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Dopo Parigi

Umberto Santino / Centro Impastato

A Palermo la Conferenza su Pace e diritti nel Mediterraneo.

La pace naviga controcorrente…

 

Il 12 e il 13 novembre a Palermo si è svolta una conferenza su pace e diritti nel Mediterraneo, promossa dall’associazione Primalepersone, dall’Adif (Associazione diritti e frontiere), dall’Università, dal Comune e dalla Consulta delle culture, con il contributo della Sinistra unitaria europea. Vi hanno partecipato protagonisti storici della vita politica e del pacifismo, studiosi, operatori sociali, europarlamentari e hanno portato la loro testimonianza rappresentanti delle comunità extracomunitarie presenti in città.

La conferenza ha avuto il merito di mettere insieme temi che abitualmente vengono considerati separabili: dai mutamenti climatici alle migrazioni, dalla pace ai diritti umani. Filo conduttore degli interventi è stata la considerazione che ci troviamo di fronte a problemi che non sono leggibili sotto la voce “emergenze” ma sono strutturalmente legati alle dinamiche della globalizzazione così come si è configurata negli ultimi decenni. Un’economia sempre più segnata dalla finanziarizzazione, che emargina gran parte della popolazione mondiale e arricchisce ulteriormente una sparuta minoranza, che incentiva le guerre per assicurarsi le risorse mondiali, calpesta diritti umani fondamentali, come quello alla mobilità, dopo aver reso invivibili molte aree del pianeta, e aggrava il disastro ambientale.

Che ruolo ha l’Unione europea? Le scelte, ribadite dalla conferenza di Malta della settimana scorsa, fondate sulle quote di rifugiati assegnate ai singoli paesi membri, con dei no espliciti dei paesi dell’Est che frappongono muri e fili spinati, e sulla mobilità forzata e la esternalizzazione delle frontiere, con il mandato ai paesi da cui muovono i flussi migratori, spesso retti da dittature, di contenere le persone dentro i loro confini, invece di avviare una strategia adeguata replicano la logica dell’emergenza.

E mentre milioni di persone si accingono a lasciare i loro paesi, va in scena una guerra che assume forme diverse dalle guerre tradizionali: qualcuno parla, credo che l’abbia fatto per primo Papa Francesco, di prove generali di una terza guerra mondiale. I massacri di Parigi del 13 novembre, che fanno seguito ad altre ecatombi (ma siamo pronti a commuoverci solo per quello che avviene a casa nostra o negli immediati dintorni) ne sono la riprova e le minacce rivolte ad altri paesi e ad altre città, Roma, Londra e Washington, è probabile che trovino i fedeli di un dio fatto a immagine e somiglianza degli istinti umani peggiori pronti a metterle in atto.

Parlare di pace in questo momento storico può sembrare il pio desiderio di anime belle che non vogliono prendere atto della realtà, ma non c’è niente di più realistico della consapevolezza dei disastri che le guerre e le politiche internazionali hanno prodotto, suscitando odio verso i paesi occidentali, spingendo frange crescenti verso il fanatismo religioso e l’apocalisse con il kalashnikov. Lo spettacolo dell’orrore messo in scena dall’Isis si inserisce in un contesto in cui proliferano conflitti in varie parti del pianeta e né gli organi internazionali né gli stati nazionali sono capaci di pensare e attuare una strategia che vada alle radici delle tensioni. In questo quadro gli unici che possono fregarsi le mani per il buon andamento dei loro affari sono i produttori e i trafficanti di armi.

Lo stereotipo dell’emergenza vale anche per le mafie transnazionali. Le mafie accumulano grandi masse di capitale, favorite dai proibizionismi che sbarrano la strada ai canali legali e sanciscono il loro oligopolio dei traffici internazionali, da quello delle droghe a quello degli esseri umani. Il crimine organizzato, lungi dall’essere un fenomeno residuale, fa parte a pieno titolo di questo contesto e le attività illegali sono fra le fonti di finanziamento del sedicente stato islamico.

Nel suo ultimo libro, una sorta di testamento, Luciano Gallino parla della scomparsa del pensiero critico e della vittoria della stupidità. Mentre il neoliberismo si atteggia a pensiero unico di un Occidente la cui tavola di valori è ridotta alla competizione per aggiungere qualche punto di Pil, il fanatismo pesca nei libri sacri le credenziali per la replica della guerra santa. In questo quadro l’unica strada che può portarci fuori dallo scontro di civiltà, con esiti disastrosi per tutta l’umanità, è la riscoperta delle ragioni fondamentali della convivenza civile. Costruire la pace, realizzandone quotidianamente le condizioni, promuovere nuove forme di partecipazione democratica, ridare un senso a una rappresentanza sempre più mortificata, intrecciare rapporti tra quanti vogliono operare in questa direzione e non vogliono arrendersi a logiche che danno per ineluttabile la situazione attuale, denunciare le complicità a vari livelli: questi vogliono essere gli obiettivi della conferenza di Palermo, che è solo il primo passo di un programma di impegni. Utopie concrete che sanno di doversi misurare con le difficoltà di una navigazione controcorrente.

 

Pubblicato su Repubblica Palermo del 20 novembre 2015, con il titolo: I coraggiosi della pace che sfidano la guerra.