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Un libro su Pio La Torre

Giovanni Burgio

UN LIBRO SU PIO LA TORRE

Come e perché

Chi era Pio La Torre? Protagonista storico delle lotte contadine, dirigente politico nazionale, nell’81, dopo tanti anni, era tornato in Sicilia per dirigere il Partito comunista e subito l’hanno eliminato. Perché?
Il delitto La Torre assieme a quelli di Mattarella e Reina sono stati definiti omicidi politico-mafiosi. E la scelta di andare a vedere meglio nei delitti politici della mafia me l’aveva suggerito Umberto Santino, fondatore del Centro Impastato di Palermo come argomento per la mia tesi di laurea in Scienze Politiche. Il docente di Storia Moderna, professore Paolo Viola, proponeva poi di scegliere una sola di queste vittime della mafia e farla oggetto di indagine, non tanto dal punto di vista giudiziario quanto da quello umano e politico. Optai per Pio La Torre per cercare di rispondere alle domande che mi sono posto all’inizio.
Il professore Viola, da tempo interessato con altri studiosi all’approfondimento del valore storico delle fonti orali, teneva soprattutto a un mezzo di ricerca: le interviste, e in particolar modo la registrazione delle interviste. Cioè, raccogliere testimonianze, racconti, di amici, compagni di scuola, compagni di partito, che avevano conosciuto La Torre; registrare il tutto su un nastro audio, trascrivere poi il colloquio e riportarne quanto più possibile nella tesi.
Non dovevo esaminare tutta la vita di La Torre ma solo la metà del suo percorso travagliato. Il periodo quindi che dovevo prendere in considerazione era quello che andava dalle primissime esperienze politiche fino all’elezione a segretario regionale del Partito Comunista nel 1962. Comprendeva quindi le iniziali esperienze politiche nelle borgate palermitane e nelle campagne, le lotte contadine, l’esperienza alla Camera del lavoro di Palermo e nella CGIL regionale, la lotta contro la mafia e la speculazione edilizia, la vicenda dei governi Milazzo.
Le interviste raccolte su questo periodo sono state 18. Venivano riportate ampiamente e fedelmente nella tesi che alla fine si componeva di due volumi: uno con la storia familiare, politica e personale di Pio La Torre e l’altro che conteneva le testimonianze raccolte.
Ma una volta laureatomi, Umberto Santino continuava a dirmi “Perché non prosegui nel raccontare la vita di Pio La Torre fino al giorno del suo omicidio?”. Ho continuato così a raccogliere le interviste per il periodo successivo al 1962, fino al 1982, anno della sua morte.
Si è quindi affrontato il periodo storico del centro-sinistra, la rimozione di La Torre da segretario regionale del partito nel 1967, la sua elezione a Roma come deputato nazionale, la fase del compromesso storico. Esaminando poi la nascita del progetto di legge che istituiva il reato di associazione mafiosa e mirava a colpire i beni patrimoniali dei mafiosi, ci si avvia alla fine con il suo ritorno in Sicilia, la battaglia per la pace e contro i missili di Comiso, il suo omicidio.
Alla fine di questo secondo blocco di interviste, il materiale raccolto, aggiunto a quello già inserito nella tesi, risultava enorme. Gli intervistati infatti, sia del primo che del secondo periodo, interrogati sull’uomo La Torre, sul politico La Torre, sulle vicende storiche vissute assieme, sui singoli episodi della vita interna del partito comunista siciliano, su situazioni e fatti che comunque valeva la pena di conoscere e approfondire, si sono lasciati andare a ricordi, racconti, valutazioni e considerazioni che difficilmente potevano essere ignorati, taciuti, ridimensionati o tagliati.
A questo punto ho dovuto scegliere solo le parti delle interviste che a mio avviso erano le più importanti, perché se avessi dovuto riportare tutto ciò che era interessante avrei ottenuto un libro enorme, e questo evidentemente non era possibile. Adesso sono quasi alla fine ma c’è ancora da aggiustare, aggiungere, correggere e limare. Al più presto spero vedrà la luce.

La storia orale e il metodo dell’intervista

Il libro ha un sua caratteristica fondamentale: volendo valorizzare la fonte orale come fonte storica principale, adotta il metodo dell’intervista ai personaggi protagonisti degli eventi storici trattati come mezzo esclusivo di ricerca. Si è molto dibattuto sulla validità e sul valore di questo tipo di fonti storiche, ma sicuramente un merito bisogna riconoscere a questo modo di fare storia: raccogliere i ricordi, le testimonianze, i giudizi di persone che in gran parte non essendo abituati a scrivere farebbero perdere le loro memorie sugli avvenimenti storici da loro vissuti.
Le interviste in totale sono state 32, più quella collettiva effettuata a Bisacquino. Le ho fatte sempre da solo tranne quelle di Bisacquino per le quali è stato necessario introdursi agli intervistati tramite gente del luogo che conosceva le persone ancora in vita che avevano partecipato con Pio La Torre alle lotte contadine. Generalmente non si è avuta ostilità nei confronti della registrazione dell’intervista. I più diffidenti prima di cominciare il colloquio hanno chiesto gli argomenti di cui avremmo parlato.
Via via che procedevo nel lavoro di ricerca mi andavo perfezionando nel tipo di domande da porre e nel tipo di colloquio da adottare. Intendo dire che se in un primo momento risentivo ancora di una certa ansia, che si manifestava nell’interrompere spesso l’intervistato, imporre il mio punto di vista, sottovalutare alcune cose dette dalla persona intervistata, facendo insomma un po’ io il protagonista e il centro della discussione, poi mi sono accorto che era meglio lasciar parlare l’intervistato, non interromperlo spesso, credendo magari così di riportarlo al tema centrale. Cercavo, in pratica, di capire meglio cosa voleva dire veramente la persona che mi stava di fronte, cercando di cogliere le sfumature o quello che lasciava intendere implicitamente, non imponendo una mia idea ma essendo pronto a cogliere nuovi spunti di discussione. Ascoltare più che intervenire, lasciar parlare piuttosto che interrompere l’intervistato, non avere fretta nell’acquisire dati ma avere pazienza e attendere che il racconto sia finito, per comprendere il significato di ciò che la persona vuole esprimere. Anche perché la persona intervistata tende nella sua mente a dilatare al massimo il tempo. La memoria individuale infatti è capace di connessioni e di analisi che scorrono lungo molti anni.
E’ per questo che nel riportare i colloqui non ho potuto escludere tutto ciò che mi sembrava fuori tema e fuori posto perché così facendo non si riusciva a comprendere bene il succedersi e lo svilupparsi dei fatti raccontati. Se non avessi lasciato parlare liberamente i personaggi e non avessi riportato quasi integralmente le loro testimonianze non solo non si sarebbe ben capito ciò che essi volevano dire ma si sarebbero persi notevoli contributi informativi su quel periodo della storia siciliana. Ed è anche per questo motivo che sul testo trascritto delle interviste sono intervenuto il meno possibile, sia dal punto di vista grammaticale sia per quello che riguarda la continuità del racconto. Cioè è nell’interezza e originalità della discussione che spesso si capisce l’intero discorso, anche perché l’intervistato fa spesso riferimenti o precisazioni su argomenti trattati precedentemente, per cui alcuni avverbi, alcune singole parole ripetute più volte, alcuni concetti, si comprendono solo se l’intero brano viene lasciato integro e non manipolato.
Infatti è molto difficile rendere per iscritto il linguaggio parlato. I modi di dire del linguaggio orale sono molte volte irripetibili e intraducibili in forme corrette. Al contrario, però, certe volte un modo di esprimersi che può sembrare oscuro e contorto, rende al meglio se trascritto così come viene espresso. Persone non dotate di un linguaggio colto usano locuzioni quanto mai precise ed incisive.
Spesso nel testo delle interviste si trovano dei puntini di sospensione che indicano le cose non dette e sottintese che sono una forma tipica del linguaggio orale. Con le fonti orali cioè si apprezzano le sfumature, i sottintesi, le cose non dette, che la registrazione audio permette di fissare e precisare meglio. Il linguaggio parlato, le espressioni dialettali, i modi di dire, costituiscono inoltre importanti oggetti di attenzione e di studio.
In conclusione potrei dire che questo mezzo di ricerca che è l’intervista rivela aspetti e situazioni che difficilmente altre fonti storiche possono dare. E cioè: l’umanità, la passionalità, il giudizio sincero e immediato, quello che magari non si scriverebbe o affermerebbe mai se solo ci si fermasse un attimo a controllare. In questo, secondo me, sta il valore della fonte orale: la genuinità e la spontaneità difficilmente reprimibile nel contatto diretto con l’intervistatore.

Le persone intervistate

Sulle persone ascoltate ci sarebbe molto da dire e precisare. Sinteticamente posso affermare che alcuni degli intervistati si sono imposti come i mattatori di questo lavoro. Essi hanno dato un fondamentale contributo allo sviluppo della ricerca. Più volte parlando con loro mi veniva in mente che così come io stavo facendo la storia familiare e politica di Pio La Torre rintracciandone i principali motivi ispiratori, così ognuna delle persone intervistate poteva a sua volta essere oggetto di ricerca, con la sua vita, le sue vicende politiche e la sua testimonianza storica ancora viva e puntuale. E poi sono stati gli stessi intervistati che mi indicavano chi poteva darmi ulteriori notizie. Sono stati quindi gli stessi attori di allora che mi hanno guidato nella ricerca. Questo si è rivelato effettivamente un valido mezzo d’indagine, perché ho riscontrato che tutti ripetevano sempre gli stessi nomi e le stesse persone, per cui non c’erano diversità di pareri su chi poteva darmi ulteriori informazioni.
In breve potrei affermare che la ricerca è andata avanti per merito degli stessi intervistati, sia perché hanno dato un notevole aiuto a rintracciare le persone utili da incontrare sia perché molti argomenti trattati sono stati introdotti da loro. Cioè situazioni, personaggi e storie li ho appresi per la prima volta dai loro racconti e così andavo indagando su queste nuove notizie verificandone la veridicità e i diversi aspetti.
Purtroppo molti protagonisti di quegli anni non ci sono più. Questo dato è stato costante in tutte le fasi della ricerca e ha condizionato negativamente il lavoro. Vale per tutti un esempio: Pancrazio De Pasquale, importante figura del Partito comunista siciliano che ha avuto un ruolo centrale nelle vicende raccontate in questo lavoro.

La scoperta dello scritto autobiografico inedito

Prima di iniziare a intervistare le persone che avevano conosciuto e frequentato Pio La Torre ho consultato le sue carte personali custodite all’Istituto Gramsci di Palermo. E una particolare soddisfazione ho avuto quando ho trovato tra i tanti documenti il quaderno che La Torre usò nel 1954 alla scuola di partito e dove, scritto di suo pugno, c’era il componimento che riguardava come e perché si era iscritto al Partito comunista.
La scoperta di questa autobiografia, contenuta dentro un classico quaderno di quei tempi, con la copertina nera e lucida e i bordi dei fogli rossi, mi ha entusiasmato perché, oltre ad essere stato il primo a scoprirla, era proprio l’oggetto principale della mia ricerca: come nasce in un dirigente di partito la passione per la vita politica e come poi si continua quotidianamente in questo impegno pubblico. Scoprire che La Torre stesso aveva ripercorso la sua vita e aveva scritto su questi argomenti è stato molto stimolante.
Nel ricordare che a decifrare la scrittura di La Torre mi ha aiutato l’archivista dell’Istituto Gramsci, Enza Sgrò, bisogna sottolineare che in questo testo autobiografico inedito, scritto nell’ottobre del ’54, c’è tutta la giovinezza, l’adolescenza e la vita da ragazzo di Pio La Torre. Vi sono poi le iniziali esperienze politiche, le prime lotte e le altre vicende che lo portano a diventare un dirigente politico.
Infatti oltre la descrizione delle condizioni di precarietà della famiglia e dell’ambiente sociale che lo circonda a Villa Nave sotto Monreale, la borgata dove è nato, c’è l’intero percorso scolastico, ideologico e politico del primo La Torre. All’inizio ci sono l’ingenua fede nel fascismo e lo sbandamento dovuto al suo crollo. C’è poi l’adesione agli ideali della sinistra, il difficile contatto con il PCI, che non era ancora una struttura ben organizzata, la dedizione alla politica fino alla rinunzia agli studi universitari, le lotte contadine, l’arresto. Infine Pio La Torre esprime tutta la sua insofferenza per la scarsa organizzazione e preparazione del Partito comunista in una città come Palermo che, secondo lui, avrebbe potuto avere più iscritti, più incisività e più serietà nelle scelte e nel perseguimento degli obiettivi.
Mi pare che il ritrovamento di questa autobiografia abbia un valore umano, politico e storico di notevole importanza.

La famiglia, gli amici, la scuola

Il primo periodo, cioè l’infanzia e l’adolescenza di La Torre, forse è stato il più emozionante di tutti. Frugando tra i primi anni della vita di Pio La Torre venivano fuori, da un’oscurità pressoché totale, familiari, compagni di scuola, professori. Il fratello Luigi, il professore Scaglione, l’amico d’infanzia Pippo Fuschi, ma anche alcuni familiari e la stessa casa dove è nato Pio La Torre, mi sembravano uscire dalle tenebre nelle quali erano stati sapientemente celati assieme ai suoi primi affetti.
Mi rendevo conto che il mio lavoro diventava originale e prezioso, non perché lo facessi io ma perché mi sembrava una perdita grave non far emergere tutta quella ricchezza di memorie e conoscenze di fatti che si aveva fra le persone che avevano frequentato La Torre nei primi anni di vita. Da questo punto di vista uno dei risultati più soddisfacenti dell’intero lavoro di ricerca è stato quello di avere intervistato i familiari e gli amici di Pio La Torre.
Sono stato il primo a cui è stato concesso di incontrare i familiari di La Torre. Fino a quel momento, infatti, la famiglia non aveva mai voluto aprirsi a nessuno. Debbo confessare che ho sentito questo come un privilegio, nel senso che ho percepito il dolore e la riservatezza che ha dominato queste persone durante i lunghi anni trascorsi e che li ha portati ad una chiusura verso il mondo esterno. Chiusura che non ha niente a che fare con un senso di superiorità e di alterigia ma con la dignità e la nobiltà dei sentimenti. Non so se l’incontro sia stato facilitato dal fatto che ho sottolineato che volevo parlare con loro per motivi di studio e non per motivi giornalistici. Rimane comunque il fatto che questo colloquio con la famiglia La Torre è stato uno dei più toccanti.
L’unico fratello che è stato possibile intervistare, Luigi, mi ha fatto rivedere la tempra e l’intransigenza che tutti attribuiscono a Pio La Torre. I due fratelli sicuramente si somigliavano molto nel carattere. Gli altri familiari di Luigi La Torre, presenti all’intervista, mi hanno fatto intravedere la serietà e la fermezza dell’antimafia di Pio La Torre. Incontrando, cioè, i suoi familiari e osservando il loro comportamento, non mi è stato difficile immaginare lui e il suo agire schietto e sincero. Attraverso l’atteggiamento della sua famiglia ho capito che la mafia uccide chi è veramente tenace ed efficace nei suoi confronti. Uccide chi la combatte con i fatti e non con le parole.
Fa parte di questo primo periodo della vita di Pio La Torre la figura del professore Scaglione, suo professore di filosofia nell’ultimo anno di scuola. Il professore Scaglione, docente di italiano storia e filosofia, uomo di grande cultura e figura carismatica, interviene all’ultimo anno dell’Istituto tecnico industriale. Preparerà La Torre e il suo amico Pippo Fuschi per la maturità scientifica. Pio La Torre lo frequenterà anche dopo aver conseguito i due diplomi; infatti per un paio d’anni andrà nella sua biblioteca per leggere numerosi libri ma anche, soprattutto, per scambiare idee ed opinioni.
Con il professore Franco Scaglione ho avuto quattro lunghi colloqui, caso unico di tutta la ricerca. Infatti lui ha preferito parlare a più riprese dell’alunno La Torre, preparandosi adeguatamente agli incontri, ricordando quanto più possibile del La Torre studente. Questo personaggio, che ebbe una notevole influenza formativa, educativa e culturale su tutta la classe di Pio La Torre, in particolar modo per quello che riguarda le vicende e le scelte politiche del periodo che va dalla caduta del fascismo all’instaurarsi della Repubblica, ha tracciato un profilo del carattere del giovane La Torre che risulterà essere corrispondente con tutte le azioni del futuro dirigente politico. E cioè: semplice, concreto, coinvolgente, essenziale, sempre teso al cambiamento.

Pio La Torre sindacalista: le lotte contadine

All’inizio della sua attività politico-sociale Pio La Torre ha ricoperto prevalentemente incarichi sindacali. Durante tutti gli anni ’50 e fino al 1962 è prima segretario della Camera del lavoro di Palermo e poi segretario regionale della CGIL.
Questa sottolineatura è necessaria perché in genere di un uomo politico si considera solo la sua ultima attività;. nel caso particolare di Pio La Torre molti intervistati hanno tenuto ad evidenziare come il suo atteggiamento concreto, pragmatico, realista, sia dovuto alla formazione sindacale dei primi anni quando occorreva contrattare, mediare e ottenere risultati effettivi.
La sua battaglia per l’abolizione delle gabbie salariali, contro le infiltrazioni mafiose e per il miglioramento delle condizioni di lavoro al Cantiere navale di Palermo, a favore degli operai del polo elettrico, sono alcune delle più importanti attività che contraddistinsero il La Torre sindacalista.
Inoltre ricordare l’attività sindacale di La Torre è servito indirettamente per far emergere la storia degli anni ’50 della città di Palermo con il suo tessuto di classe (operai, edili, metalmeccanici), oggi ormai quasi completamente scomparso.
All’interno dei cinquant’anni di vita politica di Pio La Torre ci sono stati momenti storici importantissimi: dalla fine del fascismo e della seconda guerra mondiale alle lotte contadine, dal boom edilizio all’esperienza dei governi Milazzo, dal centro-sinistra al compromesso storico. È evidente quindi che parlando di Pio La Torre come uomo politico si parlasse anche di questi grandi mutamenti sociali.
Il movimento contadino è stato il periodo storico più trattato e quello più interessante dal punto di vista delle testimonianze raccolte. Questa fase politica infatti ha costituito la primissima presa di coscienza di tutti gli intervistati, allora giovani dirigenti politico-sindacali, con scelte di vita, decisioni, azioni, che ne determinarono il loro futuro privato e pubblico. E’ un momento cioè di rotture, scontri, vivaci discussioni politiche all’interno delle varie organizzazioni sociali, riflessioni sul passato e sul futuro economico e politico della Sicilia e dei siciliani.
Sono un mondo e una condizione, quella contadina e agraria degli anni ’40 e ’50 oggi quasi del tutto estintisi, per lo più trasformati, fermi solo nei ricordi dei protagonisti di allora, che ne guidarono il cambiamento e il rinnovamento. Importantissimo è stato quindi aver raccolto e riportato questi racconti che costituiscono testimonianze autentiche, originali e ormai sempre più difficili da raccogliere.

Il boom edilizio e l’operazione Milazzo

L’altro fenomeno egualmente carico di effetti per gli anni futuri è quello che va sotto il nome di boom edilizio. Decine di migliaia di persone si trasferiscono dai piccoli centri alle grandi città, cresce il bisogno di case, avvengono straordinari stravolgimenti del territorio urbano e suburbano, con ripercussioni negative sulla qualità della vita che peseranno notevolmente nei decenni successivi. La mafia gestisce questa enorme speculazione e una moltitudine di persone lavora in questo settore in espansione.
Anche qui le narrazioni dei protagonisti ci fanno rivivere luoghi e situazioni tipiche di quella particolare epoca di mutazione.
Un’esperienza politica che viene solitamente descritta in versione negativa è quella dei governi Milazzo. Questa alleanza fra forze politiche diverse e opposte, che alla fine degli anni cinquanta cerca di interpretare il desiderio di cambiamento e trasformazione della società siciliana, è stata vista come un insieme ibrido di ideologie incompatibili, come unione di persone che in realtà non potevano stare assieme, come la peggiore alchimia politica partorita dal mondo politico siciliano.
Le ricostruzioni e i ricordi di alcuni protagonisti del tempo, invece, ne fanno una storia e un percorso diverso da quello che comunemente si sente dire o si legge. È vero che le persone intervistate facevano parte di un partito politico, il PCI, che allora è stato un artefice di questa formula politica. Fa però riflettere il fatto che, oltre a sentire una versione opposta degli avvenimenti, si sottolineano gli aspetti del mutamento e del movimento.
Infatti c’è da considerare che il periodo che segue immediatamente questo singolare esperimento politico è quello del centro-sinistra che sembra essere una conseguenza positiva dei governi Milazzo. Senza la rottura cioè della Democrazia cristiana, la nascita di un nuovo partito cattolico, l’entrata nel governo per la prima volta delle forze della sinistra, elementi essenziali dell’esperienza Milazzo, non si sarebbe potuto avere per il decennio successivo il lungo accordo tra la DC, i partiti di centro e il PSI. La DC cioè, dopo i governi Milazzo è costretta a cambiare alleati: dalla destra alla sinistra. La Sicilia insomma ha creato tutti i presupposti dell’alleanza che verrà poi sancita a livello nazionale.
Indipendentemente dal giudizio che ognuno può avere su quella forma di alleanza politica che diede vita all’esperienza Milazzo, in ogni caso le testimonianze su quel periodo penso siano di grande valore storico-politico e tra le poche che parlano di quel momento della vita politica siciliana. Credo che questo aspetto del lavoro sia degno di attenzione e utile per chi volesse approfondire lo studio dell’anomalia Milazzo. Ritengo comunque che attraverso questi documenti si possa in parte riconsiderare quel periodo storico sempre descritto in maniera negativa.

Il centro-sinistra

Una delle cose più importanti emerse nei racconti che riguardavano il centro-sinistra è stata l’evoluzione dei rapporti interni alla sinistra dopo l’entrata nel governo del partito socialista. Infatti i diversi pareri ascoltati dagli intervistati, d’accordo o meno sulle scelte allora operate dal PSI, convergevano tutti però sul cambiamento di rapporti fra le maggiori forze della sinistra italiana, il PCI e il PSI.
È stato molto interessante ascoltare quali fossero allora i sentimenti e i pensieri delle basi militanti dei due partiti, ma anche che sviluppo ebbe il rapporto politico nei sindacati e nelle organizzazioni sociali in cui questi partiti operavano insieme. È importante rileggere quegli avvenimenti per mettere in luce la comune base di appartenenza dei due partiti, l’unità che c’era stata fino ad allora, i traumi per il distacco avvenuto, i risentimenti e la lontananza che si iniziarono a produrre da quel momento in poi.
Le interviste hanno evidenziato pure il contesto economico in cui nasce e si sviluppa il centro-sinistra degli anni sessanta e gli obiettivi che esso si pone. La programmazione, l’intervento pubblico in economia, la nazionalizzazione di vari Enti privati che gestivano servizi essenziali, la creazione di grandi Enti pubblici economici, sono alcune delle linee su cui erano impegnati i governi in carica. Queste scelte strategiche ritenute allora essenziali per il cambiamento dell’economia e della società verranno abbandonate negli anni successivi perché ritenute improduttive, inefficienti e dilapidatrici di denaro pubblico. Solo da qualche tempo sembrano essere ritornati quegli indirizzi economici, e cioè l’idea che lo Stato debba pur gestire alcune risorse e servizi fondamentali per la società e i cittadini, che delle linee guida dell’economia devono essere quantomeno tracciate dai governi, che in alcuni casi lo Stato può intervenire direttamente per sostenere o incentivare settori in difficoltà.

Il compromesso storico

L’altro periodo storico importantissimo per l’Italia e per la Sicilia è quello del compromesso storico. Questo lavoro imperniato su Pio La Torre mette in luce in particolare il nascere, l’evolversi e il morire di questa esperienza politica in Sicilia. Qui infatti il compromesso storico assume la forma degli “accordi di fine legislatura” e dei “patti autonomistici”.
Il racconto degli intervistati parte dall’inizio degli anni ’70 per finire con i primi anni ’80, quando questa alleanza politica fra DC e PCI viene meno. Sono dei lunghi racconti che procedono con speditezza e facilità, perché i narratori tratteggiano gli avvenimenti politici e sociali con grande padronanza dei fatti, discorsività degli argomenti, linearità di cause ed effetti. Il particolare ruolo pubblico ricoperto a quei tempi da alcuni di loro credo faccia assumere a queste testimonianze un rilievo storico interessante.
Alcuni poi si riferiscono a questo periodo quando parlano del momento in cui il PCI ha cambiato natura, si è trasformato cioè da partito di opposizione in partito di governo. E la metamorfosi non si riferisce solo al ruolo istituzionale del partito, che lo porta ad essere più morbido e meno combattivo, ma anche all’aspetto della vita interna del partito. Lo si accusa cioè di essere diventato meno democratico, più verticista, tendente sostanzialmente ad escludere la partecipazione della base e degli iscritti. Qualcuno mette in evidenza anche il cambiamento del comportamento etico e morale del partito. Una volta entrato nelle stanze del potere si dice che il PCI abdichi all’intransigenza morale dei decenni precedenti. Non tutti sono d’accordo con queste tesi, ma si ammette da parte di molti che ciò in qualche maniera e in qualche caso corrisponda al vero.

La vita interna del partito e le diverse posizioni politiche: il conflitto Li Causi – De Pasquale e le elezioni del 1959

Spesso alla cronaca e alla storia sfugge l’aspetto umano, personale e comportamentale dei personaggi che proclamano grandi idee e che conducono le lotte sociali. Intendo riferirmi ai rapporti che si instaurano, sia fra le singole persone sia fra i vari gruppi, all’interno delle grandi associazioni sociali, quali sono i partiti e i sindacati, alle convergenze di idee o alle diversità di opinioni che determinano dibattiti, discussioni, dissensi, divisioni e qualche volta dure lotte e feroci ritorsioni.
Il PCI siciliano non è stato esente da questo tipo di dinamiche interne. Ascoltando i protagonisti, è venuta fuori tutta una serie di fatti e circostanze più o meno noti che hanno accompagnato la vita di questo partito nel periodo che va dal dopoguerra fino ai primi anni ’80.
C’è da dire che i fatti storici e gli avvenimenti importanti trattati da questo punto di vista hanno assunto una connotazione più intima, passionale e più vicina alla vita di ogni giorno.
Alla fine della seconda guerra mondiale sui diversi tempi, modi e strumenti di condurre le lotte per la terra si determinò nel Partito comunista siciliano una divergenza di vedute, e poi un vero e proprio scontro, tra due punti di vista opposti: da un lato una concezione più movimentista e spontanea che aveva nella federazione di Palermo del PCI, ed in particolare in De Pasquale, gli interpreti principali. Questa componente vedeva nell’occupazione illegale dei feudi lo strumento principale di lotta. Dall’altro lato c’era la dirigenza regionale del partito, condotta da Li Causi, che preferiva invece una battaglia più legalitaria, parlamentare e moderata.
In questa disputa interna al partito ebbe allora la peggio De Pasquale che fu mandato via dalla Sicilia, ma le incomprensioni e le ferite aperte da questa vicenda rimasero a lungo a produrre i loro effetti negativi su tutto il corpo del partito siciliano.
Questo conflitto è noto ed è stato trattato anche da altri autori, ma credo che le testimonianze da me raccolte possono ulteriormente arricchire il quadro di quelle vicende fornendo altri elementi utili all’analisi di quei fatti.
Un altro momento di diversità di vedute e di scelte contrapposte è il decennio degli anni ’50, che vede la componente cosiddetta contadina opporsi alla linea cosiddetta operaista. Queste esemplificazioni non danno assolutamente ragione della complessità delle visioni allora in campo, ma lasciano trasparire invece cosa succede in una grande organizzazione di massa quando si tratta di designare i candidati alle elezioni.
Apprendiamo così che La Torre fu anche lui al centro di una disputa che lo voleva o meno candidato all’assemblea regionale nel 1959. Ma attraverso il racconto di questa vicenda che coinvolge La Torre si fa luce anche su buona parte della storia del Partito comunista siciliano che va dal dopoguerra fino all’inizio degli anni ’60. Ognuno degli intervistati preferisce dare la sua versione dei fatti: c’è chi si limita alle elezioni regionali del ’59, chi va più indietro a quelle nazionali del ’58, chi ripercorre gli anni precedenti.
Le chiavi di lettura sono diverse e solo una parte dei testimoni accetta la contrapposizione operai-contadini; altri tracciano una linea di demarcazione fra militanti nelle organizzazioni di massa e organi del partito; alcuni spiegano le divergenze semplicemente come scontro fra persone e gruppi per l’egemonia; c’è infine chi non solo nega questa divaricazione città-campagna, ma anzi dice che c’era una linea politica che puntava proprio all’alleanza fra queste due componenti del movimento popolare.

La rimozione nel ’67

Una fase molto delicata della vita politica di Pio La Torre si ha quando, in seguito ad una sconfitta elettorale regionale, viene rimosso dalla segreteria regionale del partito. Nel ’67 si perdono pochi punti percentuali e qualcuno ha ipotizzato che si sia approfittato di questo fatto per rompere l’accoppiata De Pasquale – La Torre che stava per riproporsi al vertice del partito siciliano e che non era ben vista a Roma, considerato il precedente delle lotte contadine condotte dai due che avevano portato allo scontro De Pasquale – Li Causi. Pio La Torre infatti per quelle elezioni regionali del ’67 aveva voluto decisamente che Pancrazio De Pasquale lasciasse il parlamento nazionale per venire in Sicilia e diventare capogruppo all’ARS, e ciò al fine di rinnovare il gruppo parlamentare alla Regione.
I metodi sono quelli di quei tempi e di quel partito e La Torre comunque si comporta disciplinatamente. Prima dirige la federazione di Palermo, poi va a Roma con incarichi nazionali. Questo è stato, secondo me, un periodo chiave del percorso politico di Pio La Torre, perché penso che si possa dire che anche attraverso questa “rimozione” è passato il suo futuro cammino nazionale. E cioè, privo di importanti ruoli politici, lo si lancia fuori dall’Isola, prima con incarichi di settore nell’ambito agrario e meridionale e poi come deputato nazionale.
Tutti gli intervistati sottolineano però come questo episodio della destituzione dalla segreteria regionale abbia inciso profondamente nell’animo di La Torre. E l’onorevole Macaluso ha riferito che appena qualche mese dopo la rimozione, La Torre si dovette operare per una malattia che lo colpì proprio in quel periodo. Molti arrivano a ipotizzare che nel suo volere ritornare in Sicilia nell’81 ci sia stata anche una componente di rivincita sulla rimozione verificatasi nel ’67.
È attraverso questi ricordi dei compagni di partito che La Torre in questa occasione assume una caratteristica più umana e più fragile di quanto si era potuto immaginare. Il fermo, deciso, fedele La Torre, uomo di partito e di apparato, prova sentimenti di stupore e di amarezza. Le testimonianze su questo episodio del suo allontanamento dalla segreteria regionale del partito ci fanno conoscere aspetti inediti della sua personalità.

Il ritorno in Sicilia nell’81

Anche sul ritorno in Sicilia di La Torre nell’81 c’è stata polemica e discordanza nella ricostruzioni dei fatti. C’è chi dice che volle tornare lui stesso, chi afferma che fu una componente siciliana a richiamarlo, chi delinea due schieramenti in campo, chi mette insieme le varie ipotesi.
Comunque dalle testimonianze raccolte sembra che le parti, a quel tempo in gioco, si siano invertite nel corso degli anni successivi. E cioè coloro i quali non lo volevano in quel momento perché lo ritenevano appartenente alla “destra” del partito e simbolo della vecchia generazione, negli anni dopo la morte sono stati quelli che lo hanno riconosciuto come proprio simbolo e propria bandiera. Al contrario, chi si batté perché tornasse in Sicilia ha costituito in seguito la parte del partito più conservatrice e moderata.
Sicuramente dopo la morte di Pio La Torre troppi si sono voluti intestare la sua amicizia, la sua visione politica, le sue idee, le sue battaglie.

I motivi dell’uccisione: mafia, Comiso, le battaglie su vari fronti…

La Torre da sempre ha lottato contro la mafia. Ha iniziato da giovane nella sua borgata di periferia, ha continuato nelle campagne accanto ai braccianti e ai contadini poveri, ha proseguito la lotta a Palermo occupandosi dei Cantieri navali, dei mercati cittadini, della speculazione edilizia e dell’attività al Comune di Palermo. Riversa poi tutta questa esperienza nella Commissione nazionale antimafia, si batte infine perché nel codice penale venga introdotto il reato di associazione mafiosa e perché vengano aggrediti i patrimoni dei mafiosi.
È proprio quest’ultima iniziativa che molti ritengono abbia determinato la sua condanna a morte da parte della mafia. L’obiettivo di togliere i beni accumulati con il denaro illecito, colpendo al cuore l’organizzazione criminale, viene giudicato come una misura insopportabile e insostenibile da parte di chi esercita il potere e il controllo mafioso. La vicenda Sindona d’altronde, determinando un nodo cruciale di contatto fra la mafia e il mondo economico e finanziario, sembra esprimere in quegli anni tutto l’enorme potere di accumulazione dell’organizzazione mafiosa. La Torre è particolarmente colpito da questa evoluzione finanziaria della mafia ed esprime preoccupazione e sconcerto.
Sicuramente questo progetto di legge, che per la prima volta istituisce il reato di associazione mafiosa e punta deciso verso le enormi ricchezze illegali, assieme anche alla decennale battaglia contro la mafia, è una delle cause dell’eliminazione di Pio La Torre.
L’altra grande battaglia che La Torre combatte nell’ultimo periodo della sua vita al rientro in Sicilia è contro l’installazione dei missili americani Cruise a Comiso. Egli vedeva in particolare nel legame “militarizzazione del territorio – servizi segreti – mafia” una miscela esplosiva e pericolosissima per la democrazia. Si batté strenuamente perché il fronte antimissili e per la pace fosse stato il più ampio possibile e avesse incluso anche chi era tradizionalmente nel campo avversario. Fu per questo criticato e non capito, ma le ampie alleanze per le grandi battaglie sono state sempre un suo preciso obiettivo.
Quasi tutti gli intervistati individuano nell’insieme delle due battaglie contro la mafia e contro i missili Cruise una causa determinante nella decisione del suo omicidio.
La Torre agiva anche su vari fronti, connessi con le sue battaglie: aveva spinto perché venisse rimosso il questore di Palermo iscritto alla loggia massonica P2 e perché fosse nominato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa prefetto di Palermo. Era preoccupato dello sbarco a Palermo dei più importanti imprenditori catanesi perché questo significava che tra il mondo economico della Sicilia orientale e la mafia palermitana c’era una pacifica convivenza. Era intervenuto inoltre sull’appalto-concorso per la costruzione del palazzo dei congressi di Palermo che aveva come protagonisti i Cavalieri del lavoro di Catania.
Gli attacchi continui contro Ciancimino, il vasto schieramento messo in campo a favore della pace, le concrete proposte contro il dominio mafioso, la generale attività di moralizzazione e legalità promossa a tutti i livelli, espongono La Torre oltre misura. Soprattutto la sua intuizione nell’individuare i problemi e la sua instancabilità nel perseguirne le soluzioni nocquero e crearono intralcio a chi fino a quel momento aveva avuto mano libera in Sicilia. L’addentrarsi in tutti questi terreni minati provocò la decisione della mafia di eliminare La Torre.

Che ritratto è stato disegnato di Pio La Torre: l’uomo e il politico

Ma chi era in fondo Pio La Torre per essere stato ucciso così repentinamente al suo ritorno in Sicilia? La mafia non spara nel mucchio. La mafia uccide chi le nuoce e chi le dà veramente filo da torcere.
E questo era Pio La Torre. Un individuo duro, tenace, testardo. Un pragmatico che voleva unire alla teoria la pratica, a cui piaceva attuare quello che si decideva, che voleva concretizzare le idee e le discussioni. Era uno che voleva vedere i risultati dell’azione politica. Voleva vedere realizzati gli obiettivi che ci si poneva.
Tutto questo è difficile trovarlo in politica. Spesso anzi questa parola è sinonimo di inconcludenza, di una maniera parolaia di affrontare i problemi, di assoluta inadeguatezza nel prendere decisioni. Pio La Torre era proprio all’opposto di questa tradizionale tendenza della politica. Lui voleva esattamente l’opposto. Voleva aggredire i problemi in modo concreto, parlando meno e agendo di più.. Ecco perché è stato descritto da tutti come un maniaco dell’organizzazione. In questo si rivelava di una meticolosità, puntigliosità, attenzione, che, come ha detto qualcuno, risultavano perfino eccessive e pesanti.
E poi l’attivismo, instancabile. È rimasto proverbiale il suo svegliare la mattina presto i compagni che dovevano organizzare qualcosa. Era incessante in questa sua operazione di stimolo e controllo. Al suo ritorno in Sicilia risultava ancora più strano questo suo modo di fare. Gli anni erano passati e il modo di fare politica si era rilassato. Lui arriva e dà la sveglia a tutti: giovani e vecchi, uomini e donne, per questa battaglia e per quella raccolta di firme. Chiede ogni sera il conto a tutte le sezioni del partito. Insomma certe volte, anche a causa della sua irruenza, è mal sopportato.
E poi la passione: se vedeva un compagno non sufficientemente appassionato e convinto, subito lo segnalava come uno che aveva poco a cuore il partito. Lo giudicava freddo e poco adatto a dirigere la vita di organizzazione, andava sostituito con qualcuno più infervorato e determinato.
Mi sembra a questo punto evidente perché è stato ucciso. Perché era uno che agiva e operava concretamente. Poche parole e molti fatti, poche chiacchiere e molte misure efficaci. È evidente che una persona così nuoce a molti e spezza molti intrecci pericolosi. Difficilmente si può lasciare fare chi agisce in questa maniera, bisogna intervenire per eliminare un pericoloso avversario, che aggrega, parla chiaro, colpisce punto su punto.

La figura dell’uomo politico invece è più controversa. Se da un lato infatti è stato indubbiamente un uomo legato al partito, all’apparato, alla linea dominante, un “governativo” insomma, dall’altro però il suo fare e agire politico andavano nel senso opposto, facendone quasi un “ribelle”. E cioè la sua continua ricerca di alleanze vaste il più possibile, il suo essere trasversale nelle lotte popolari, la sua decisione nel condurre a termine le battaglie che si proponeva, lo rendevano autonomo e difficilmente governabile dall’una o dall’altra parte del partito.
Definirlo di destra, amendoliano, bufaliniano, o uomo di centro del partito, mi pare riduttivo e fuorviante. Se infatti sicuramente questi sono stati i suoi riferimenti culturali e le sue frequentazioni personali all’interno del partito, la sua irruenza e determinazione difficilmente si conciliavano con la moderazione e la misura. E certo lui non era per i patteggiamenti e i compromessi con gli avversari politici. Altra cosa sono invece la ricerca delle alleanze possibili e la creazione di vasti fronti comuni, che erano obiettivi che lui si poneva sempre nella sua azione politica.
Comunque è vero che all’interno del partito difficilmente prendesse posizione contro le decisioni del centro e dell’apparato burocratico. Sembra di scorgere un atteggiamento molto fedele e molto attento all’unità del partito. Questa è certo una sua caratteristica profonda: la fiducia e la fedeltà al partito e alla vita di partito. Il partito viene prima di tutto e per il partito ci si deve sacrificare. E certe volte quindi bisogna digerire e sopportare qualche decisione non condivisa, fare buon viso a cattivo gioco, stare zitti per andare avanti e superare le difficoltà del momento. Ne esce fuori comunque un uomo politico cauto ma determinato, riflessivo ma deciso, fedele ma intransigente. Il suo fondamentale aspetto della fermezza e risolutezza prevale sul modo prudente e cauto di agire.
E infine c’è la sua continua attenzione nel valorizzare tutte le energie umane possibili. Nel partito ognuno deve essere utilizzato e deve agire secondo le proprie doti e qualità, nessuno deve essere messo da parte ed eliminato. Tutti devono dare un contributo e anche i vecchi militanti e quelli che si sono allontananti devono essere di nuovo coinvolti e avere responsabilità. Questa idea di recuperare e spingere affinché tutti partecipino alla vita di partito e alla vita politica fu un suo chiodo fisso e, a mio avviso, una delle sue doti più pregevoli.