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Umberto Santino

Mattarella 40 anni dopo. Ricostruire il contesto

Le considerazioni suscitate dal quarantesimo anniversario dell’assassinio del Presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella meritano di essere riprese su un punto di fondo: il personaggio, e quindi anche il delitto, non possono essere collocati dentro i confini locali ma in un orizzonte molto più ampio. Se in gioco c’era il rapporto tra i due maggiori partiti italiani, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, in un Paese frontiera tra due mondi contrapposti, tale rapporto non poteva non avere ripercussioni a livello geopolitico. È dunque l’intero quadro che bisogna ricostruire, al di là dello stereotipo che vuole i delitti e le stragi classificati come “politico-mafiosi” destinati, sul piano giudiziario, a concludersi, bene che vada, con le condanne dei mafiosi, vuoi come mandanti o come esecutori, lasciando nell’ombra i poteri “occulti” (o occultati), dai servizi cosiddetti “deviati” alla P2, a Gladio o a fantomatiche entità transnazionali.

La “pista nera” di cui si è tornati a parlare, sull’onda delle dichiarazioni di Giovanni Falcone nel corso di un’audizione del 3 novembre 1988, desecretata dalla Commissione antimafia, rischia di replicare un copione che ricompare di tanto in tanto, se non viene inserita in un contesto che leghi insieme l’assassinio di Aldo Moro e quelli di Reina, Mattarella e La Torre, per limitarci solo ad alcuni delitti della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Falcone parlava di “saldature” che rendevano necessario riscrivere “la storia di certe vicende del nostro Paese” e nella requisitoria che accompagnava il rinvio a giudizio dei capimafia e dei terroristi neri Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, scriveva: “i rapporti tra gli ambienti del terrorismo nero e della criminalità mafiosa sono ritenuti articolati e non occasionali”. Cioè si trattava di una strategia inclusiva, il cui collante erano l’anticomunismo e lo sbarramento ai progetti in corso di un’alleanza tra Dc e Pci.

In quegli anni a temere il “pericolo comunista” erano in tanti, a livello nazionale e internazionale, con in testa gli Stati Uniti, e niente esclude che possano esserci stati legami tra vari soggetti, apparentemente lontani e contrapposti. “O è mafia o è terrorismo” .diceva Sciascia per il delitto Mattarella, “o è mafia camuffata da terrorismo o terrorismo che ci si ostina a vedere come mafia”. Ma l’aut-aut poteva tramutarsi in un et-et. Anche le Brigate rosse si erano arruolate a quella strategia, pensando che con il sequestro e l’uccisione di Moro, che dell’apertura ai comunisti era il più convinto sostenitore, si potesse aprire un varco alle loro velleità “rivoluzionarie”.

Sappiamo com’è andata a finire. Sulla base della convinzione che Cosa nostra non poteva aver affidato l’esecuzione di un delitto di tale portata a due giovanotti neofascisti, la pista del terrorismo nero è stata esclusa. In ogni caso, se lo scopo del delitto Mattarella era interrompere un’azione che poteva portare a un’apertura al Pci, quello scopo è stato raggiunto: alla Presidenza della regione è andato Mario D’Acquisto, nettamente contrario a quell’alleanza. E quella prospettiva si sarebbe definitivamente chiusa. Siamo di fronte all’ennesimo esempio in cui la violenza si è dimostrata una risorsa decisiva sul piano politico. Una vicenda cominciata, per dirla con Falcone, in “tempi assai lontani”. Ci vorranno la mattanza dei corleonesi e soprattutto il delitto Dalla Chiesa perché lo Stato passi all’offensiva.

Certo, un processo penale non è la stessa cosa di una ricostruzione storica, ma se si vogliono verificare e approfondire le ipotesi di Falcone, e tenuto conto che la Cassazione ha messo un sigillo definitivo sull’assoluzione di Fioravanti e Cavallini, penso che la Commissione parlamentare antimafia dovrebbe fare, per il delitto Mattarella e altri delitti e stragi su cui non c’è una verità giudiziaria o è inadeguata e parziale, quello che ha fatto per il depistaggio sul delitto Impastato, individuando responsabilità anche ai livelli più alti della magistratura e delle forze dell’ordine. Ci sono troppi buchi neri: reperti scomparsi, anomalie non casuali. Anche la Commissione regionale antimafia potrebbe fare la sua parte. La storia non la scrivono solo gli storici.

Pubblicato su “Repubblica Palermo” del 7 gennaio 2020, con il titolo: Trame nascoste dietro il delitto.