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Appunti per un libro di versi

Don Francesco Romano – don Cosimo Scordato

 Umberto Santino, tra un verso e l’altro

Esce in un momento propizio (tra venti di guerra) il volume di Umberto Santino Appunti per un libro di versi (ed. Di Girolamo, Trapani 2025).

L’autore, tra i più affermati e noti studiosi della mafia e dell’antimafia, superando un antico riserbo, ci offre il suo profilo biografico/spirituale, condividendo emozioni, speranze e delusioni in pagine di grande intensità e lirismo. L’opportunità scaturisce dal fatto che l’opera, pur raccogliendo poesie di diversi momenti (dal 1964 al 2023), è attraversata da un Fil Rouge che le tiene unite: il tema della violenza. Violenza sugli uomini, con particolare attenzione all’uccisione di Gesù, di Peppino Impastato, di sindacalisti, di contadini; violenza sulla natura e sugli animali, dai sacrifici nei templi alla spietatezza sul toro nella Corrida. Detta violenza ha trovato giustificazione in sistemi religiosi, alimentati dall’esigenza del sacrificio e della sofferenza.

Ma, al dio che legittima la violenza, Santino (e noi con lui) non può che opporre un rifiuto netto, mentre il nostro sguardo si posa sulle vittime per reagire contro le atrocità subìte. Qui, la poesia di Santino si incontra con i teologi della liberazione e, in particolare, con J. B. Metz la cui teologia rilegge la storia dal punto di vista delle vittime e dei vinti. Secondo lui, ogni cristiano, se non vuole prescindere dal Crocifisso, deve guardare con gli occhi dei crocifissi del mondo, dei poveri cristi che pullulano ovunque, incluso il toro trafitto dalle banderillas: “questo povero cristo animale” (p. 61). Nella delegittimazione della violenza e del connubio violenza/sacro, ci piace cogliere una sorta di ‘teologia negativa’: ovvero ciò che Dio non è e non può essere.

Ma il libro di Santino è anche altro. Così prendono forma poetica la nostalgia dei campi, il cui dialogo muto rivive “tra le vene delle (tue) mani / e un tralcio secco di vite” (p. 223); lo splendore di Anna che “chiamava le donne a corteo” (p. 47); la memoria viva della madre, i cui occhi “sanno la lingua muta delle cose” (p. 220); il toccante lamento di Felicia, la mamma di Peppino Impastato, che grida: “Questo non è mio figlio”. Per non dire dell’incontro con i grandi artisti, che hanno segnato i viaggi di Umberto e Anna. E come non citare “il sorriso di Serpotta” (pp. 383ss)? L’irruzione dei puttini avviene sopra ogni aspettativa: “Siete tutti qui / bambini della Kalsa / nudi o vestiti di stracci / irriverenti burloni…” (p. 386), in contrappunto ai misteri intorno a cui danzano. Ci piace chiudere col fremito di pace tra i due ragazzi ai piedi della battaglia di Lepanto: “Ci siete voi, / né vincitori / né vinti, / orfani / di tutte le guerre / e i vostri occhi / fratelli nella tristezza / guardano verso un futuro / che minaccia di essere / la brutta copia del passato” (p. 392).