Percorsi non violenti per il superamento del sistema mafioso
Percorsi non violenti per il superamento del sistema mafioso
La presenza nel nostro Paese di diverse organizzazioni mafiose radicate storicamente nelle regioni del sud non è un problema regionale, ma una questione storica non risolta che compromette lo sviluppo e l’evoluzione civile della nostra intera società.
In molte aree la mafia resta purtroppo l’unica forma di potere riconosciuto. In forza di tale radicamento essa ha ormai assunto caratteristiche strutturali e culturali che le consentono di rigenerarsi anche dopo fasi di repressione conseguenti a fasi di escalation di violenza.
Il cambiamento di strategia di alcune organizzazioni mafiose che hanno ultimamente adottato forme meno cruente di azione non ha mutato il clima di intimidazione, di dominio e di conseguente rassegnazione.
L’ipotesi di un declino delle organizzazioni mafiose non è purtroppo suffragata dal fatto che esse continuano
– a ricattare commercianti e imprenditori con il racket;
– a infiltrarsi nelle amministrazioni pubbliche e negli appalti;
– a smerciare droga;
– a lucrare nei mercati finanziari, nei commerci di armi, nella gestione dei rifiuti tossici;
– a svolgere un importante ruolo di socializzazione nelle aree più degradate e povere del meridione, nelle quali le organizzazioni reclutano le proprie “giovani leve”, bambini e ragazzi che restano incastrati a vita nella scelta delinquenziale e nella cultura mafiosa;
– ad essere pienamente inserita, con la collaborazione di professionisti preparati appositamente, nel circuito delle correnti della finanza illecita internazionale;
– ad avere un rapporto di condizionamento e di interazione con settori delle istituzioni.
Come singoli cittadini e associazioni operanti in contesti meridionali e impegnati da vario tempo nel contrasto alla mafia ci sentiamo ancora alla ricerca di strategie, forme di presenza, di conoscenza, di comunicazione che possano dare una svolta efficace all’evoluzione positiva del nostro sistema sociale così tristemente caratterizzato.
Dobbiamo riconoscere che, al di là delle pesanti responsabilità politiche, al di là di certi meccanismi economici strutturali che sembrano non poter essere scalfiti dalle nostre azioni organizzate, al di là dei sedimentati atteggiamenti culturali, anch’essi a volte inattaccabili, tutto ciò che abbiamo fatto non è stato sufficiente. Non si tratta soltanto della quantità di energia messa in campo, quanto della qualità dei metodi adottati, del nostro modo di essere in questo sistema.
Abbiamo individuato nella nonviolenza una possibile strada che può apportare degli elementi di novità, sia nelle modalità con cui affrontare e conoscere il fenomeno mafioso, sia nelle prassi che essa può suggerire per la trasformazione delle strutture sociali in cui siamo inseriti.
Non si tratta di stravolgere le forme storiche di impegno anti-mafia che vedono impegnate tantissime associazioni e tanti uomini delle istituzioni sul versante della prevenzione e della repressione, ma di aggiungere, come diceva Capitini, una visione particolare capace di anticipare una società liberata.
La nonviolenza porta ad agire sulla e con la coscienza dell’avversario, nella consapevolezza dell’umanità di cui ciascuno è portatore e al contempo della nostra corresponsabilità al male che vogliamo superare.
Quest’approccio implica una pratica di ascolto del vissuto e del punto di vista dell’altro, ovviamente non per accettarli passivamente e legittimarli, ma per attivare un contatto vero e profondo.
E pur partendo da questa fondamentale acquisizione la nonviolenza non trascura gli aspetti strutturali dei problemi sociali che ha di fronte.
Queste basi ci portano a riconsiderare le forme di lotta alla mafia e a porci degli interrogativi che nessuna logica emergenziale può annullare.
Ci riferiamo al nostro rapporto con chi ancora appartiene alle organizzazioni mafiose, con chi è contiguo ad esse e con il proprio comportamento gli dà consenso e con chi ultimamente ne ha preso le distanze dopo un passato di appartenenza, anche se questo non si traduce sempre con una collaborazione piena con le istituzioni della giustizia o assume forme che ci appaiono ambigue o poco comprensibili.
Ci riferiamo al possibile ruolo delle vittime, dei familiari, dei soggetti che potrebbero giocare un ruolo di terza parte.
Non vogliamo affrontare queste tematiche con un atteggiamento ideologico e critico verso ciò che è stato fatto e tuttora si fa nel mondo antimafia, anche perché molti di noi ne fanno pienamente parte. Ma riconoscendo quanto di buono è stato fin qui costruito su questo fronte, vogliamo analizzare e scegliere con rigore nuove strategie atte a gettare dei ponti di comunicazione con l’universo mafioso, senza nessuna accondiscendenza, ma anche riconoscendo gli attuali limiti delle risposte istituzionali (basti pensare alla crisi del principio rieducativo della pena previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione ).
Facendo riferimento all’insegnamento nonviolento, ai suoi maestri storici (Gandhi, Capitini, Lanza del Vasto) e ad alcune testimonianze esemplari che hanno sperimentato il metodo nonviolento nel meridione d’Italia (Danilo Dolci, Don Tonino Bello, Padre Pino Puglisi) vogliamo dar vita ad un percorso di approfondimento, di ricognizione di esperienze che già operano in questa direzione, di nuove sperimentazioni e progetti di azione nonviolenta in contesti di mafia.
Facciamo appello al mondo dell’associazionismo, delle comunità religiose di varia confessione, agli uomini impegnati nel mondo delle istituzioni (giustizia, scuola, servizi sociali), al mondo della ricerca e dell’università, ai cittadini che hanno vissuto in contesti mafiosi o ne sono stati vittime e vogliono sperimentare oggi il metodo nonviolento.
Il percorso che proponiamo non vuole costituire l’ennesimo cartello di associazioni, ma un laboratorio permanente in cui ciascuno possa partecipare senza abbandonare la propria identità personale o associativa, rafforzando comunque il proprio impegno per il cambiamento e la ricerca.
A titolo esemplificativo indichiamo alcune aree problematiche che tale laboratorio potrà approfondire:
ESPERIENZE SOCIALI DI RESISTENZA E COSTRUZIONE CREATIVA
– In quali modi può intervenire la società civile nelle sue varie articolazioni e con quale rapporto con le istituzioni?
– Quali esperienze cooperative e di impresa sociale si possono contrapporre al modello mafioso?
– Che contributo può venire dalle associazioni anti-racket?
– Come costruire percorsi di post-dissociazione?
– Quali ruoli specifici possono avere le donne ?
AREA DELLA RICONCILIAZIONE
– Come possono essere coinvolti i familiari di appartenenti alle organizzazioni mafiose?
– Si possono attivare, su questi temi, spazi di ascolto e di incontro all’interno delle carceri?
– Quali nuove pratiche è possibile costruire in ambito giudiziario? (per es. giustizia rigenerativa/riparativa)
– Come valorizzare gli apporti in ambito psicologico per favorire percorsi di fuoriuscita da contesti mafiosi?
– Quali cammini di accompagnamento le comunità dei vari credi religiosi possono predisporre nei confronti di eventuali processi di conversione?
– Sono possibili interazioni tra questi cammini spirituali e pratiche di riconciliazione in ambito civile?
APPROFONDIMENTI SCIENTIFICI
Riteniamo che operare all’interno delle aree sopra richiamate comporti un adeguato approfondimento scientifico, con vari apporti disciplinari e confronti internazionali. In questo percorso sarà pertanto opportuna la collaborazione di singoli ricercatori, centri studi, università, riviste scientifiche e di area nonviolenta in tema di:
Mafia e processi strutturali
Aree di approfondimento :
– Scenari internazionali (Globalizzazione)
– Guerre, traffico d’armi
– Narcotraffici
Metodologia nonviolenta e criminalità
Aree di approfondimento:
– Teoria e pratica della nonviolenza
– Forme storiche di azione nonviolenta in contesti di mafia
– Modelli e sperimentazioni di mediazione in ambito giudiziario e sociale
– Difesa Popolare Nonviolenta e criminalità organizzata
Su questi temi proponiamo la costruzione di una rete nazionale di collegamento e l’organizzazione di varie iniziative che possano sfociare in un evento nazionale per la primavera del 2005.
Palermo 26 marzo 2004
Giovanni Abbagnato, Augusto Cavadi (Scuola di Formazione Politica G. Falcone), Andrea Cozzo (Facoltà di Lettere e Filosofia, Palermo), Maria Antonietta Malleo (MIR-IFOR), Enzo Sanfilippo (Movimento dell’Arca), Umberto Santino (Centro “G. Impastato”, Palermo), Carmelo Torcivia (Associazione Kairò, Palermo) Emanuele Villa (LIBERA PALERMO), Cosimo Scordato (Centro Sociale S. Saverio), Piero Fantozzi (Università di Cosenza), Nanni Salio (Centro Studi D. Sereno Regis, Torino), Francesco Lo Cascio (MIR), Sara Ongaro (Cooperativa Quetzal, Modica), Rocco Altieri (Quaderni Satyagraha, Pisa).
Vincenzo Sanfilippo (a cura di), Nonviolenza e mafia. Idee ed esperienze per un superamento del sistema mafioso, Di Girolamo editore, Trapani 2005, pp. 158.