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Omicidi di mafia

Umberto Santino

La mafia tra violenza e collusione. Dagli ultimi omicidi ai vandali dello ZEN

L’omicidio a Campobello di Mazara di Giuseppe Marcianò, genero del boss Diego Burzotta, e quello del 22 maggio scorso di un boss come Giuseppe Dainotti a Palermo, nel quartiere Zisa, ripropongono un tema che sembrava archiviato. Le teorizzazioni di una mafia mercatista, lanciata sul mercato globale e nel business internazionale, che si sarebbe lasciati alle spalle stragi e omicidi, e di una mafia che avrebbe sostituito il ricorso alle armi con la strategia della collusione-corruzione, mostrano ancora una volta che distinzioni troppo nette, rotture e salti che segnerebbero discontinuità irreversibili, sono poco adatte per capire l’evoluzione di fenomeni complessi, a cominciare dalla mafia. Intanto, non è vero che la mafia di prima non prestasse attenzione alle dinamiche del mercato, legale e illegale, o che tralasciasse di giocare la carta della collusione-corruzione (basterebbe guardare alla storia, non solo a quella recente, per accorgersene) e il ricorso alla violenza, praticata o minacciata, come dimostrano gli omicidi di cui parlavamo e le quotidiane minacce agli amministratori pubblici, diligentemente registrate dai rapporti di Avviso pubblico, finora rimane un carattere imprescindibile del corredo identitario degli affiliati all’associazione mafiosa, nel suo modello siciliano e in altre espressioni che ad esso, in qualche modo, si riferiscono.

La relazione della Procura nazionale antimafia presentata il 22 giugno scorso, nelle pagine che riguardano Cosa nostra, oscilla tra una registrazione della crisi sopravvenuta in seguito all’azione repressiva degli ultimi decenni, con le condanna di capi e gregari, i conseguenti vuoti negli organici e la promozione delle seconde file, e una marcata sottolineatura della persistenza del fenomeno mafioso che attraverserebbe un periodo di transizione ma tutto sommato sarebbe capace di riorganizzarsi e di proseguire i suoi traffici. Riguardo ai rapporti con la pubblica amministrazione viene segnalata una novità: se prima si poteva parlare di infiltrazione e accaparramento di somme consistenti di denaro pubblico, attraverso appalti, subappalti, autorizzazioni, concessioni ecc., oggi emergerebbe un dato inquietante: la regolazione della spesa pubblica, il suo orientamento e la sua determinazione attraverso il ruolo decisivo dei broker, o facilitatori, che individuano le possibilità di acquisire fondi pubblici, come quelli europei, e indirizzano o sollecitano la pubblica amministrazione a compiere le pratiche necessarie per assicurarseli. Si realizzerebbe così un governo della spesa pubblica da parte delle organizzazioni criminali, con la decisiva ipoteca a vantaggio di esse e dei loro complici nella veste di consulenti, decisori e utilizzatori.

Va da sé che questo non sarebbe possibile senza un sistema di rapporti che legano gruppi più o memo classificabili come mafiosi al contesto sociale e istituzionale. La Procura nazionale antimafia insiste sulla tenuta di questo sistema relazionale, anche se segnala fatti significativi come il diffondersi dell’antiracket e la presa di coscienza di buona parte della società civile. Una conferma della buona salute di cui godono le relazioni mafiose viene dall’inchiesta di Messina,con trenta ordini di custodia cautelare per mafiosi , imprenditori, professionisti, amministratori, “insospettabili “ accomunati in “silenziosa fratellanza” da interessi e modelli culturali condivisi. È una “nuova mafia” che cavalca lo Stretto, un’”entità invisibile”, stranamente con nomi e cognomi, che si insinua nell’economia, o siamo ancora dentro un percorso in cui si incrociano continuità e innovazione? Quel che è certo è che ci troviamo immancabilmente dinanzi a un problema di fondo: con un’economia legale in perenne crisi, a smentita di microscopiche variazioni del PIL, reclamizzate come mutamenti di rotta e passi in avanti per uscire dal tunnel, una Sicilia e un Mezzogiorno su un binario morto, e con il vuoto politico che si è venuto a creare dopo la scomparsa delle “grandi narrazioni” e il prevalere di un’ideologia che santifica il mercato ed esalta la competizione, sbandierando la legalità ma riducendola a retorica e tattica di camuffamento, qualunque sia la sorte di singole organizzazioni, i soggetti che reggono le fila dell’economia illegale, in crescente espansione, dalla droga ai traffici di armi e di esseri umani, hanno un futuro assicurato. Anche quello che è accaduto allo ZEN (che si dovrebbe leggere: Zona di Emarginazione Nord), con la distruzione del busto di Falcone, è la riprova che per buona parte degli abitanti del quartiere l’illegalità è mezzo di sopravvivenza e pratica quotidiana e la legalità e i suoi simboli sono visti come estranei o nemici.