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Babbo Natale e le bufale del web…

Umberto Santino

Babbo Natale e le bufale del web…

Il 2016 è finito e il 2017 è cominciato all’insegna di una domanda: “Babbo Natale esiste o non esiste?”. A quanto pare nell’Auditorium della musica di Roma un direttore d’orchestra, tal Giacomo Loprieno, alla fine delle prima di uno spettacolo natalizio dell’intramontabile company disneyana, forse per il disappunto per lo scarso successo, si è rivolto al pubblico di bambini e genitori, dando un annuncio inatteso: ”Babbo Natale non esiste”. Una ripicca che poteva passare inosservata ma in piena atmosfera natalizia in cui è obbligatorio essere buoni e celebrare le feste con gli spot di panettoni e pandori, è scoppiato un putiferio, peggio dei botti di capodanno. I genitori hanno protestato, i bambini hanno pianto, sui social si è scatenata una bufera d’insulti, con allegata minaccia di class action, e il direttore blasfemo è stato licenziato in tronco e sostituito da un altro che per dimostrare la sua ortodossia si è fatto un selfie con un Babbo Natale in carne e ossa, che ha mostrato un certificato di nascita che prova inequivocabilmente la sua esistenza.
Sui media c’è chi ha ricordato vicende familiari di bambini felicissimi di ricevere doni da un Babbo Natale inventato ma credibile, tanto da apparire vero o verosimile, o da un’altrettanto credibile Befana; non è mancato l’intervento di psicologi che hanno sottolineato il “ruolo insostituibile “ delle fiabe nell’educazione dei piccoli, con citazioni che nessuno si sognerebbe di smentire. Tra i personaggi ricordati c’è Albert Einstein che raccomandava ai genitori che vogliono figlioli svegli e intelligenti di raccontare loro le fiabe. Non sappiamo se avere letto o ascoltato le fiabe di Cappuccetto rosso divorata dal lupo, di Pollicino e dei fratelli abbandonarti dai genitori e che rischiano di finire in bocca all’orco, di Hänsel e Gretel a stento scampati al forno della strega, abbia aiutato il piccolo Albert a diventare Einstein, comunque questa teorizzazione del ruolo positivo delle fiabe non è una novità. Non è il canonico “c’era una volta”, che sottintende un “…e adesso non c’è più” ma è il frutto di una constatazione: le fiabe sono antiche quasi quanto la specie umana e se adesso voci di nonne e di madri e libri illustrati sono stati sostituiti da mezzi più moderni, esse sono tra le poche cose sopravvissute ai massacri del tempo. Se sono così longeve non possono non essere belle e incantevoli come le attrici di successo.
Un grande scrittore e raccoglitore di fiabe come Italo Calvino scriveva: le fiabe sono “una spiegazione generale della vita”, sono scuole di vita, aiutano a liberarsi e autodeterminarsi. In un libretto di qualche anno fa mi chiedevo, con immutato rispetto per Calvino: che spiegazioni della vita danno le fiabe, quali percorsi di liberazione indicano o suggeriscono? Francamente non credo che una pedagogia della paura, che sciorina mostruosità assortite, possa aiutare ad affrancarsi dai mali e dagli orrori della vita. Più che liberare, le fiabe condizionano e imprigionano. E il lieto fine, in cui i buoni fanno ai cattivi quello che i cattivi volevano fare ai buoni, non mostra vie d’uscita dal circuito della violenza. Nelle fiabe nessuno è innocente. E accanto alla pedagogia della paura c’è un’altra pedagogia, quella del crimine, insegnata con particolare perizia da un personaggio della cronaca, Nonna Eroina, che spodesta l’innocente novellatrice di Pitrè, Agatuzza Messia, popolana dell’antico Borgo palermitano, palcoscenico di fantasie domestiche ma pure incubatore di mafia.
Viviamo di creazioni immaginarie, che ci aiutano, o crediamo che possano aiutarci, a scampare da delusioni quotidiane. Anche se sappiamo che non sono né riscontrabili né veritiere. Il Natale e il capodanno hanno un loro repertorio consolidato di immagini rassicuranti, un puzzle in cui il presepe convive con l’albero di Natale e si incrociano credenze religiose e laiche: la nascita di Gesù Bambino figlio del Sud e la generosità del nordico Santa Claus, che però sarebbe la trascrizione anglosassone di un San Nicola trasmigrato dall’originaria Asia minore a Bari. Un contorno indispensabile del puntuale solstizio d’inverno e della compiuta rivoluzione del pianeta intorno al sole. Il malcapitato direttore d’orchestra, cacciato via con o senza art. 18, ha il torto gravissimo di avere tentato di guastare una festa millenaria e, per nostra fortuna, non c’è riuscito.
Il 2016 secondo più d’uno passerà alla storia come l’anno della post-verità, l’ultima incarnazione delle mille trasfigurazioni della improntitudine e del mendacio. Ed è di questi giorni, ed è destinata a durare, la polemica sulle fake-news, le bufale del web. Qualche alto funzionario fedelissimo dei governi in carica sentenzia che bisogna cancellare le notizie “false e tendenziose”, che mettono in pericolo la democrazia, ma qualcuno chiede: chi decide che lo siano? E se non fossero proprio le istituzioni a metterle in giro? Anche qui non si tratta proprio di novità. Queste cose le scriveva già Orwell: per il suo Miniver (Ministero della Verità) “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”, e potremmo aggiungere: la menzogna è verità. Ma dal 1984 ne è passata di acqua sotto i ponti, non sempre chiara, fresca e dolce, come cantava un poeta d’altri tempi. Per questo capodanno possiamo solo sperare che il messaggio che arriva dalla notte di Istanbul non ci faccia ripiombare nel buio.

Pubblicato su Repubblica Palermo del 5 gennaio 2017, con il titolo: Le fiabe educative insidiate dalle bufale.