Storia dell’antimafia: dalla lotta di classe all’impegno civile
Storia dell’antimafia: dalla lotta di classe all’impegno civile
L’antimafia: dalla lotta di classe all’impegno della società civile
Anche per quanto riguarda la lotta contro la mafia circolano stereotipi: per esempio si dice che essa sia cominciata soltanto negli ultimi anni, in seguito ai grandi delitti e alle stragi che hanno colpito personaggi come Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino.
In realtà la lotta contro la mafia si è sviluppata coevamente al fenomeno mafioso, a cominciare dalle lotte contadine nell’ultimo decennio del XIX secolo.
Si possono individuare tre fasi:
– la prima va dai Fasci siciliani (1891-94) al secondo dopoguerra: protagonista è il movimento contadino, con le sue lotte per il miglioramento delle condizioni di vita e per la partecipazione democratica;
– la seconda negli anni ’60 e ’70: la lotta contro la mafia è condotta da minoranze, sul piano istituzionale e sul terreno sociale;
– la terza dagli anni ’80 ad adesso: protagonista è la società civile, con il proliferare di comitati e associazioni, il lavoro nelle scuole, il movimento antiracket, l’uso sociale dei beni confiscati.
1. Il movimento contadino dai Fasci siciliani al secondo dopoguerra
Il movimento contadino è un movimento organizzato, che coinvolge centinaia di migliaia di persone, che dà vita a periodi di lotta intensa e continuativa, che raggiunge risultati anche importanti ma va incontro a sanguinose sconfitte, a cui seguono grandi ondate migratorie e il ripiegamento, in attesa delle condizioni per riprendere la lotta.
I Fasci siciliani sono il primo esempio di movimento organizzato di contadini ed altri strati sociali con dimensioni di massa (le fonti di polizia parlano di 300.000 aderenti, altre fonti di 400.000, ed è particolarmente significativa la partecipazione delle donne che costituirono anche Fasci al femminile) e con un programma di lotta per migliorare le condizioni di vita dei soggetti più svantaggiati e per rinnovare le amministrazioni locali. I Fasci sono esplicitamente o oggettivamente impegnati contro la mafia, anche se non mancano casi di Fasci spuri, espressioni di contrasti locali, o sotto l’ombra della mafia. Il caso più noto è il Fascio di Bisacquino, il cui vicepresidente fu Vito Cascio Ferro, che sarà uno dei capimafia più scaltri e potenti. Però l’affermazione secondo cui la mafia avrebbe agito da “lievito alla formazione dei Fasci”, contenuta in una relazione del direttore generale di pubblica sicurezza Sensales, è smentita da autorevoli testimoni del tempo e dagli storici più attenti. Nei confronti dei pregiudicati era regola generale vietarne l’iscrizione ai Fasci, deroghe erano consentite per piccoli delinquenti e appartenenti agli strati più bassi della mafia che mostravano di volere cambiare vita schierandosi con i lavoratori.
Il movimento dei Fasci ebbe una vita travagliata, toccò il suo culmine con lo sciopero agrario da agosto a novembre del 1993, un grande esempio di lotta organizzata e di democrazia sindacale, che seguì alla firma dei “Patti di Corleone”, atto di nascita del moderno sindacalismo contadino; ebbe un’involuzione con le manifestazioni degli ultimi mesi del 1893 contro le tasse, con l’arresto di 800 tra militanti e dirigenti nell’ottobre di quell’anno e anche per l’infiltrazione di provocatori, in un quadro politico mutato. Il 28 novembre del 1893 ci furono le dimissioni del capo del governo Giovanni Giolitti, che aveva escluso l’uso della violenza, e l’11 dicembre fu sostituito da Francesco Crispi, il protagonista dei moti risorgimentali, legato agli agrari, che dispose lo scioglimento dei Fasci e ordinò la repressione armata. Sotto il fuoco dell’esercito e dei campieri mafiosi caddero militanti e partecipanti alle manifestazioni (108 morti in un anno, dal gennaio del 1893 al gennaio del 1894). I capi furono processati e condannati a lunghe pene detentive. Circa un milione di persone lasciò la Sicilia. Destinazione: soprattutto l’America.
Il movimento prosegue nei primi decenni del XX secolo e si scontra sempre duramente con la mafia. La formazione di cooperative e le affittanze collettive per sostituire il gabelloto mafioso possono considerarsi i frutti più significativi di questa nuova fase delle lotte contadine. Battendosi su questi terreni concreti di lotta cadono dirigenti e militanti del Partito Socialista, spesso già impegnati nella stagione dei Fasci.
Nel periodo precedente il fascismo la Sicilia vive un’intensa stagione di lotte per la terra condotte dalle organizzazioni contadine. Gli anni 1919 e 1920 vengono indicati come il “biennio rosso”. I contadini chiedono l’espropriazione dei latifondi, la concessione delle terre alle associazioni agricole, l’istituzione di una Banca agraria, il miglioramento della viabilità, la fissazione di un salario minimo e la giornata di otto ore. Si organizzano grandi manifestazioni e occupazioni dei latifondi. Si sperimentano le prime forme di collegamento tra lotte contadine e lotte operaie, ad opera di dirigenti lungimiranti come Nicolò Alongi e Giovanni Orcel, entrambi assassinati. Il bilancio delle lotte di questi anni è sanguinoso; le punte più alte della violenza repressiva sono il massacro di Riesi del 1919 (11 morti tra i dimostranti), e di Randazzo nel 1920, con la morte di 7 dimostranti.
In questo periodo si sviluppa la concorrenza tra socialisti e popolari, particolarmente aspra nella Sicilia orientale. In risposta alla crescita del ruolo dei socialisti i popolari cercano di costruire un fronte moderato, in nome dell’antisocialismo, e non mancano casi di legami di popolari con mafiosi (significativa in tal senso una relazione del sottoprefetto di Termini Imerese del 13 ottobre 1920, su un candidato popolare fratello del capomafia locale: in Marino, 1976, p. 94).
La resistenza al fascismo ebbe i suoi caduti tra i socialisti e i comunisti, bersaglio principale delle “leghe antibolsceviche” che si costituirono in vari comuni siciliani, soprattutto nella Sicilia orientale, per “preservare la Sicilia dall’infezione rossa”. Lo squadrismo organizzato dagli agrari aveva un rapporto organico con la mafia dove questa era presente e svolgeva da tempo un ruolo di esercito in armi contro il movimento contadino, soprattutto nelle quattro province della Sicilia occidentale.
Giunto al potere, il fascismo si scontra con le bande di malviventi e con le associazioni mafiose, con le operazioni condotte dal prefetto Mori, che mira a imporre il monopolio statale della forza e la pienezza del diritto di proprietà degli agrari. Mori riesce a scompaginare in alcune zone le associazioni criminali, ma non a rimuovere le cause del fenomeno mafioso, da ricercare nell’assetto socio-economico fondato sullo sfruttamento della manodopera contadina, per cui la mafia riprenderà tutta la sua vitalità alla caduta del fascismo, usando anche come titolo di merito le “persecuzioni” subite durante la dittatura.
Il movimento contadino riprende nel secondo dopoguerra, dopo la caduta del fascismo, e si apre un’altra fase di scontri durissimi, culminati il primo maggio del 1947 nella strage di Portella della Ginestra, primo esempio nella vita della nuova Repubblica di “strage di Stato”, in cui si collauda il ruolo convergente della mafia, delle forze conservatrici e delle istituzioni che faranno di tutto per assicurare l’impunità ai mandanti. Nel corso degli anni ’40 e ’50 muoiono per mano mafiosa decine di sindacalisti, dirigenti e militanti socialisti e comunisti impegnati nelle lotte per l’assegnazione ai contadini delle terre incolte, la divisione dei prodotti a 60 e 40 (cioè: 60 per cento ai coltivatori e 40 ai proprietari), in attuazione delle leggi nazionali a favore dei contadini, i cosiddetti decreti Gullo, dal nome del ministro Fausto Gullo, esponente del Partito Comunista, per la riforma agraria. Per molti di questi delitti, per i quali era facilissimo individuare mandanti ed esecutori, non si svolge neppure il processo. Tutto ciò avviene in un quadro internazionale di fedeltà atlantica che ogni qual volta saranno messi in dubbio gli equilibri di potere interno, imprescindibili per garantire la lealtà internazionale, non esiterà a ricorrere alle stragi, come avverrà puntualmente dalla fine degli anni ’60 ai nostri giorni1.
Il ricorso all’omicidio e alle stragi obbedisce pertanto alle esigenze di fondo della politica internazionale ed è il prodotto di una costituzione materiale che prescrive di sbarrare la strada con tutti i mezzi all’andata al governo delle sinistre, la stessa logica che arma la mano ai responsabili della strage di Portella all’alba della Repubblica. Mentre la costituzione formale è pienamente democratica e lascia aperta a tutti la possibilità di dirigere il Paese, di fatto tale possibilità è bloccata, perché gli interessi delle classi dominanti e le alleanze internazionali, all’interno della contrapposizione tra l’Occidente capitalista e l’Oriente del “socialismo reale”, non tollerano alternative. Opera cioè un doppio Stato, che al suo interno coltiva istituzioni criminali, come i servizi segreti regolarmente “deviati”, coinvolti nelle stragi, come l’associazione segreta Gladio in funzione anticomunista, come la loggia massonica P2 di cui facevano parte vertici istituzionali. E si spiega con la doppiezza dello Stato l’impunità dei delitti mafiosi, funzionali al mantenimento del potere delle classi dominanti e alla distruzione di qualsiasi alternativa.
2. Anni ’60 e ’70: l’impegno antimafia di minoranze e della Nuova Sinistra
Negli anni ’60 e ’70, dopo la sconfitta del movimento contadino e la grande ondata migratoria che porta lontano dalla Sicilia più di un milione di persone (destinazione: il nord Italia e il centro Europa), l’impegno contro la mafia è decisamente di minoranza. Il PCI è impegnato nella Commissione parlamentare antimafia, attiva dopo la strage di Ciaculli del 1963, ma successivamente sarà invischiato nella politica del “compromesso storico”, avvierà un rapporto con settori della DC disponibili, con Andreotti a livello nazionale e con Lima a livello regionale. Sono i militanti dei gruppi della Nuova Sinistra che continuano la battaglia, con analisi e iniziative legate alla vicenda del movimento studentesco dal ’68 in poi. È di quegli anni la proposta di espropriazione della proprietà mafiosa, elaborata dal “Manifesto siciliano”, che sarà lasciata cadere dalla sinistra tradizionale e verrà raccolta solo nel 1982, dopo l’assassinio di Dalla Chiesa, con la nuova legge antimafia. Vittima di questo impegno è Giuseppe Impastato, assassinato il 9 maggio 1978. Impastato, figlio e nipote di mafiosi, cade per il coraggio delle sue denunce ma anche per l’isolamento con cui conduce la sua azione, che è fatta anche di iniziative di mobilitazione in cui coinvolge studenti, contadini ed operai della zona di Cinisi, nei pressi dell’aeroporto di Palermo, crocevia del traffico internazionale di droga, sotto il controllo del capomafia Gaetano Badalamenti. Nel 1977 nasce il Centro siciliano di documentazione, che nel 1980 verrà dedicato a Impastato, per l’unicità della sua vicenda umana (il suo è l’unico caso di caduto nella lotta antimafia proveniente da una famiglia mafiosa) e la complessità della sua azione.
3. Dagli anni ’80 a oggi: l’impegno della società civile e l’antimafia sociale
Nei primi anni ’80, con il grande numero di delitti mafiosi all’interno della guerra di mafia (1981-83) più sanguinosa fino ad oggi e con i grandi delitti che colpiscono il presidente della Regione Mattarella e il segretario regionale del PCI La Torre e soprattutto, per l’enorme impatto che ha sull’opinione pubblica nazionale, con l’assassinio di Dalla Chiesa, si ha una ripresa del movimento antimafia. Si organizzano manifestazioni con la partecipazione di migliaia di persone, si formano centri ed associazioni (nel 1980 era già nata l’Associazione delle donne siciliane per la lotta contro la mafia) che nel 1984, su proposta del Centro Impastato, danno vita al primo Coordinamento antimafia, con cui si tenta di avviare un lavoro comune. L’intesa dura solo qualche anno e non riesce ad andare al di là di alcune manifestazioni.
Successivamente, in Sicilia orientale, dove le malavite locali solo da poco sono diventate simili alle associazioni mafiose e dove non c’è una sedimentata “cultura della sudditanza” nei confronti dei mafiosi, nascono le prime associazioni antiracket. A Palermo, anche dopo l’assassinio nel 1991 di Libero Grassi, che si era opposto apertamente agli estorsori, non si riesce a formare un’associazione di imprenditori e commercianti che si oppongono alla mafia.
Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992, in cui hanno perso la vita i giudici Falcone, Morvillo e Borsellino e otto uomini di scorta, cresce l’indignazione e la partecipazione alle manifestazioni raggiunge le punte più alte. Le donne del digiuno occupano per qualche mese piazza Politeama. Appaiono i lenzuoli ai balconi di Palermo. Le varie associazioni danno vita al cartello “Palermo, anno uno. Dalla protesta alla proposta”, cercando di darsi un programma non solo di celebrazioni rituali ma soprattutto di intervento sociale, in collaborazione con strutture già nate in precedenza, come il Centro sociale S. Saverio, sorto nel quartiere Albergheria nel 1985, o di nuova formazione.
A livello nazionale, dopo la circolare sull’educazione alla legalità del ministero della Pubblica istruzione dell’ottobre 1993, si sviluppano iniziative all’interno delle scuole. Il movimento antiracket si sviluppa anche in altre regioni meridionali, ma non nell’Italia centrale e settentrionale, nonostante la diffusione delle estorsioni e dell’usura in tutto il territorio nazionale. Nel 1995 si costituisce Libera, associazione di associazioni, che ben presto raccoglie centinaia di adesioni. Tra le sue iniziative più significative la raccolta di un milione di firme per una legge sulla confisca dei beni, che sarà approvata nel gennaio del 1996 (legge 109). La legge ha snellito le procedure per il sequestro e la confisca dei beni e prevede il loro uso sociale da parte di cooperative e associazioni di volontariato. Con questa legge è aumentato il numero dei beni confiscati, anche se è rimasto molto al di sotto dell’entità dei patrimoni mafiosi, e sono nate cooperative giovanili che gestiscono i beni, producendo vari prodotti, come la pasta, l’olio e il vino, contribuendo a creare un’economia liberata dal dominio mafioso, in una prospettiva di partecipazione democratica e di sviluppo del territorio.
Tra le iniziative che hanno dato vita a un’antimafia sociale si possono ricordare le lotte dei senzacasa di Palermo che hanno chiesto e ottenuto l’utilizzazione delle case confiscate ai mafiosi.
Fonti: Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; Breve storia della mafia e dell’antimafia, Di Girolamo, Trapani 2008.