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Caro Libero

Umberto Santino

Caro Libero,

rileggere le tue parole è come ripercorrere i giorni che vanno da quel 10 gennaio 1991 in cui è stata data la notizia del tuo no alle richieste degli estortori a quel 29 agosto in cui è stato versato il tuo sangue sul marciapiede sotto casa.
È stata una lunga, e prevedibile, via crucis. Quel 4 maggio pensavamo di coinvolgere una buona parte della cittadinanza, invece eravamo poche decine e neppure le maestre in visita al palazzo comunale con una scolaresca hanno pensato di trattenersi per seguire il dibattito. Non vennero neppure i rappresentanti di altri centri studi, nati dopo il Centro Impastato con leggine per il finanziamento ad hoc. Non venne il Coordinamento antimafia, costituitosi su proposta di chi scrive nel 1984 e poi trasformatosi in tifoseria del sindaco Orlando con la benedizione di padre Pintacuda, di cui nessuno pronosticava il futuro nei paraggi della nascitura Forza Italia. La retorica del tempo negava le appartenenze ma in realtà le induriva trasformandole in devozione e tu, nonostante le varie esperienze partitiche (prima nella breve stagione del Partito d’azione, poi radical-socialista e repubblicano, quindi pannelliano, e all’avventuroso guru radicale hai dedicato una poesia intitolata A te che sei una puttana, infine simpatia per i Verdi e ritorno nel Partito repubblicano), eri un battitore libero, in una società ordinata per tribù.
Quel giorno abbiamo mostrato che tu, e noi con te, eravamo soli e che le dichiarazioni di solidarietà, gli spazi sui giornali e alla televisione, non avevano scalfito quell’isolamento che era già una condanna preventiva. Come ha scritto Pina, la profezia del delitto.
Lo scontro fra te, Salatiello, un imprenditore che ti aveva preceduto sulla stessa strada, e il presidente dell’Associazione dei piccoli imprenditori, era lo scontro tra due mondi, separati ed avversi. La tua voce era affilata come una lama quando chiedevi: «C’è terrorismo a Brancaccio?». Tu parlavi di un imprenditore che non solo produce merci ma soprattutto crea cultura e civiltà, progetta e costruisce sviluppo, perché eri quel tipo di imprenditore, idealizzato da Schumpeter, incarnavi una borghesia libera da condizionamenti e affrancata dal servilismo, ma eri un’anomalia in un mondo in cui i tuoi colleghi seguivano altre strade e non per caso incrociavano mafia e corruzione. E il tuo isolamento si faceva sempre più pesante. Ricordo una telefonata prima delle vacanze estive in cui mi dicevi: «Le banche fanno difficoltà. La Banca S. Angelo, per uno scoperto di 5 milioni [di lire] totalmente insignificante dato che il mio fatturato è di 7 miliardi, fa un mucchio di problemi». Gli dico: «Lo scoperto di 5 milioni è un pretesto, non vogliono avere rapporti con te». Era chiaro: ti consideravano un morto che cammina.
Non ci consola pensare che hai perso la battaglia ma potresti vincere la guerra. In questi vent’anni molte cose sono mutate. Il sostegno dei Verdi si è dissolto e la Fondazione intitolata a tuo nome non è decollata, ma con la legge varata dopo il tuo assassinio (tutta la legislazione antimafia del nostro Paese è frutto di morte e occorreva la tua per scoprire le estorsioni, praticate da secoli) imprenditori e commercianti che hanno seguito la tua strada e hanno avuto danneggiata l’azienda possono continuare l’attività. Alla testa dell’Associazione degli industriali siciliani ci sono imprenditori che si dichiarano contro la mafia, espellono chi non solo paga il pizzo ma neppure collabora con la giustizia dopo che gli estortori sono stati arrestati e condannati. Alcuni giovani hanno avuto un’idea che poteva limitarsi a una bravata goliardica: in una notte del giugno 2004 hanno incollato sui muri di Palermo un adesivo con la scritta «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità», ma da quella notte hanno avviato un percorso che ha dato i suoi frutti: la campagna per il consumo critico, la creazione dell’associazione Libero futuro, che porta il tuo nome. E a livello nazionale il movimento antiracket, che allora era partito da Capo d’Orlando, da una Sicilia non più «babba», è cresciuto, anche se solo nel Meridione.
Ma tu parlavi anche, o soprattutto, di politica e di qualità del consenso. e per tutta la vita ti sei battuto per una politica libera, laica, capace di affrontare e risolvere i problemi nascenti da antichi servaggi e radicate tirannie. E qui va detto, senza sconti, che l’Italia è diventata negli ultimi anni un paese in cui saresti un alieno. Al mezzo secolo di potere democristiano, fatto di clientele e di permanenti compromessi con la mafia, ma con il rispetto almeno per le forme istituzionali (Andreotti, l’icona più emblematica di quelle compromissioni, accusato di reati gravissimi, si è difeso nei processi, conclusi all’italiana: accertata ma prescritta l’associazione a delinquere fino al 1980, da quell’anno in poi inopinatamente assolto) è succeduto il potere di un tale che incarna il peggio del nostro paese: palazzinaro con soldi di indubbia provenienza (si parla di Bontate e di altri capimafia), monopolista delle televisioni private che spargono stupidità e iniettano passività, sceso in campo per tutelare i suoi interessi con un partito-azienda fatto di dipendenti-servi. Ha sfornato leggi ad personam per autoassolversi, viola quotidianamente i principi fondamentali della Costituzione, che considera carta straccia e frutto della sanguinaria utopia comunista, definisce i magistrati «antropologicamente tarati» e «cancro della nazione», si circonda di legulei che gli confezionano leggi lodi decreti a misura della sua sterminata capacità a delinquere, di giovani donne, anche minorenni, che si prestano a pagamento alle sue voglie senili (non si chiamano più puttane ma escort), esibisce corna nei summit internazionali e inalbera il dito medio come bandiera del suo satiriaco superego, racconta barzellette stupide e volgarissime, e gli astanti ridono, per piaggeria e servilismo. Un inedito nella storia d’Italia. Un paese che ha ricreato a sua immagine e somiglianza. E ha vinto le elezioni, con un mucchio di voti imbucati in una legge elettorale che il suo stesso inventore ha definito una «porcata». Ora investe del suo potere, come se fosse ereditario, un giovanotto agrigentino, il cui unico merito è avergli fatto da chierichetto. Il delfino ha annunciato che vuole creare il «partito degli onesti» ma dichiara «perseguitato dalla giustizia» il monarca coinvolto in decine di procedimenti. E in quest’Italia baldracca e sbrindellata al vertice del potere c’è un altro personaggio, anche lui lombardo, che si è inventata un’inesistente Padania che vuole secedere dal resto d’Italia, invoca il dio Po, teorizza e pratica il razzismo, usa un linguaggio sbracato, gesti da trivio, si pulisce il sedere con il tricolore. Un barbaro dalla testa ai piedi, anche lui eletto a furor di popolo. Il peggio del paese, mafie dintorni, prima veniva da Sud, ora viene da Nord. Dalla ricca Lombardia.
Riusciremo ad uscire da questo pozzo nero? Da questa quotidiana barbarie? Pare che le cose stiano cambiando ma non sarà facile. Perché il «berlusconismo» incrocia e sublima il peggio dell’italietta: la furberia, l’illegalità diffusa (siamo recordmen di evasione fiscale), la doppia morale, la religione del privato e il saccheggio del pubblico. L’esatto contrario di quello che eri.
E poi c’è un’opposizione incapace e divisa, scollata dalla stragrande maggioranza della popolazione, soprattutto femminile e giovanile, disoccupata e precaria, derubata di futuro. Così vuole il pensiero unico della globalizzazione il cui profeta è un certo Marchionne. In Sicilia chiuderà la Fiat e a Cuffaro, ormai nelle patrie galere per aver favorito capimafia notori, è succeduto un personaggio che alterna proclami separatisti e furbe aperture a cui si aggrappano i naufraghi del Pd (un loro onorevolino è stato arrestato in flagranza dopo aver intascato una mazzetta). E a Palermo dopo la lunga parentesi orlandiana c’è stato un sindaco che è forte solo del consenso di cui ha goduto quel tale che è al governo.
Caro Libero, altro che «ecologia della politica», ridotta sempre più a mercato, spot pubblicitario, postribolo; altro che civiltà e cultura mitteleuropee, altro che «tranquillità ambientale» come auspicavi. Dopo l’11 settembre (quando fanatici islamici hanno diroccato le torri gemelle di New York usando gli aerei come picconi) il mondo è diviso tra guerre e terrorismi e se prendi un aereo non puoi portare neppure una forbicina perché potresti usarla per sgozzare il pilota. Siamo tutti presunti terroristi e terrorizzati dentro. In questo contesto si svolge la vita di noi sopravvissuti al tuo assassinio. Ma una cosa è certa: sulla strada della liberazione da tutti i mali che ci assediano, in cerca di un futuro diverso, la tua lezione di dignità e di lucidità è stata, e continuerà ad essere, insieme ammonizione e progetto di vita e di società. Da riprendere e cercare di realizzare, per quello che possiamo, nonostante tutto.

 

Pubblicato in: Mafia o sviluppo. Un dibattito con Libero Grassi. 1991 – 2011, Di Girolamo Editore, Trapani 2011, pagg. 7-11.