avrà la narcoeconomia?

Ha già uno sviluppo considerevole con la planetarizzazione del mercato e continuerà a svilupparsi con gli enormi problemi che pone la globalizzazione. La fase che stiamo vivendo si può definire “capitalismo senza alternativa”, che significa l’instaurazione di una dittatura mondiale del profitto, di cui le agenzie internazionali sono insieme teorici ed esecutori. Le politiche della Banca mondiale, del Fondo monetario e del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, si possono considerare come grandi fattori criminogeni. Si pensi agli effetti dell'”aggiustamento strutturale” per i paesi stroncati dal debito internazionale: lo smantellamento dell’intervento pubblico, la liquidazione dell’economia legale, quasi sempre con compiti di sussistenza e quindi non competitiva sul piano internazionale, la disoccupazione di massa, le facilitazioni offerte al capitale internazionale e al riciclaggio del denaro sporco, con la liberalizzazione dei cambi, sono tutti incentivi all’accumulazione illegale, di cui il narcotraffico è il principale pilastro. Per molti paesi non ci sono altre possibilità di reddito che l’inserimento nei circuiti dell’illegalità e delle mafie internazionali.

4. Ma la disoccupazione c’è anche nei paesi ricchi e questo non porta a un incremento della manovalanza giovanile nell’industria della droga?

L’affermazione sul piano mondiale del modo di produzione capitalistico comporta l’uso di tecnologie sempre più sofisticate che riducono drasticamente l’impiego della forza lavoro, la liberalizzazione del mercato offre la possibilità di cercare il lavoro a basso costo dappertutto, e ci sono situazioni in cui le condizioni dei prestatori di lavoro non sono molto dissimili dal regime schiavistico. Si pensi alla manodopera infantile in molte aree del Terzo Mondo.

Aumenta la disoccupazione anche nei paesi ricchi: si parla di 20 milioni di disoccupati nei paesi dell’Unione Europea e di 30 milioni nei paesi OCSE. Gran parte dei disoccupati sono giovani, in età compresa tra i 15 e i 24 anni. Non c’è solo il rischio che diventino i manovali dell’industria della droga ma che si avviino sul terreno dell’illegalità e della criminalità, che va oltre la droga, o che si rassegnino a un ruolo di emarginati o si facciano strumentalizzare dai demagoghi di turno. Tutto ciò non può non avere gravi riflessi sulla società e sullo sviluppo della democrazia.

5. In Italia, quali associazioni criminali detengono il controllo del mercato delle droghe? Come sono organizzate? Di quali protezioni fruiscono?

La mafia siciliana ha avuto un ruolo di primo piano per molti anni, tanto che si è parlato di un monopolio nel mercato internazionale dell’eroina degli anni ’80, assieme alla consorella nordamericana. Poi si sono inserite altre organizzazioni: la ‘ndrangheta calabrese, la camorra campana, i gruppi pugliesi, che sono cresciuti anche per i rapporti privilegiati che hanno con l’Est. Non c’è il Number One, ci sono vari gruppi e il loro numero è in aumento.

Sul piano internazionale operano la mafia turca, le triadi cinesi, la yakusa giapponese, i cartelli latino-americani, ma ora anche altri gruppi, per esempio le mafie russe, i trafficanti nigeriani.

Le associazioni criminali di tipo mafioso hanno la regia complessiva dei grandi traffici, ma il commercio di droga è articolato e vede la presenza di vari soggetti, fino alla polverizzazione del piccolo spaccio. Il pericolo sta proprio in questo: il pianeta droghe non è un circuito chiuso ma un sistema aperto e suscettibile di ulteriore ampliamento.

Le organizzazioni mafiose hanno modelli organizzativi diversi: alcune hanno un’organizzazione rigida, una struttura gerarchica fissa, una precisa divisione dei compiti; altre si muovono con più elasticità.

Più che di protezioni bisogna parlare di interazione. La mafia siciliana è stata e continua a essere un soggetto politico: detiene un potere in proprio (quella che ho chiamato “signoria territoriale”) ed esercita un’influenza sul piano politico-amministrativo, con il controllo sul voto, l’accaparramento del denaro pubblico, degli appalti etc. Anche gli altri gruppi tendono ad omologarsi a questo modello e quindi a diventare soggetti economici e politici che interagiscono con le istituzioni. A differenza dai criminali comuni, i capi delle organizzazioni di tipo mafioso fanno parte delle classi dominanti e concorrono alla gestione del potere.

6. Sul fronte dei consumi, lo Stato e le istituzioni quale strada dovrebbero seguire per combattere efficacemente lo smercio delle droghe?

La prima cosa da fare è depenalizzare il consumo, distinguere tra consumatore e spacciatore, salvaguardare la salute dei tossicodipendenti, attualmente nelle mani di spacciatori senza scrupoli.

Le convenzioni internazionali sono fondate sul proibizionismo, anche se diventa sempre più evidente il fallimento di tale politica: mirava a ridurre il consumo, che invece è aumentato. Il dibattito su proibizionismo e legalizzazione è stato troppe volte uno scontro, una sorta di guerra tra Bene e Male. Alle spalle c’erano pesanti remore culturali ereditate dai secoli passati: le sostanze psicoattive usate nei paesi occidentali (alcool, tabacco, caffè, psicofarmaci) sono buone, quelle usate negli altri paesi (oppio, coca, allucinogeni etc.) sono cattive. Le religioni hanno avuto il loro peso: per i cristiani il vino è il sangue di Cristo, mentre la coca, al centro del culto di Mama Coca, era il “talismano del diavolo”.

Da qualche tempo si va facendo strada una concezione laica, che pone il problema in termini di costi e di benefici e indica la prospettiva della “riduzione del danno”. La grande diffusione dell’Aids tra i tossicodipendenti ha esercitato una spinta in questo senso. Anche il sovraffollamento delle carceri (attualmente in Italia ci sono in carcere circa 14.000 tossicodipendenti) è un argomento forte a favore delle depenalizzazione. Ma questo non vuol dire che siamo vicini alla legalizzazione delle droghe leggere e alla distribuzione controllata delle droghe pesanti, sulla base di una distinzione tra sostanze psicoattive che producono o meno dipendenza. Se si guarda al dibattito attuale in Italia, spesso risuonano argomenti che dimostrano la più completa ignoranza. Bisognerebbe svolgere un’attività continuativa nelle scuole, nei locali pubblici, dappertutto, sugli effetti delle varie sostanze psicoattive, a prescindere dal fatto che siano legali o meno. Ci abbiamo provato con un libro per le scuole (“Dietro la droga”), pubblicato anche con il sostegno della Comunità europea, ma è troppo poco.

Sono un antiproibizionista laico, cioè senza illusioni né miti. Se si toglie alle mafie il monopolio delle droghe, avrebbero certamente un grosso colpo alle loro capacità finanziarie ma intensificherebbero le altre attività. Ma la cosa più importante è la salute, e la vita, dei tossicodipendenti. A Palermo e in altre città, negli ultimi anni ci sono stati moltissimi morti per la cosiddetta “eroina killer”, un’eroina troppo pura rispetto a quella che circola normalmente. L’attuale regime si dice proibizionista ma in realtà è quanto di più permissivo ci possa essere: il supermercato delle droghe è aperto 24 ore su 24 e vende morte al prezzo più alto.

Pubblicata su “Amanecer”, periodico di riflessione sull’America Latina, n. 4, 1997, pp. 4-6. Numero su: “Narcotraffico. Dramma sociale, ipocrisia politica, interessi economici”

Amanecer, direzione: Piccola Communità del Vangelo,
Via Terzago, 7,
25080 Calvagese della Riviera (Brescia),
Tel. 030-601047,
fax 030-601563,
Email:  lucianos@isa.it,
http://www.eurplace.org/orga/centroce/index.html