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Mafia e tratta

Umberto Santino

Il mercato del sesso a Palermo. Mafia e nuovi gruppi criminali
Premessa: traffico di esseri umani, crimine transnazionale e processi di globalizzazione

 

Il traffico di esseri umani viene collocato al terzo posto tra i proventi dei gruppi criminali, con una stima di 31 miliardi di dollari l’anno, dopo il traffico di droghe (tra i 300 e i 1000 miliardi) e il traffico di armi (290 miliardi). Anche se le stime dei “fatturati” criminali sono da prendere con una certa cautela (spesso non vengono indicati i criteri in base ai quali sono effettuate) quel che è certo è che l’accumulazione illegale ha avuto negli ultimi decenni un enorme incremento e questo è stato tra i motivi che hanno indotto le Nazioni Unite a organizzare la conferenza sul crimine transnazionale svoltasi a Palermo nel dicembre del 2000.

Da quell’incontro sono scaturite una Convenzione e due protocolli aggiuntivi, uno sulla tratta di persone, in particolare di donne e bambini, e l’altro sul traffico di migranti. Un terzo protocollo sulla produzione e il traffico di armi non è stato firmato. L’art. 2 della Convenzione dà la seguente definizione del gruppo criminale organizzato:

“Gruppo criminale organizzato” indica un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla presente Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale.

Il protocollo sulla tratta di persone così definisce la tratta:

Tratta di persone indica il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi.

L’analisi alle spalle della Convenzione delle Nazioni Unite considera il crimine transnazionale, cioè le forme di criminalità e i soggetti criminali presenti in vari Paesi, il prodotto di società in cui ci sono Stati deboli e mercati senza regole. In contemporanea con la conferenza dell’ONU alcune associazioni, tra cui il Centro Impastato, hanno svolto un seminario, dal titolo “I crimini della globalizzazione”, che sviluppava un’analisi diversa: la diffusione del crimine è un prodotto dei processi di globalizzazione che hanno un forte effetto criminogeno per due aspetti fondamentali: l’incremento degli squilibri territoriali e dei divari sociali, per cui gran parte della popolazione del pianeta ha come risorsa unica o più conveniente il ricorso ad attività illegali, e la finanziarizzazione dell’economia, che rende sempre più difficile la distinzione tra capitali illegali e legali. Questa è la ragione per cui forme di criminalità organizzata si sviluppano sia nelle periferie che nei centri. E fino ad oggi l’esempio più significativo di sviluppo dell’associazionismo criminale rimangono gli Stati Uniti, che vengono considerati un modello di capitalismo maturo, di progresso e di democrazia (Santino 1997, 2000).

All’interno dei processi di globalizzazione grandi masse di popolazione sono costrette all’emigrazione e ad accettare forme di sfruttamento e di vera e propria schiavitù, che vanno dal lavoro nero e non tutelato alla mercificazione del corpo. E il sesso mercenario, a cui ricorrono milioni di persone, si può considerare come una forma di colonialismo contemporaneo, una esercitazione di potere su un corpo ridotto a merce, che perpetua e aggrava modelli comportamentali basati sull’inferiorità della donna e sull’oggettualità del corpo femminile, ridotto a strumento di piacere e apparato riproduttivo in un quadro dominato dalla crescente “mercificazione delle relazioni umane” (Cole 2010, p. 102)

Nel contesto attuale i flussi migratori e il traffico di esseri umani si configurano come “fatti sociali totali”, a dimensione planetaria, con “funzione specchio”, cioè disvelano dinamiche che interessano la comunità umana nel suo complesso (Palidda 2008).

Sia il traffico di droghe che quello di esseri umani hanno alle spalle le legislazioni proibizionistiche, che vietano l’uso delle sostanze stupefacenti e impediscono la libera circolazione delle persone, offrendo alle organizzazioni criminali le fonti più consistenti dell’accumulazione illegale, con la fornitura di beni e servizi a consumo di massa, mentre il traffico di armi risponde alle domande innescate da conflittualità diffuse, si manifestino o meno in forme di guerra.

Per quanto riguarda l’Italia e in particolare il mercato del sesso, si parla di un giro d’affari dell’ordine di 5 miliardi di euro l’anno, con un numero di donne vittime di tratta che varia a seconda delle rivelazioni delle istituzioni e degli osservatori della società civile. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni dà un numero che va dai 19 ai 26 mila, il Gruppo Abele dà numeri più alti (70 mila) comprensivi anche delle donne che non sono propriamente vittime della tratta (secondo dati del 2000 meno del 10 per cento delle prostitute straniere in Italia sarebbero vittime di tratta: Covre-Paradiso 2000 in Cole 2010; i dati andrebbero verificati e aggiornati). I clienti sarebbero 9 milioni. Una domanda imponente, a cui cerca di rispondere un’offerta crescente.

 

Mafia e gruppi criminali emergenti

Com’è noto, sulla mafia siciliana esiste una letteratura pressoché sterminata eppure si può dire che fino ad oggi non si è affermata un’idea di mafia generalmente condivisa. Solo nel settembre del 1982, dieci giorni dopo l’assassinio del generale-prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo, si è approvata la cosiddetta “legge antimafia”, che all’art. 416 bis così definisce l’associazione a delinquere di tipo mafioso:

L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.

La definizione coglieva una realtà documentabile già nel passato, almeno un secolo e mezzo prima: l’esistenza cioè di un associazionismo caratterizzato dalla “forza di intimidazione”, cioè dal ricorso, effettuato o minacciato, alla violenza, dallo svolgimento di attività economiche e dall’interazione con la pubblica amministrazione e le istituzioni, soggetti erogatori di concessioni e autorizzazioni, gestori di appalti e servizi pubblici. Rimaneva fuori dal quadro l’attività finanziaria, collegata con la lievitazione dell’accumulazione illegale negli ultimi decenni, che sarebbe stata oggetto della legislazione sul riciclaggio del denaro sporco.

Per quanto riguarda le idee correnti (stereotipi), la mafia è stata considerata un fenomeno emergenziale (“la mafia esiste quando spara”, come se tra un omicidio e l’altro andasse in vacanza), come “antistato” (la mafia uccide rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine, quindi è fuori e contro lo Stato, ma in realtà ha rapporti, continuativi e non episodici, con settori delle istituzioni), come Piovra universale (in realtà esistono varie organizzazioni che si possono definire “mafie”, ma non esiste una Mafia planetaria); è stata analizzata dagli studiosi attraverso paradigmi (idee elaborate in base a un criterio e fondate su una certa massa di dati) come subcultura, cioè modello comportamentale specifico di buona parte della popolazione, come associazione unitaria e verticistica (Cosa nostra), come impresa, con forti polarizzazioni che, privilegiando un solo aspetto, quello culturale o quello criminale o quello economico, ne ignoravano o mortificavano la complessità. Il mio “paradigma della complessità” mira a dare una rappresentazione del fenomeno mafioso fondata sull’interazione tra vari aspetti e si basa sulla seguente ipotesi definitoria:

Mafia è un insieme di gruppi criminali, di cui la più importante, ma non l’unica, è Cosa nostra, che agiscono all’interno di un sistema di rapporti, svolgono attività violente e illegali o formalmente legali, finalizzate all’arricchimento e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere, si avvalgono di un codice culturale e godono di un certo consenso sociale.

Come si vede, questa rappresentazione lega insieme associazionismo criminale e sistema relazionale (la mafia è transclassista, cioè attraversa i vari strati della popolazione, dagli strati più bassi (underworld) a quelli più alti (upperworld), ma il ruolo dominante è svolto da soggetti illegali, i capimafia, e legali: professionisti, imprenditori, pubblici amministratori, rappresentanti della politica e delle istituzioni, classificabili come “borghesia mafiosa”. Questo insieme di soggetti costituisce un blocco sociale che è la vera forza della mafia) e coniuga vari aspetti: crimine, cioè l’associazione a delinquere e le attività delittuose, accumulazione, cioè la finalità economica, potere, cioè la dimensione politica, codice culturale (la mafia ha un suo ordinamento e considera l’uso della violenza come applicazione di sanzioni per chi non segue le sue regole e si muove in contrasto con i suoi interessi), consenso sociale, cioè l’approvazione di parte della popolazione (Santino 2006, 2008-2011).

Per quanto riguarda l’evoluzione del fenomeno mafioso, a fronte di stereotipi come vecchia mafia e nuova mafia, mafia tradizionale, in competizione per l’onore, e mafia imprenditrice, che negli anni ’70 del secolo scorso, avrebbe scoperto la competizione per la ricchezza, una ricostruzione più adeguata vede lo sviluppo storico della mafia come intreccio di continuità e innovazione: le estorsioni, una forma di fiscalità parallela, sono documentare già nel XVI secolo e sopravvivono fino a oggi, intrecciandosi con attività come il traffico di droga intensificatosi negli ultimi decenni. È possibile disegnare una periodizzazione, in base alla capacità di adattamento al mutare del contesto sociale: a una fase di incubazione (si può parlare di “fenomeni premafiosi” nella transizione da una società feudale a una società capitalistica) seguono una fase agraria dall’unità d’Italia ai primi anni ’50 del XX secolo, nel senso che l’agricoltura è l’attività economica principale, ma già in quella fase la mafia era presente sia nelle campagne che nelle città, una fase urbano-imprenditoriale negli anni successivi e una fase che si può definire finanziaria negli anni più recenti, che vedono la lievitazione dell’accumulazione illegale connessa ai traffici internazionali (Santino 1988, 1995).

Negli ultimi anni, a Palermo e in Sicilia, terre d’origine di una mafia storica, operano altri gruppi criminali, legati al traffico di droga e di esseri umani, e si pongono problemi relativi alla definizione di tali gruppi (come agiscono? Come sono organizzati? Si possono considerare mafie?) e ai rapporti che essi intrattengono, o possono intrattenere, con la mafia-siciliana.

Per rispondere a tali problemi questo scritto utilizza come base una rassegna stampa sulle più significative inchieste condotte non solo nel territorio cittadino e siciliano sui traffici di droga e di esseri umani, in particolare sullo sfruttamento della prostituzione, alcune interviste a testimoni privilegiati: magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine impegnati in attività giudiziarie e investigative aventi come oggetto la tratta di esseri umani e in particolare lo sfruttamento di essi nel mercato del sesso. E utilizza studi e ricerche svolti negli scorsi anni.

 

Le inchieste degli ultimi anni su droga e sfruttamento della prostituzione

Negli ultimi anni le inchieste sulla tratta degli esseri umani e sullo sfruttamento, in forme schiavistiche, della prostituzione, hanno interessato l’intero territorio nazionale. Esse spesso si sono intrecciate con quelle sul traffico di droghe che vede come operatori soggetti e gruppi di nazionalità straniera.

L’operazione “Aye mi assman” ha rivelato un traffico internazionale di droga, in particolare cocaina, che si svolgeva nel 2006 dalla Nigeria all’Italia, nelle città di Ferrara, Parma e in provincia di Rovigo, e ha portato all’arresto di 34 nigeriani. L’inchiesta nasceva dalle rivelazioni di alcuni nigeriani che hanno collaborato con la giustizia. Tra gli arrestati, un nigeriano residente a Giugliano, in provincia di Napoli.

Sempre sul traffico di droghe, cocaina ed eroina, sono alcune operazioni dei primi mesi del 2007, che hanno bloccato alcuni corrieri, di nazionalità nigeriana, romena, ghanese e polacca, negli aeroporti di Roma Fiumicino, Milano Malpensa, Bologna, Napoli e Firenze. Al centro dei traffici sarebbero organizzazioni criminali nigeriane. La droga, contenuta in ovuli ingeriti dai corrieri, passava dall’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, arrivava in Italia in aereo o in treno, attraverso i valichi di Ventimiglia e Domodossola. I corrieri partivano dal Sud America o dall’Africa.

L’operazione “Blak Shoes” (la droga veniva occultata nei doppifondi delle scarpe ma anche in ovuli), tra il 2007 e il 2011, ha riguardato varie città: Roma, Napoli, Caserta, Perugia, Macerata, e ha condotto all’arresto di cittadini nigeriani e italiani. La droga era destinata a gruppi camorristici e determinante sarebbe stato il ruolo delle donne di camorra, che mettevano in contatto i boss detenuti con l’esterno attraverso l’uso di “pizzini” nascosti nei vestiti e redatti con codici criptati.

Nel gennaio del 2008 l’operazione “Viola”, conclusasi con l’arresto di 66 persone, in varie regioni: Veneto, Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, e in Olanda, è stata condotta dalla polizia di Napoli in collaborazione con le polizie di altri Paesi europei. Sono stati contestati vari reati: associazione di stampo mafioso, narcotraffico, sequestro di persona, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione. La stampa, presumibilmente utilizzando indicazioni della polizia, ha parlato di affiliazione delle persone arrestate a “cosche nigeriane”, di “bande violente che agiscono alla luce del sole” e di altre “più impermeabili ed esclusive, legate al sistema lobbistico-criminale” nigeriano. Queste, presenti in varie città italiane, hanno varie denominazioni: a Brescia si chiamano “Eiye Supreme Lords”, a Torino “Blak Axe”, altre denominazioni: Sea Dogs”, “Pirati”, “Bucanieri”. Si entra in esse con il pagamento di una somma, minimo 600 euro, c’è una cerimonia di iniziazione con il rito woodoo. La polizia parla di sacrifici Juju: i riti magici convivono con l’uso di Internet e di nuove tecnologie: su Youtube e Facebook circolano video rap dal titolo “Nigeria Mafia”. Questi gruppi organizzano spedizioni punitive, con mutilazioni, stampano documenti falsi e clonano carte di credito. Viene sottolineata la somiglianza dei riti iniziatici con quelli della mafia, ma si parla di cocktail di sangue e alcool, estranei al cerimoniale delle mafie italiane. Gli affiliati avrebbero un legame di tipo schiavistico con il capoclan.

Nell’aprile del 2009 si è avviata l’operazione “Black Passengers”, in collaborazione tra la squadra mobile di Perugia e quelle di Padova, Rovigo, Vicenza, Venezia e Prato, che ha portato all’arresto di trafficanti di droga nigeriani. Si è parlato di un’organizzazione di tipo mafioso, con al vertice un padrino, affiancato da luogotenenti, con un cassiere che gestiva l’impiego delle somme di denaro, reinvestendole nell’acquisto di immobili e in altri traffici di stupefacenti e trasferendo una parte alla cupola. Come si vede la terminologia è ricavata da quella usata per descrivere l’organizzazione mafiosa. L’organizzazione aveva un referente a Perugia.

Nel 2013, all’interno della stessa operazione, è stato arrestato a Londra il nigeriano Ejiofor Kenneth, considerato il capo dell’organizzazione, ricercato in seguito a un mandato di cattura internazionale. L’organizzazione aveva rapporti diretti con organizzazioni sudamericane per l’acquisto delle sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, utilizzava corrieri nigeriani e sul territorio italiano poteva contare su una fitta rete di connazionali.

Viene denominata “Hermes” un’operazione che nel settembre 2010 ha portato all’arresto di 28 corrieri in varie città: Trieste Venezia, Milano, Bolzano, Varese, Verona, Padova, Reggio Emilia, Parma, Roma e Messina, Gli arresti si debbono alla collaborazione di donne nigeriane, comprate per 50.000 dollari, ridotte in schiavitù e portate in Italia dove erano costrette a esercitare la prostituzione; sono state liberate dalla Squadra mobile di Trieste. Le donne hanno aiutato la polizia traducendo 130 mila telefonate tra corrieri e spacciatori. Nella rete figuravano anche cittadini dell’est europeo e l’operazione è stata coordinata dall’Interpol e hanno collaborato le polizie spagnola e olandese.

Rimonta al 2007 l’operazione “Bani Bani”, avviata a Messina, che nel febbraio del 2011 ha portato a 40 ordinanze di custodia cautelare per cittadini romeni e italiani coinvolti nella tratta di giovani donne romene, ridotte in schiavitù e costrette alla prostituzione in Italia. Si parla di un’organizzazione con una “struttura imprenditoriale”, composta da tre clan.

Sempre del 2011 è l’operazione “Sahel”, condotta dai carabinieri, che ha portato all’arresto di 6 indagati per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione, operanti nelle province di Teramo e Milano. È stato individuato un sodalizio transnazionale di matrice nigeriana, articolato in cellule strutturate su base familiare, attivo in Abruzzo e in Lombardia. Le donne venivano sottoposte al rito woodoo per costringerle psicologicamente a far fronte al debito contratto con l’organizzazione. Le ragazze corrispondevano alle madame, le donne che le controllavano, oltre alla quota per ripianare il debito, le spese di vitto e alloggio e per l’utilizzo del jont, cioè il tratto di strada dove esercitavano la prostituzione.

L’operazione “Trolley”, ancora del 2011, riguardava l’ascolano, in Marche, e altre province, e ha portato all’arresto di 8 indagati per tratta, riduzione in schiavitù di donne nigeriane e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina,: Una ragazza che voleva sottrarsi è stata picchiata dalla sua sfruttatrice che le ha sfregiato il volto. Due tassisti italiani accompagnavano le donne sui luoghi dove esercitavano la prostituzione e in provincia di Piacenza è stato sequestrato un immobile che ospitava le donne.

Del 2011 è l’operazione “Golden Eggs” (uova d’oro), riguardante un traffico di droga tra la Nigeria e l’Italia, che ha portato all’arresto di 67 persone. Gli arrestati sono di varie nazionalità: italiani, nigeriani, tunisini, ghanesi. Sono stati individuati due cartelli: uno nigeriano, l’altro palermitano, che svolgevano il traffico di eroina e cocaina in tutta l’Italia, con centrali a Palermo, Catania e Messina. Al vertice un nigeriano, Francis Wiwoloku, e un palermitano, Salvatore Castigliola, che si sarebbero conosciuti mentre erano detenuti nel carcere dell’Ucciardone. Coinvolto anche un agente di polizia penitenziaria, che faceva da tramite tra i due e assicurava i contatti con l’esterno, con la moglie di Castigliola, Giovanna Caronia. Tra gli arrestati due personaggi legati a Cosa nostra. I trafficanti potevano contare sulla collaborazione di persone “insospettabili”: il cassiere era il proprietario di un phone center e faceva da assaggiatore un impiegato alle poste. Nel gennaio del 2013 il processo con rito abbreviato, per il patteggiamento chiesto dagli imputati, ha portato alla condanna di 24 persone, con pene che vanno dai 4 mesi ai 4 anni.

Nel dicembre del 2011 sono state arrestate ad Aprilia (Latina) tre persone di nazionalità bulgara indagate per la tratta di ragazze minorenni dell’est europeo. Una quindicenne bulgara era stata venduta per alcune migliaia di euro (tra 5 e 7 mila). La tratta di ragazze provenienti dall’Europa dell’est sarebbe gestita da bande presenti in quei Paesi.

Del 2012 è l’operazione “Terra promessa” svolta in Sardegna, con 17 arresti per associazione a delinquere finalizzata al traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù. Venivano reclutate ragazze in Nigeria, per avviarle alla prostituzione in Europa. Le ragazze provenivano da famiglie molto povere che le vendevano all’organizzazione criminale per 1.500-2.000 euro. Arrivavano in Europa in aereo o con i barconi che attraversavano le acque del Mediterraneo. Due diciottenni avevano perso la vita in un naufragio. Centrale il ruolo delle madam a cui le ragazze venivano affidate, che segnalavano eventuali “intemperanze” ai padroni. Arrestati anche italiani che combinavano matrimoni falsi per assicurare il visto alle ragazze. Nell’ottobre del 2012 ad Alcamo, in provincia di Trapani, è stato arrestato il cittadino romeno Oloeriu Ioan Cristian, indicato come il “capo della criminalità organizzata romena”, ricercato con mandato d’arresto per traffico di esseri umani e prostituzione minorile. A dire degli investigatori, l’organizzazione criminale aveva i suoi vertici ad Alcamo, notoria sede di una mafia storica. Non si capisce su quale base la persona arrestata venga indicata come il capo del crimine organizzato della Romania.

Nel dicembre sempre del 2012, nell’ambito di un’operazione denominata “Caronte”, la Guardia di finanza di La Spezia ha arrestato 22 nigeriani accusati di associazione a delinquere dedita al traffico internazionale di esseri umani e sfruttamento della prostituzione.

Nel gennaio del 2013 in Calabria sono stati arrestati cinque presunti componenti di un’organizzazione transnazionale, operante tra la Slovacchia e la Piana di Gioia Tauro, dedita al traffico di armi e alla tratta di donne dell’est europeo e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’inchiesta era stata avviata dopo la rivolta di Rosarno del gennaio 2010, quando gli immigrati africani si ribellarono per le loro condizioni di vita e di sfruttamento, suscitando la reazione degli abitanti, ma non è collegata con quei fatti. Un’altra operazione, del febbraio dello stesso anno, ha portato all’arresto a Torino di 28 persone appartenenti a un’organizzazione transnazionale nigeriana di trafficanti di droga, importata da corrieri che ingoiavano ovuli contenenti cocaina. Un’altra organizzazione transnazionale formata da trafficanti di droga provenienti da vari paesi è stata scoperta a Padova nell’aprile del 2013. Sono state arrestate 7 persone, tra cui una svedese, un romeno e dei nigeriani. La cocaina in forma liquida (cloridrato di cocaina) veniva importata dal Sud America, tramite corrieri non nigeriani lungo una rotta che partiva dalla Bolivia e dal Perù e passava attraverso la Thailandia e l’Austria. La cocaina liquida veniva raffinata in Olanda. Sempre dell’aprile 2013 è l’operazione “Zebra”, condotta in Campania e iniziata già nel 2009. Sono state individuate due associazioni: una, denominata “Baba Nike”, guidata da un nigeriano, con base in Olanda, importava eroina e cocaina da smerciare a Castelvolturno (Caserta). In questa come in altre operazioni i corrieri, che ingoiavano ovuli, venivano soggetti a riti propiziatori woodoo. La seconda associazione, capeggiata sempre da un nigeriano, dedita sempre al traffico di droga, agiva nella stessa zona e aveva base in un call center. Sono state arrestate 22 persone, sequestrati quantitativi di droghe e somme di denaro di provenienza illecita. Buona parte dei proventi venivano riciclati e investiti in Nigeria, in alberghi e terreni.

Nel giugno 2013 a Catanzaro, in seguito a mandato d’arresto emesso dalla Romania, è stata arrestata una cittadina romena per traffico di esseri umani e costrizione alla prostituzione; dello stesso mese è l’operazione “Drum” con 61 arresti a Viterbo di cittadini italiani incriminati per traffico di droga. Altri arresti di nigeriani a Padova. A luglio, a Caltanissetta è stata arrestata per traffico di esseri umani, tratta di persona e riduzione in schiavitù di giovani donne costrette a prostituirsi, una donna originaria della Libia, Nike Adam, ricercata da qualche anno.

Ad agosto, a Palermo, la polizia ha liberato quattro donne costrette a prostituirsi nel parco della Favorita e ha arrestato una coppia di nigeriani che avrebbero organizzato l’immigrazione di ragazze dalla Nigeria. Il copione è quello consueto: l’obbligo di prostituirsi per raccogliere il denaro necessario per pagare il debito contratto con l’organizzazione. L’arresto è scattato in seguito a denuncia di una ragazza nigeriana che doveva pagare 65.000 euro a due connazionali che avevano organizzato l’ingresso clandestino in Italia, arrestati con le seguenti imputazioni: istigazione e favoreggiamento della prostituzione, estorsione, violenza privata (botte e minacce), riduzione in schiavitù. Indagati sono anche due palermitani che avevano ospitato sfruttatori e vittime. Le ragazze hanno avuto un permesso di soggiorno e hanno iniziato un percorso di reinserimento sociale.

 

Il “Totò Riina dei nigeriani”

Il 15 novembre del 2013 sul quotidiano “la Repubblica” veniva pubblicato un servizio su un cittadino nigeriano, Gabriele Ugiagbe, residente a Catania, definito il “capo dei capi”, una “sorta di Totò Riina dei nigeriani”, che sarebbe alla guida degli Eye, un’organizzazione che gestisce in Italia e in Nigeria il traffico di esseri imbarcati per Lampedusa, il cui raggio d’azione si estenderebbe in vari paesi europei: Austria, Olanda e Spagna. A dire dell’autore dell’articolo, Francesco Viviano, Ugiagbe sarebbe alla testa di tutte le organizzazioni straniere operanti in Italia e avrebbe scalzato la gang nigeriana presente a Palermo, dove domina il gruppo Black Axe Confraternity, denominato anche The neo black mouvement of Africa, organizzazione nata negli anni ’70 nell’università di Benin City. Il suo quartiere generale è a Catania, dove accoglie i nigeriani che in Campania hanno avuto contrasti con gruppi camorristici e sono oggetto di indagini. In Spagna Ugiagbe avrebbe composto contrasti tra criminali provenienti dall’Italia che volevano creare una cellula autonoma. Cosa nostra non lo contrasta: le famiglie catanesi preferiscono restare in attesa, dato che il nigeriano non invade i settori in cui operano i mafiosi locali.

 

Le inchieste più recenti

Un’inchiesta della polizia di Padova nel gennaio del 2014 ha portato all’arresto di cinque nigeriani componenti di un’associazione dedita al traffico di droga che passava attraverso la Svizzera. Sempre a gennaio a Palermo, nel mercato di Ballarò, c’è un’aggressione a uno spacciatore nigeriano, di cui parleremo successivamente.

Dello stesso mese è un’operazione “Transfer” condotta dalla squadra mobile di Palermo, con l’arresto di quattro nigeriani, di cui tre donne, accusati di aver favorito l’immigrazione clandestina di donne connazionali avviate alla prostituzione con minacce, violenze e con il ricorso ai riti woodoo. Le ragazze si prostituivano in provincia di Trapani. Qui, nel paese di Custonaci, nel dicembre del 2013, era stato trovato il corpo di Uwadia Bose, abitante a Palermo, che si prostituiva nelle campagne trapanesi.

Dei primi di gennaio è pure un’operazione dei carabinieri di Roma, con l’arresto di 34 nigeriani imputati di associazione di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico di droga, riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione, riciclaggio di denaro sporco. L’inchiesta si è svolta tra l’Italia e il Togo. Sempre a gennaio a Palermo, in seguita alla denuncia dei condomini, è stata scoperta una casa d’appuntamenti gestita da un palermitano e da un romeno, in cui si prostituivano donne locali e donne che adescavano in via Lincoln.

In aprile a Roma un’inchiesta ha portato all’arresto di 13 persone, 12 nigeriani, tra cui 4 donne, e un italiano, imputati di sfruttamento della prostituzione, anche minorile, riduzione in schiavitù, spaccio di droga. A maggio, la procura di Agrigento ha arrestato cinque nigeriani accusati di associazione per delinquere e sfruttamento della prostituzione, finalizzata al reclutamento di giovani nigeriane prelevate con l’inganno e costrette a prostituirsi in Italia. L’inchiesta è scaturita dalle dichiarazioni di una ragazza rifugiatasi in un centro di accoglienza di San Benedetto del Tronto, ed è proseguita nonostante la scarsa collaborazione delle vittime, terrorizzate dai riti a cui erano state sottoposte. Gli investigatori sottolineano che il traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale è l’attività del crimine organizzato seconda per diffusione in Europa (non viene indicata qual è l’attività al primo posto, presumibilmente il traffico di droga) e ha un fatturato annuo di 19 miliardi di euro. Il traffico di origine nigeriana è ben organizzato, si concentra attorno alla figura femminile della maman e ricorre al ritualismo stregonesco per tenere in stato di dipendenza le donne e le loro famiglie.

A maggio un’inchiesta coordinata dal procuratore di Caltagirone (Catania) porta all’arresto di otto persone facenti parte di una banda specializzata in furti e nella gestione di un giro di prostituzione di giovani donne romene. Sono imputate di associazione a delinquere, violenza sessuale, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. L’inchiesta ha riguardato anche un gruppo di palermitani che tentavano di operare nella zona, nell’ambito delle estorsioni e del traffico di droga. Il gruppo di Cosa nostra di Niscemi (Caltanissetta) avrebbe dato l’autorizzazione ma l’arresto del referente di Cosa nostra e del suo luogotenente avrebbe posto fine al tentativo dei palermitani. Un romeno è stato ucciso nel gennaio del 2013 per un debito non pagato.

Nello stesso mese la corte d’assise di Bologna riconosceva il diritto al risarcimento del danno per una giovane nigeriana, condannando quattro imputati, già condannati in primo grado. Nel corso dell’anno sono stati scoperti a Palermo centri massaggi gestiti da cinesi e si è posto il problema se dietro i vari centri ci sa una regia unica. A giugno la squadra mobile di Perugia ha catturato una donna nigeriana operante in un gruppo di trafficanti di droga smantellato con l’operazione “Turnover”. Nel mese di luglio la squadra mobile di Palermo ha arrestato due nigeriani, un uomo e una donna, accusati di tratta di persone, Una ragazza di 17 anni, che era stata rapita in Nigeria, venduta e costretta a prostituirsi, ha denunciato gli sfruttatori alle operatrici dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Le indagini della squadra mobile sono state coordinate da un magistrato che fa parte di un pool costituitosi presso la procura di Palermo per le indagini sui reati riguardanti l’immigrazione. Del pool fanno parte sei magistrati.

Sempre a luglio un servizio del “Corriere della sera” forniva informazioni sui rapporti in Campania tra la camorra di Casal di Principe e la mafia nigeriana per il traffico di esseri umani e la prostituzione. I camorristi lasciano gestire ai nigeriani il mercato della prostituzione. Le donne sono considerate merci con un valore che va dai 10 ai 15 mila euro. Hanno un debito con i magnaccia sui 50 mila euro. Bisogna pagare alla camorra locale un pizzo per l’uso degli spazi pubblici tra 200 e 300 euro al mese. Inoltre i nigeriani pagano una tangente ai camorristi e garantiscono che le donne non stazionino nei luoghi dove abitano i boss. Come si vede, tra sfruttatori nigeriani e clan locali c’è una perfetta convivenza. I clan locali danno in gestione ai nigeriani villette sulla Domiziana, dove vivono gli sfruttatori e nei sottoscala abitano le ragazze. Si parla di “connection house”, per tuguri e case abbandonate, senza servizi, dove si svolge il traffico di droga e si esercita la prostituzione coatta. Si calcola che in case come queste vivano 25 mila persone immigrate.

Tra le inchieste più recenti particolare attenzione merita quella della Squadra mobile di Caltanissetta, in collaborazione con le Squadre mobili di Milano, Bergamo, Mantova e Parma, che nel febbraio del 2015 ha portato all’arresto di 20 persone, accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione, traffico di stupefacenti, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Gli arrestati sono cittadini italiani e rumeni. L’inchiesta ha preso le mosse dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia. È stata individuata un’associazione mafiosa presente in vari comuni della provincia, che gestiva varie attività, tra cui lo sfruttamento della prostituzione in collaborazione con cittadini rumeni, che sfruttavano ragazze provenienti da quel paese.

 

La cosiddetta mafia nigeriana

Come abbiamo visto i termini impiegati per designare i gruppi interessati ai traffici illegali, e in particolare alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione, sono il più delle volte generici. Si parla di “bande criminali” o di “sodalizi criminali”, di “organizzazioni criminali transnazionali”, ma spesso anche di “mafia”, con riferimenti alla terminologia adoperata per le mafie italiane e in particolare per la mafia siciliana. Si parla di “padrino” e anche di “capo dei capi”, come nel caso del nigeriano residente a Catania e operante a livello transnazionale. Bisogna vedere se il termine “mafia” e altri termini ad esso correlati sono impiegati in base a una reale conoscenza del fenomeno mafioso come storicamente si è configurato e a un’attenta lettura di fenomeni in qualche modo ad esso assimilabili o come ulteriore dilatazione dell’uso di una terminologia ormai consolidata che registra sotto quella voce qualsiasi forma di delittuosità e di malcostume.

Sui gruppi criminali nigeriani negli ultimi anni si sono accumulate informazioni in ambito giudiziario e giornalistico e si sono svolte ricerche in ambito accademico.

Ci troveremmo di fronte a un fenomeno multiforme e poliedrico, si è parlato infatti di

“sistema composito”, in cui interagiscono gruppi strutturati, più o meno rigidamente, e altri soggetti che si potrebbero fare rientrare nelle categorie dell’organizing crime o dei non corporate groups. Quindi un insieme a grande flessibilità e con grande capacità di adattamento alle esigenze poste da attività transnazionali che richiedono competenze e soggettività plurime. Fanno parte dei gruppi strutturati le cosiddette confraternite.

 

Le confraternite nigeriane, da associazioni studentesche a organizzazioni criminali

Il 20 gennaio 2014 a Palermo, nel quartiere popolare di Ballarò, un giovane nigeriano viene aggredito da un gruppo di connazionali e ferito al capo. Sembra una banale lite fra “extracomunitari”, ma il giovane ferito è un trafficante che nascondeva una ventina di ovuli di droga e viene soccorso e arrestato da una volante della polizia. Si scopre che a Palermo opera un gruppo di affiliati a una comunità nigeriana denominata Eiye Cult. Si tratta di un gruppo cultista, filiazione dell’associazionismo segreto che si sviluppa in Nigeria all’interno delle Università a partire dagli anni ’50 del XX secolo, sul modello delle confraternite americane e delle associazioni di culto tradizionali. Il primo culto segreto, la Confraternita dei Pirati, fu fondato all’Università di Ibadan, filiale dell’Università di Londra, nel 1953 dallo studente Wole Soyinka, che nel 1986 sarà premio Nobel per la letteratura. La confraternita, composta inizialmente da sei studenti, aveva finalità culturali e politiche: la formazione di una nuova classe dirigente, il rigetto della mentalità coloniale e la lotta al colonialismo, la contestazione del tribalismo e dell’elitarismo, con l’uso di pratiche non violente. Sulle orme dei Pirati ben presto i culti studenteschi si svilupparono nelle università del Paese. Mentre il cultismo tradizionale raccoglieva gli anziani, sulla base della discendenza patrilineare, i nuovi culti hanno soggetti e fini diversi ma il filo che li collega al cultismo tradizionale è dato dall’uso di riti iniziatici e di pratiche woodoo. Negli anni ’60 i culti imboccarono altre strade, in corrispondenza con i mutamenti sociali e politici di quegli anni. Da una scissione dalla Confraternita dei Pirati, sorse la Eiye Confraternity e in seguito si formarono altri gruppi: i Black Axe, i Vikings, i Bucaneers, i Mafia, i Black Beret. Sorsero anche confraternite femminili, come Temple of Eden, Barracuda e Daughters of Jezebel.

La vera svolta del cultismo si verificò attorno agli anni Ottanta; la moltiplicazione dei culti sfociò in atti di rivalità violenti nei campus di tutte le università nigeriane. La deriva violenta dei culti sarebbe avvenuta durante le dittature militari del generale Muhammadu Buhari e di Sani Abacha. Decenni di dittature militari violente e corrotte avrebbero infettato l’intero sistema, con forti ripercussioni sulla popolazione. La deriva criminale del cultismo sarebbe perciò collegata alla degenerazione della condizione politico-sociale del Paese. Sono gli anni in cui veniva bandito l’associazionismo universitario e si attuava il programma di aggiustamento strutturale imposto dal Fondo monetario internazionale, che comportò il taglio della spesa pubblica e dei servizi sociali, la privatizzazione, il blocco salariale, l’aumento della disoccupazione e il peggioramento delle condizioni di vita. Il potere militare portò alla proibizione dell’associazionismo universitario per impedire rimostranze anti-governative da parte di uno degli ultimi bastioni di opposizione alla dittatura golpista (Cabras 2012-13).

Questa ricostruzione rischia di somigliare un po’ troppo alle vulgate che circolano ancora oggi sulla mafia siciliana, secondo cui ci sarebbe stata una degenerazione: organizzazioni all’inizio benintenzionate, sorte a tutela di diritti calpestati e alla ricerca di una giustizia negata (miti eziologici come i Beati Paoli, stereotipi come: prima c’era la mafia buona, ora c’è la mafia cattiva, che uccide e traffica droghe), successivamente sarebbero tralignati in organizzazioni criminali. Non ci si può non chiedere come mai si è verificato questo processo di degenerazione e la risposta non può essere legata solo al contesto e ai condizionamenti esterni. Più verosimilmente tali condizionamenti hanno interagito con peculiarità interne e tra queste può aver avuto un ruolo il ricorso al magismo e a pratiche rituali tradizionali, acriticamente recepite, probabilmente sulla spinta della ricerca di uno statuto identitario e di un consenso comunitario.

Attualmente le confraternite costituirebbero il nucleo strutturato di un complesso sistema criminale in larga parte poggiante su bande e cellule scarsamente strutturate o, come oggi si direbbe, liquide. L’ammissione alle confraternite segue un rituale in cui la prova di “virilità” consiste in un’aggressione di gruppo all’iniziando, sottoposto a una sorta di esame di resistenza fisica e psicologica.

In questo sistema un ruolo centrale hanno le madam o maman. Spesso si tratta di ex prostitute o di prostitute anziane che sono riuscite a crearsi uno status, essendo capaci di reclutare ragazze in patria, di controllarle sui luoghi in cui le costringono ad esercitare la prostituzione. Sono, a pieno titolo, imprenditrici criminali e in molti casi un esempio da seguire per le ragazze che vogliono passare da sfruttate a sfruttatrici, assicurando il perpetuarsi del ciclo. Ci sono collegamenti tra le maman? Da un’intervista con una funzionaria presso la questura di Palermo risulta che non sono state trovate prove di legami organizzativi; ci sarebbero collegamenti informali, ma capaci di consentire lo scambio delle ragazze e il loro trasferimento in altre città o in altre aree. Non ci sarebbe neppure un’organizzazione sovraordinata alle maman, all’espressione “mafia nigeriana” non corrisponderebbe una reale organizzazione di tipo mafioso.

L’uso dell’intimidazione e della violenza fa parte integrante di questo sistema. I riti woodoo avrebbero lo stesso ruolo che ha l’intimidazione nel sistema mafioso. Essi sono orientati a produrre un forte condizionamento psicologico: le vittime sono “convinte” che la mancata osservanza degli obblighi contratti (il pagamento del debito, la disobbedienza agli ordini) corrisponde a una violazione di un ordine sotto il controllo degli spiriti e dà luogo a punizioni divine. Le sanzioni in realtà sono molto concrete e vanno dalle percosse all’uccisione, mentre per le donne riottose lo stupro e le violenze sessuali sono abituali. E le ritorsioni spesso riguardano i familiari nella madrepatria, con minacce di morte e danneggiamenti.

A dare man forte ai gruppi più o meno strutturati sarebbe un’organizzazione legale, composta da avvocati e professionisti che assicurano servizi indispensabili per il funzionamento della macchina criminale e l’espletamento delle pratiche all’interno degli uffici. Isoke Aikptanyi, nel suo libro Le ragazze di Benin City, scritto con la giornalista Laura Maragnani, racconta che la sua disavventura, che la porterà sui marciapiedi di Torino, comincia con l’incontro con un avvocato, il cui studio è nella zona più ricca di Lagos, “quella dove ci sono tutte le ambasciate” (Maragnani-Aikptanyi, 2007, p. 175). E gli sfruttatori con cui le donne contraggono il debito (gli sponsor) sono imprenditori criminali in grado di disporre le somme necessarie per il viaggio e gli altri servizi. Si può parlare di “borghesia mafiosa”, “blocco sociale”, utilizzando teorizzazioni elaborate per la mafia siciliana? Penso che si debba farlo con molte cautele, poiché si corre il rischio di assimilare fenomeni che nascono da società e culture diverse e di scadere nello stereotipo che identifica con il termine “mafia” ogni forma di delittuosità e di prepotenza e di avallare l’immagine mediatica della Piovra universale, che vorrebbe tutte le pratiche criminali unificate sotto un’unica regia e un unico comando. Il crimine contemporaneo è una galassia in cui operano soggetti diversi e diversamente strutturati e i paradigmi utili per comprendere questa pluralità debbono essere necessariamente elastici e aperti. E disancorati da stereotipi vecchi e nuovi.

 

La mafia romena

Nell’ottobre del 2014 il Tribunale di Torino ha condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso 15 cittadini romeni appartenenti al gruppo “Brigada Oarza”. Nel giugno 2013 la squadra mobile torinese, in collaborazione con i colleghi romeni, avevano arrestato i membri di una cellula criminale romena nata per fronteggiare gli albanesi che gestiscono lo sfruttamento della prostituzione nel capoluogo piemontese. Il gruppo romeno, oltre alla gestione della prostituzione, compiva estorsioni e rapine ed era implicato nel traffico di droghe e di tabacco. I membri del gruppo per essere affiliati si sottoponevano a un rito che consisteva nel taglio dei polsi o degli avambracci e nel bacio scambiato con i già affiliati. Le informazioni sul rito, che comprendeva anche il tatuaggio, e sulle attività del gruppo sono state date da un pentito soggetto al programma di protezione. Al vertice del gruppo c’era il trentottenne Viorel Marian Oarza, già in carcere, sostituito da un reggente; i membri del gruppo, comprendente da 70 a 90 persone, divise in decine, avevano ruoli diversificati: “generale”, “cavaliere”, “soldato”, “freccia”, “nipote” e la comunicazione del capo in carcere con gli affiliati avveniva attraverso “pizzini”.

I romeni si sono scontrati con gli albanesi e il capo era stato arrestato per aver tentato di uccidere il boss albanese, Neu Shol, in uno scontro a fuoco nel centro di Torino. All’interno dello scontro tra i due gruppi si sono susseguiti sparatorie, incendi dolosi e pestaggi. Romeni titolari di negozi, bar e locali, erano soggetti al pagamento del “pizzo”. Una donna che si è rifiutata di pagarlo, ha avuto il locale incendiato (Sola 2014).

Ci troviamo di fronte alla prima sentenza che applica il reato di associazione mafiosa a un clan romeno, avendo riscontrato gli elementi che configurano la fattispecie introdotta dalla legge antimafia italiana del 1982, grazie alla collaborazione tra soggetti istituzionali dei due paesi e alla collaborazione di un “pentito”.

 

La mafia siciliana e lo sfruttamento della prostituzione

Secondo un vecchio stereotipo la mafia siciliana non si è mai occupata e non si occupa di “queste cose”, cioè della sfruttamento della prostituzione, considerandole riprovevoli e indecorose. In realtà le cose non stanno così. A Palermo, alla fine dell’Ottocento, c’erano più di 30 postriboli e la maggior parte di essi, 18, erano nel quartiere Palazzo Reale-Albergheria, cuore del centro storico. Lo sfruttamento della prostituzione veniva gestito dai cosiddetti “ricottari”. Il delegato di polizia Antonino Cutrera ha dedicato ad essi un libro, I ricottari, pubblicato nel 1896, e ne parla anche nel più noto La mafia e i mafiosi, del 1900. I ricottari sono personaggi che “proclamandosi innamorati delle meretrici, vivono nell’ozio e di prepotenza alle spalle di quelle disgraziate donne, scroccando loro tutto il possibile” e sarebbero divisi in “due classi”: “quelli di infima specie, che provengono dalla classe operaia, e quelli di grado più elevato che provengono dagli studenti traviati” (Cutrera 1900, 1996, p. 48). La “classe operaia” viene identificata con gli strati più bassi della società. Ad avviso dell’autore, “l’innamorato della prostituta ed il mantenuto di essa è sempre un maffioso” (Cutrera 1896, 1987, p. 9) ma i ricottari “pur essendo maffiosi in certi loro atti, nulla hanno in comune con la maffia veramente detta, la quale ha ben altre cause ed ideali” (ivi, p. 55). Non si capisce bene quali sarebbero questi “ideali” se lo stesso Cutrera e il suo collega Giuseppe Alongi descrivono i membri delle “società di malfattori” di quegli anni come degli assassini, capaci di ogni nefandezza. Cutrera inoltre sostiene che “il mafioso palermitano fa le prime armi arruolandosi fra i ricottari” (Cutrera 1900, 1996, p. 48). Quindi lo sfruttamento della prostituzione era una sorta di tirocinio che preludeva alla carriera mafiosa e veniva gestito da soggetti che avevano anche una sorta di tribunale per decidere in caso di controversie ed erano previste delle sanzioni da applicare per le violazioni di un codice comportamentale. Ci troviamo perciò di fronte a un’organizzazione con regole, apparati e sanzioni che somigliano da vicino all’organizzazione mafiosa e ne costituiscono l’anticamera, il presupposto.

Il trapianto di mafiosi siciliani negli Stati Uniti, già nella prima metà dell’Ottocento e sempre di più successivamente, segna l’adattamento di prassi mafiose a contesti metropolitani, diversi da quelli originari, con mercati del vizio e del sesso ben più estesi e redditizi. E i mafiosi siciliani si inseriscono perfettamente, e con un ruolo crescente, in tali mercati, sviluppando sempre di più un’accumulazione illegale che ne potenzia il ruolo economico e sociale, sull’onda dei proibizionismi, prima dell’alcol poi delle droghe, che costituiscono la fonte principale di un arricchimento impensabile nella madrepatria. La storia della mafia siciliana è un intreccio di continuità e di innovazione, di rigidità formali ed elasticità di fatto, che ne spiega la persistenza in contesti storici e geografici diversi da quelli originari.

Per quanto riguarda la prostituzione gli studiosi più avvertiti sottolineano che negli anni ’30 del XX secolo negli Stati Uniti, e in particolare a New York, la centralizzazione della gestione del mercato del sesso avrebbe avuto un ruolo importante nella trasformazione delle attività criminali in business imprenditoriale, gestita da un personaggio incline a sfruttare tutte le occasioni come Lucky Luciano. Scrive il criminologo Alan Block: “In fact his real point is that organized prostitution in brothels had developed into a fairly centralized enterprise prior to 1933 and that Luciano and the others had then conspired to carry this centralization to an extreme”(Block 1980, p. 142).

Alla luce di questi trascorsi storici, si può dire che non ci sarebbe nessuna sorpresa se la mafia siciliana, di fronte a un mercato del sesso in continua espansione e fruttuoso di proventi, non si limiterà a fare da spettatrice (Santino 214).

 

Rapporti tra organizzazioni criminali

La tipologia dei rapporti possibili tra organizzazioni in generale e organizzazioni criminali in particolare potrebbe articolarsi nelle seguenti ipotesi: alleanza-complicità, convivenza, conflitto.

Le inchieste degli ultimi anni ci offrono una casistica interessante in particolare per la verifica della prima ipotesi. Ad esempio l’operazione Golden Eggs mostra che sono in atto rapporti collaborativi e interattivi tra criminali locali e stranieri. Tali rapporti riguardano singoli personaggi o interi gruppi?

Da un’operazione precedente, denominata “Bianco e Nero”, che aveva portato all’arresto di 34 persone tra ghanesi e locali, implicati nel traffico di droga, a dire del sostituto procuratore Gery Ferraro, che ha condotto l’inchiesta, risulta che i ghanesi avevano rapporti con la famiglia di Porta Nuova degli Affaticato. Tali rapporti si fondano sulla capacità dei trafficanti stranieri di rifornire la sostanza stupefacente: i gruppi stranieri, sostiene il magistrato, hanno un business limitato, legato alla droga o allo sfruttamento della prostituzione, e “non c’è un timore che possano scalzare il controllo del territorio”, esclusiva di Cosa nostra.

Se si guarda agli anni passati, l’inserimento della mafia nel traffico di droga rimonta agli anni ’50 del XX secolo (Santino-La Fiura 1990, p. 156) e si è realizzato attraverso la formazione di un gruppo interfamilistico (Santino 1989, pp. 256, 285), con la prevalenza delle famiglie Bontate, Inzerillo e Badalamenti, che nei primi anni ’80 dovevano subire l’attacco dei corleonesi con l’eliminazione dei capi e la decimazione degli affiliati (sul ruolo della mafia siciliana nel traffico di droghe: Santino-La Fiura 1993). Per quanto risulta dal processo alla Pizza Connection, negli anni ’70 le famiglie mafiose siciliane, con in testa Gaetano Badalamenti, avrebbero avuto un ruolo egemonico nel traffico di eroina (Alexander 1988). Successivamente, sia per i problemi connessi alla guerra di mafia dei primi anni ’80, sia per il moltiplicarsi dei soggetti implicati nella produzione e commercializzazione delle sostanze stupefacenti, la mafia siciliana ha visto sminuire il suo ruolo e attualmente pare che cerchi di riguadagnare posizioni. Così si evincerebbe dagli arresti dell’ottobre 2014, che hanno riguardato alcuni affiliati al clan Fascella, e dal sequestro di due quintali di stupefacenti. Si è parlato di “nuove rotte” del narcotraffico, dei rapporti con nigeriani per l’acquisto di eroina, con la camorra campana e con il Sudamerica per quello di cocaina. La crisi avrebbe costretto la mafia a tornare al traffico di stupefacenti (Giornale di Sicilia, la Repubblica Palermo, 22 ottobre 2014). L’esempio è troppo limitato per poter parlare di grandi novità. Altri arresti nel novembre che hanno riguardato il clan di Brancaccio dei Graviano hanno confermato l’accordo con la camorra per il traffico di droga e per un aspetto che viene presentato come inedito: i furti nelle casse continue delle banche (la Repubblica Palermo, 15 novembre 2014). Quello che si può dire è che non si registrano casi di conflittualità tra mafia storica e altri soggetti, vecchi e nuovi, e la convivenza, anche con forme d’interazione e collaborazione, sarebbe la cifra dominante del panorama attuale.

 

La mappa della prostituzione a Palermo

Da un monitoraggio svolto nel corso del 2014 risulta che a Palermo la prostituzione di strada ha una mappa che privilegia le aree di maggior traffico, come il parco della Favorita, la stazione centrale e via Lincoln, Villa Giulia, piazza Borsa.

La prostituzione in casa è diffusa un po’ dovunque: ci sono case con nigeriane a Ballarò, centri massaggi cinesi a via d’Amelio, anche le sudamericane si prostituirebbero in appartamenti.

Cercando di dare una rappresentazione più dettagliata, la maggiore concentrazione di prostituzione straniera sarebbe nelle seguenti zone: Stazione, Via Lincoln, Foro Italico (lato Villa Giulia e lato mare), Cala, Favorita, Via Roma, Via Regione Siciliana (altezza negozio Trionfante), Via Gorizia e incrocio con via Garibaldi, adiacenze del carcere Ucciardone. La concentrazione in queste zone sono secondo i paesi di provenienza o il genere, come è il caso delle transgender.

Le ragazze dell’est, in particolare quelle romene, operano davanti a Villa Giulia, un altro posto fisso per le ragazze romene è davanti al bar della Cala. La prostituzione italiana, con pochissime donne, si concentra maggiormente su via Roma.

La prostituzione nigeriana è quella che si espande di più nella città di Palermo; la possiamo trovare in vie più centrali, come è il caso di via Roma, dove si sono viste, più recentemente delle ragazze nigeriane occasionalmente per strada da sole (su questo aspetto si possono fare due ipotesi: la prima è che siano ragazze pendolari, provenienti da altre città, per qualche giorno a Palermo; la seconda è che siano ragazze nuove, che non c’erano quando abbiamo iniziato il monitoraggio). Oltre al centro della città si è notato che le donne operano in zone periferiche, come nel caso della Favorita, vicino allo stadio ed anche più recentemente in via Regione siciliana (altezza del negozio Trionfante). Nelle vie secondarie un po’ più nascoste, una volta è stata notata la presenza di 5 ragazze in Via Garibaldi all’incrocio con via Gorizia.

Si è notato che il monitoraggio delle ragazze provenienti della Nigeria è più difficile da eseguire, visto che non c’è una presenza costante delle stesse ragazze negli stessi posti. Un altro aspetto interessante è che si è potuto verificare è che ogni mattina circa 5/6 ragazze nigeriane prendono l’autobus delle 6 di mattina per Castelvetrano, per prostituirsi in quella zona. Comunque la zona più costante per le nigeriane sono la Favorita, l’Ucciardone, Via Garibaldi/incrocio con via Gorizia, Via Regione Siciliana.

Stazione centrale e traverse limitrofe sarebbero il quartier generale delle romene, controllate dai “fidanzati” che sono costantemente in contatto con loro tramite i cellulari. Molte delle ragazze provengono dalla Moldavia, dove sarebbero vendute dalle famiglie. Dietro i romeni ci sarebbe un italiano. Nelle vicinanze della stazione, in un palazzo dove c’è un self-service gestito da una romena abitano ragazze che la sera scendono in strada. A gestire lo sfruttamento delle prostituzione sarebbero cittadini serbi abitanti al mercato del Capo.

 

Le famiglie mafiose a Palermo

Palermo è stata definita dagli studiosi che l’hanno analizzata una “città marginale”, la “capitale del clientelismo”, una “metropoli stagnante”, una “città spugna”, che consuma più di quanto produce (Crisantino 1990). Quel che si può dire è che essa presenta, emblematicamente, tutte le caratteristiche che hanno fatto parlare di “società mafiogena” (Santino 2006, pp. 187 s.; 2011, pp. 54 ss.). Sinteticamente, una società produce mafia poiché nel suo interno operano dinamiche composite: l’accettazione di gran parte della popolazione della violenza e dell’illegalità come mezzi di sopravvivenza e canali per l’acquisizione di un ruolo sociale, impossibile o difficile da ottenere con mezzi legali; la debolezza dell’economia legale; l’accesso alle istituzioni tramite la mediazione di soggetti formalmente illegali ma con un articolato sistema relazionale; la fragilità del tessuto di società civile; la cultura della sfiducia e del fatalismo, l’aggressività nei rapporti quotidiani, l’illegalità diffusa.

Come abbiamo visto, alcune di queste caratteristiche negli ultimi anni sono presenti a livello mondiale, per effetto dei processi di globalizzazione, con la lievitazione degli squilibri territoriali e dei divari sociali che emarginano gran parte della popolazione.

Palermo è una città di mafia perché strutture, modelli comportamentali, ragioni storiche e attuali la predispongono allo sviluppo di gruppi criminali organizzati e di un diffuso sistema relazionale che coinvolge buona parte della popolazione che, direttamente o indirettamente, vive di attività illegali.

Secondo informazioni aggiornate fino a qualche anno fa, le varie famiglie che compongono l’organizzazione mafiosa cittadina, denominata Cosa nostra (nome che compare soltanto negli anni ’80, con le rivelazioni di Tommaso Buscetta; da fonti precedenti non risulta tale denominazione almeno per quanto riguarda la Sicilia; di Cosa nostra negli Stati Uniti parlava negli anni ’60 il collaboratore di giustizia Joe Valachi, nell’ambito dell’inchiesta del McClellan Committee), sono raggruppate in 8 mandamenti, che ricalcherebbero la configurazione storica, documentata in atti giudiziari di fine Ottocento e dei primi del Novecento, in particolare dalle relazioni del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi, redatte tra il 1898 e il 1900. I mandamenti e le famiglie che ne fanno parte sono:

1. San Lorenzo -Tommaso Natale

Famiglie: Cardillo, Pallavicino, Partanna Mondello, San Lorenzo, Tommaso Natale,

Zen, Capaci, Isola delle femmine, Carini, Cinisi, Terrasini.

2. Resuttana

Famiglie: Acquasanta-Arenella, Resuttana.

Negli ultimi anni i due mandamenti si sarebbero accorpati.

3. Porta nuova

Famiglie: Borgo vecchio, Palerrmo centro, Porta nuova. Kalsa.

4. Noce

Famiglie. Noce, Cruillas, Altarello.

5. Passo di Rigano – Boccadifalco

Famiglie: Passo di Rigano – Boccadifalco, Torretta.

6. Pagliarelli

Famiglie: Borgo Molara, Corso Calatafimi, Pagliarelli, Rocca – Mezzomonreale, Villaggio santa Rosalia.

7. Brancaccio

Famiglie: Brancaccio, Ciaculli, Corso dei Mille, Roccella.

8. Santa Maria di Gesù

Famiglie: Guadagna, Santa Maria di Gesù, Villagrazia di Palermo.

Come si vede, la presenza mafiosa si estende su tutto il territorio della città, dal centro alle periferie, da tempo inglobate nel tessuto cittadino, con processi di urbanizzazione sviluppatisi all’insegna di una speculazione edilizia che ha portato a una superfetazione dell’abitato, e in cui la mafia ha avuto la sua parte, accanto a società immobiliari locali e nazionali. Il cosiddetto “sacco di Palermo” è stato il frutto di una convergenza di interessi e una fabbrica di consenso che spiega l’affermarsi e il perdurare di un blocco sociale che ha dominato la città, in piena consonanza con quanto maturava a livello nazionale (Santino-La Fiura 1990, pp. 145 ss.).

 

Signoria territoriale mafiosa e nuovi soggetti criminali

Com’è noto, le famiglie mafiose esercitano un controllo sulle attività che si svolgono nell’area di competenza. Il concetto di “signoria territoriale”, introdotto da chi scrive (Santino 1989, pp. 18, 319; Santino-La Fiura 1990, pp. 145 ss.; Santino 2011, p. 40), va storicizzato e problematizzato. In periodi di maggior forza dell’organizzazione, con organici completi e attività a pieno regime, la signoria è effettivamente o tendenzialmente totalitaria; in periodi di forte repressione e vuoti negli organigrammi, causati anche dalla conflittualità interna, la signoria ha ampi strappi ed è a macchia di leopardo. Questa, con ogni probabilità, è la situazione attuale, conseguente agli effetti boomerang dei grandi delitti e delle stragi degli anni ’80 e ’90. Si dice: con un mercato del sesso così sviluppato e con proventi di notevole consistenza (si parla di circa 10 milioni di euro l’anno a Palermo) la mafia non può non avere un ruolo. (Rocca 2012). Quello che si può dire è che finora non ci sono evidenze che possono permetterci di fare affermazioni documentabili. L’inchiesta del febbraio scorso in provincia di Caltanissetta dimostra che l’associazione mafiosa operante in quella zona è coinvolta nello sfruttamento della prostituzione, in collaborazione con soggetti provenienti da altri paesi, in quel caso dalla Romania. E tutto lascia prevedere che non si tratti di un caso isolato.

Dalle interviste raccolte non sembra che il problema dei rapporti tra mafia locale e nuovi gruppi criminali sia stato affrontato dagli inquirenti, a parte qualche accenno limitato e sporadico. Dall’intervista a un magistrato che si è occupato di questi temi si evince abbastanza nettamente che c’è un deficit di conoscenza soprattutto in Sicilia e a Palermo, dove solo nel corso del 2014 si sarebbe costituito un pool che si occupa dei reati di cui stiamo parlando. Il discorso sui cosiddetti “sistemi criminali integrati” è tutto da fare. Per adesso si fanno delle ipotesi molto vaghe: si parla di “protezione” che potrebbe essere esercitata dalla mafia locale nei confronti dei nuovi arrivati, di “capitale sociale”, accumulato dalla mafia storica a cui potrebbero attingere i gruppi stranieri, di compartecipazione agli utili, di intese. In ogni caso per affrontare questa problematica non ci sarebbe una polizia giudiziaria adeguata. L’antimafia, non si precisa se quella istituzionale o quella privato-civile, avrebbe chiavi di lettura vecchie. Si preannunciano per metà settembre del 2014 imprecisate misure nuove.

Qui si pone un problema non nuovo: non c’è mai stato, se non a livello di dichiarazioni di solidarietà, di forme simboliche di sostegno come la “scorta civica” per i magistrati più esposti e minacciati, qualcosa che somigli a un “sistema antimafia integrato” che metta insieme, non episodicamente ed emotivamente, istituzioni come magistratura, forze dell’ordine, università, scuole, associazioni e centri studio impegnati nella ricerca e nell’azione antimafia. Manca un soggetto plurale e manca un progetto complessivo. La dismissione delle unità di strada, di cui parla una funzionaria della questura, non va certo nella direzione giusta, se si vuole porre mano alla costruzione di tale progetto.

Il progetto del Ciss e di altre associazioni, nel cui ambito questa relazione viene elaborata, potrebbe dare l’avvio a una collaborazione non episodica tra i vari soggetti, strada obbligata se si vuole avere una rappresentazione adeguata dei processi in corso.

 

Nuove forme di antimafia

Le condizioni di ipersfruttamento, di vera e propria schiavitù prodotte dal traffico di esseri umani e dalla tratta di donne prostituite hanno suscitato reazioni e mobilitazioni che possono considerarsi, almeno embrionalmente, forme di antimafia sociale, assimilabili alle esperienze storiche che in Sicilia si sono espresse con le lotte contadine, dai Fasci siciliani dei fine ’800 agli anni ’50 del secolo scorso. Il 25 agosto 1989 a Villa Literno (Caserta) una banda di criminali ha ucciso il rifugiato sudafricano Jerry Essan Masslo. Gli immigrati hanno organizzato uno sciopero contro il caporalato, una forma storica di sfruttamento della manodopera agricola, successivamente a Roma ci sarà la prima manifestazione nazionale antirazzista e la mobilitazione otterrà l’approvazione della legge n. 39 del 1990 sulla condizione dello straniero in Italia. A Castelvolturno (sempre in provincia di Caserta) il 18 settembre 2008 dei camorristi hanno ucciso 6 africani, un ferito ha collaborato con la giustizia ed è stato arrestato il capocamorra latitante. Sono state organizzate delle manifestazioni anticamorra. Così pure a Rosarno (Reggio Calabria) nel dicembre del 2008 ci sono state manifestazioni dopo il ferimento di due ivoriani. Sono i primi passi di una nuova stagione dell’antimafia legata alle condizioni di vita di immigrati costretti a lavorare in nero, sottopagati e senza nessuna tutela (Mangano 2009).

Sul fronte della prostituzione coatta e mercenaria tra le iniziative più significative c’è l’associazione delle vittime ed ex vittime della tratta, costituita grazie all’impegno di Isoke Aikpitanyi. Ed è altrettanto significativo che degli uomini abbiano cominciato a interrogarsi e a mettersi in discussione come clienti del sesso mercenario. Una riflessione che non può non partire dagli effetti che la mancata educazione sessuale, o meglio un’educazione alla virilità intesa come possesso e dominio, frutto di tabù religiosi e di un potere maschile millenario, ha prodotto e continua a produrre, coniugandosi con forme di prepotere e di sfruttamento che riproducono schiavitù che sembravano d’altri tempi e invece sono perfettamente funzionali agli assetti della “modernità” globalizzata.

Di questi temi si è cominciato a parlare a Palermo all’interno delle attività del Coordinamento antitratta Favour e Loveth, due ragazze nigeriane, la prima uccisa e bruciata, la seconda trovata morta (Burgio 2012), che ha organizzato la campagna di sensibilizzazione “Io non tratto” in città e nelle scuole, coinvolgendo gli organi di informazione. Da anni opera in città l’associazione “Pellegrino della terra” per l’assistenza alle donne vittime di tratta e ci sono iniziative in corso che mirano a dare alle vittime un ruolo di protagoniste dei processi di liberazione che debbono confrontarsi con difficoltà difficilmente superabili. Prima fra tutte quella di trovare un lavoro che permetta loro di vivere dignitosamente e affrancarle dalla possibilità di ricadute.

Queste iniziative si svolgono in un quadro che vede l’amministrazione comunale disponibile e impegnata in vari modi, dalle targhe per ricordare Favour e Loveth, alla cittadinanza onoraria per Isoke Aikpitanyi, al convegno con la Consulta delle culture, del marzo 2015, “Io sono persona: Dalla mobilità come sofferenza alla mobilità come diritto”, con proposte come l’abolizione del permesso di soggiorno, il diritto all’asilo, alla protezione e alla partecipazione politica e una nuova legge di cittadinanza.

 

Riferimenti bibliografici

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Sola Elisa, Torino, 15 romeni condannati per mafia: la prima volta in Italia, in “Corriere della sera”, 27 ottobre 2014.

Tesi di laurea:

Pasta Emilia Germana, La tratta di esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione nigeriana, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Economia, Anno accademico 2010/2011.

Cabras Federica, La tratta delle donne nigeriane nel Nord Ovest. I casi di Torino e Genova, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze politiche, Anno accademico 2012/2013.

Gloria Cipolla ha curato la rassegna stampa e ha raccolto le interviste. Le informazioni sulla mappa della prostituzione a Palermo sono state raccolte da Rafaela Pascoal e da Nino Rocca.

 

Relazione per il Progetto “Root Research on Organized Trafficking. The involvement of Organized Criminal Groups in the Trafficking of Women for Sexual Exploitation: the case study of Palermo”.