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Oltre gli stereotipi: le ricerche del Centro Impastato

Umberto Santino

Oltre gli stereotipi: le ricerche del Centro Impastato

Nando Dalla Chiesa afferma che non è sua intenzione fare una rassegna critica né fornire un aggiornamento sistematico e richiama un mio contributo offerto nel volume Dalla mafia alle mafie. Mi pare però che, al di là delle intenzioni, la sua sia una rassegna critica o quantomeno un almanacco ragionato delle sue preferenze, e l’esposizione ha una sua sistematicità.
È vero, molta della letteratura esistente su mafia e antimafia è episodica, casuale, discontinua, manca dei necessari riferimenti teorici, direi che è in gran parte improvvisata e il più delle volte galleggia sulle increspature del mercato, coltiva e avalla stereotipi. Ma i riferimenti cari a Dalla Chiesa, da Sereni a Hess, ad Arlacchi, mi sembrano molto poco convincenti. Nella mia Storia del movimento antimafia, testo che è totalmente ignorato da Dalla Chiesa, e anche in altri testi, dedico un certo spazio alle analisi di Sereni. La sua tesi della mafia come “borghesia impedita nel suo sviluppo”, dal “doppio volto”, da un lato contro i proprietari latifondisti, dall’altro contro i contadini poveri e i braccianti, con un ruolo sostanzialmente progressista, è frutto di una visione ideologica bloccata sui residui feudali, di una scarsa conoscenza del ruolo reale della mafia, più parassitaria che produttrice, ed è alla base di una concezione della lotta politica tendente allo sviluppo del capitalismo, liberato dai ceppi arcaici. Un marxismo di scuola, con forti venature di ortodossia stalinista. Girolamo Li Causi, segretario del Partito comunista siciliano, cercando di mettere in pratica quelle indicazioni, tentò di conquistare i mafiosi al movimento riformistico degli anni ’40 e ’50. Diceva in un comizio del maggio del 1946: “…soltanto il Partito comunista, che non è mai entrato in compromesso con la mafia, può dirvi: voi potete salvarvi se rientrerete nella legalità, se non tratterete più i contadini come mandrie, se vi sgancerete dalle caste feudali interessate a mantenere il loro sfruttamento sul popolo siciliano. Nessuno toccherà i vostri averi, i vostri possedimenti saranno rispettati, nei limiti che la riforma agraria sancirà per lo smantellamento del latifondo”. Nel settembre del ’44 il dirigente comunista, reduce dal confino fascista, aveva già sperimentato gli spari di Villalba e, nonostante i suoi appelli e le sue assicurazioni, negli anni successivi i mafiosi con la decimazione sistematica dei dirigenti e dei militanti delle lotte contadine diranno chiaramente da che parte stavano. Comunque la tesi della mafia come ribellismo popolare, raccolta da Hobsbawm, è stata una malattia passeggera e il Partito comunista nei primi anni ’40 si era ben guardato dal farla sua, cercando di convogliare strati popolari attratti dal banditismo e tradizionalmente vocati alla jaquerie nell’alveo delle lotte organizzate. Ma già i Fasci siciliani dell’ultima decade del XIX secolo si erano posti il problema del coinvolgimento di strati popolari e anche di piccoli delinquenti, prendendo esplicitamente le distanze dai mafiosi.
L’antropologo tedesco Henner Hess nel 1970 ha pubblicato un libro che è il frutto di ricerche d’archivio, e ha avuto una buona fortuna anche grazie alla prefazione di Leonardo Sciascia. A dire di Hess la mafia era una subcultura condivisa da tutta la popolazione della Sicilia occidentale, la tesi di una mafia organizzata a suo giudizio era profondamente errata e la ricostituzione del monopolio della forza da parte dello Stato fascista era la strada da seguire. Neppure una parola sulle lotte contadine,che pure, dagli anni ’90 dell’Ottocento agli anni ’50 del Novecento, erano state tra le più grandi d’Europa.
Arlacchi richiama Schumpeter ma non mostra di aver capito che le innovazioni di cui parla l’autore di Capitalism, Socialism and Democracy, del 1943, non hanno nulla da spartire con il kalashnikov imbracciato dai mafiosi-imprenditori. Ed è così poco convinto della sua tesi, che pure incontrò immeritata fortuna, da cambiare rapidamente parere passando da un’idea di mafia come “forza della produzione” a quella contrapposta che vede la grande criminalità come un “ostacolo allo sviluppo”. Mentre per scoprire che la mafia non è un mutante alla deriva ma ha una sua struttura organizzativa, doveva attendere le confessioni di Antonino Calderone. Di questo, e di altro, ho parlato ampiamente nell’introduzione a L’impresa mafiosa e in Dalla mafia alle mafie, ma evidentemente questi testi, pur richiamati, non fanno parte delle preferenze di Dalla Chiesa. Senza dire che per rileggere e utilizzare Franchetti e Sonnino e la loro inchiesta del 1876, privata, non parlamentare come ha scritto Dalla Chiesa in Le ribelli e in Vite ribelli, non ho atteso l’input di altri.
Dalla Chiesa invita a tener conto della narrativa, della poesia, ed è proprio quello che ho fatto in vari testi, da La cosa e il nome alla Storia del movimento antimafia, richiamando Verga, Capuana, Pirandello, Levi, Sciascia, Buttitta e altre voci della poesia popolare, riportando le testimonianze dei protagonisti, ormai in via di sparizione, delle lotte contadine. Scoprendo figure ignote e dimenticate, come quelle di preti uccisi dalla mafia negli anni ’20, ben prima di padre Puglisi e di don Diana, totalmente ignorati dalla chiesa cattolica, che essendo una struttura di potere ha avuto un ruolo di complicità-convivenza con la mafia, soggetto strategico dell’anticomunismo, con poche eccezioni che confermano una prassi sedimentata.
A mio avviso la letteratura sulla mafia ha sofferto di un eccesso di polarizzazione. Per molti anni ha prevalso l’impostazione culturalista, sulle orme di Hess, che negava l’assetto organizzativo; negli ultimi anni ha prevalso la visione organizzativista, che nega gli aspetti culturali e tutto il resto. Fanno da spartiacque le rivelazioni di Buscetta, per cui ho parlato di un aB (avanti Buscetta) e un dB (dopo Buscetta).
Il compito di chi voglia studiare mafia e antimafia è partire da una valutazione della letteratura precedente e del senso comune, prima e dopo lo straripamento dei media, registrare stereotipi e paradigmi, formulare un’ipotesi definitoria e verificarla o falsificarla attraverso le ricerche. Queste elementari indicazioni metodologiche valgono non solo per la mafia ma per tutti i fenomeni, eppure non mi pare che siano seguite come dovrebbero (più d’uno pensa di partire da zero e di avere fatto grandi scoperte o di essere l’unico eletto in una terra di infedeli).
È quello che abbiamo cercato di fare con un piccolo centro di documentazione come il Centro Impastato (totalmente autofinanziato non per scelta castitaria ma perché le istituzioni sono rigidamente ancorate alla spartizione dei fondi pubblici con criteri clientelari che altri centri studi e associazioni che si definiscono antimafia hanno condiviso), con il progetto di ricerca “Mafia e società”. L’abbiamo proposto a istituti universitari, a fondazioni e associazioni, trovando solo la collaborazione di un docente di Statistica giudiziaria, eppure qualcosa siamo riusciti a condurre in porto: le ricerche sull’omicidio, sulle imprese, sulle idee di mafia, sull’evoluzione del fenomeno mafioso, sulle lotte contro di esso, sul traffico internazionale di droghe. Sono rimaste a metà strada le ricerche sul ruolo delle donne, sulla mafia finanziaria (abbiamo prodotto materiali su mafie e globalizzazione, partecipando a seminari e convegni nazionali e internazionali). Non siamo riusciti a fare l’inchiesta su Palermo che richiedeva collaborazioni che ci sono state negate. Eppure in trentatré anni di attività, siamo riusciti a produrre un corpus di pubblicazioni che meriterebbe qualche attenzione, non foss’altro per l’organicità che lo caratterizza, che è proprio quello di cui Dalla Chiesa va alla ricerca. E tutto questo senza abbandonare neppure per un attimo una battaglia, isolatissima, per salvare la memoria e pretendere giustizia per Peppino Impastato, per tanti anni considerato un terrorista-suicida e, dopo la distribuzione del film “I cento passi”, asceso a icona guevariana del ribellismo meridionale. E svolgendo, fin dai primi anni ’80, un lavoro pionieristico nelle scuole.
A proposito di Impastato, Dalla Chiesa parla di rivolta “eccentrica”. È vero, la sinistra tradizionale non aveva più tra i primi punti dell’agenda la lotta antimafia e i gruppi di Nuova sinistra non prestavano molta attenzione al fenomeno mafioso, però il Circolo Lenin di Palermo, diretto da Mario Mineo, che nel 1970 aderì al Manifesto, svolse un compito significativo nell’aggiornamento dell’analisi sulla mafia, parlando di “borghesia capitalistico-mafiosa”, e con la proposta di espropriazione della proprietà mafiosa, che doveva attendere 12 anni prima di essere recepita nella legge antimafia, ma non certo per la nostra iniziativa (se non ci fosse stato l’assassinio del generale-prefetto Dalla Chiesa non ci sarebbe stata nessuna legge antimafia, approvata dieci giorni dopo l’eccidio di via Carini: tutta la legislazione antimafia è dettata dallo stereotipo dell'”emergenza”). Tanto l’analisi che la proposta trovarono la porta sbarrata del Partito comunista (l’allora segretario regionale Achille Occhetto, interessato ad allacciare rapporti con la Democrazia cristiana per attuare la linea del “patto autonomistico”, versione siciliana del “compromesso storico”, disse che noi del Manifesto di Palermo vedevamo dappertutto mafia) e il disinteresse dello stesso Manifesto nazionale. Comunque ci abbiamo provato e non è un caso che l’eredità di Impastato sia stata raccolta da chi scrive e da pochi altri che in quegli anni parlavano di mafia, andando controcorrente rispetto a chi si accingeva a rivoluzionare il mondo e ben presto sarebbe stato sommerso dal “riflusso” o si sarebbe imbarcato per altri lidi.
Il consiglio di Dalla Chiesa di ricostruire il contesto, definire la cornice delle categorie analitiche, abbiamo cercato di seguirlo fin dall’inizio della nostra attività, con il convegno “Portella della Ginestra: una strage per il centrismo” del 1977, che in tempi di retorica celebrativa (dalle liturgie sempre più esangui in memoria della Resistenza a quelle per i martiri delle lotte contadine) collocava la strage del primo maggio 1947 dentro il quadro nazionale e internazionale che portò alla dissoluzione della coalizione antifascista, alla nascita del centrismo e alla guerra fredda. Evitando sia localismi strapaesani sia dietrologie complottiste e analizzando quell’incrocio di interessi che produsse la “democrazia bloccata”. Rifuggendo da ideologismi e semplificazioni. Ritornando in seguito sul tema, anche la teoria del “doppio Stato”, da Lederer a Fraenkel, a De Felice, l’abbiamo usata cum grano salis.
Nelle nostre attività successive, per definire la soggettività politica della mafia ovviamente abbiamo fatto riferimento a Weber e a Bobbio, come per analizzare le attività imprenditoriali non potevamo ignorare l’apporto di Sutherland, le riflessioni degli studiosi della teoria neoclassica dell’impresa, da Cournot a Walker e Clark, dei teorici dell’equilibrio economico generale come Walras, Pareto e Marshall, gli studi sul mercato oligopolistico di Sweezy, sulla funzione imprenditoriale di Knight, e per studiare i “fenomeni premafiosi” non potevamo tralasciare Wallerstein e Braudel.
Purtroppo, per ragioni editoriali, l’introduzione alla Storia del movimento antimafia, che ripercorreva la letteratura sulla società civile, da Rousseau a Hegel, a Marx e Gramsci, sui movimenti sociali e sull’azione collettiva, dalla scuola di Chicago a Talcott Parsons, al resource mobilization approach e al political process model, da Smelser a Mancur Olson, e sui nuovi movimenti sociali, da Touraine a Offe e a Melucci, è stata drasticamente amputata ma anche in quella pubblicata non mancano i riferimenti, critici, a Banfield e a Putnam.
Da queste e altre ricerche risulta verificata, ma con continui aggiustamenti, l’ipotesi definitoria riassunta nel “paradigma della complessità”, in cui interagiscono crimine, accumulazione, potere, codice culturale e consenso sociale. Per cui il fenomeno mafioso è insieme organizzazione criminale e sistema di rapporti, blocco sociale transclassista e borghesia mafiosa. Espressione, quest’ultima, che per anni è stata marchiata di veteromarxismo, ma che negli ultimi anni è riemersa, anche nelle pagine di magistrati tra i più attenti e attivi, citino o meno la fonte, che hanno verificato nelle loro inchieste che l’apporto di professionisti, imprenditori, pubblici amministratori, politici e rappresentanti delle istituzioni, è fondamentale e che senza di essi i delinquenti accoscati potrebbero fare ben poco (i due padrini più noti degli ultimi anni, Riina e Provenzano, hanno solo la seconda elementare e un bagaglio esperienziale limitato, il controllo sulla sanità, sugli appalti, l’interazione con la politica avvengono attraverso il sistema relazionale). Ma per molti anni ci siamo trovati a recitare la parte del san Sebastiano al tiro al bersaglio di accademici o meno che si degnavano di accorgersi della nostra presenza. Ora molti parlano di “borghesia mafiosa”, di “signoria territoriale” (un dominio tendenzialmente o effettualmente assoluto sulle attività e sui rapporti interpersonali che si svolgono su un determinato territorio), di “mafia finanziaria”: termini di un vocabolario che è riuscito a scavalcare i recinti di un’elaborazione minoritaria e rischiano, se usati ritualmente, di generare nuovi stereotipi. E per ciò che riguarda l’evoluzione del fenomeno mafioso anche la nostra ipotesi che coniuga continuità e trasformazione, per cui le estorsioni documentabili fin dal XVI secolo convivono con le innovazioni finanziarie postmoderne, e legge la periodizzazione (fenomeni premafiosi, mafia agraria, urbano-imprenditoriale, finanziaria) come un adattamento ai mutamenti del contesto, con la convivenza tra rigidità formali ed elasticità di fatto, si è rivelata più adeguata dell’antico stereotipo “mafia vecchia – mafia nuova”, riverniciato in “mafia tradizionale” in competizione per l’onore e “mafia imprenditrice” che solo negli anni ’70 avrebbe scoperto la competizione per la ricchezza. Un’autentica sciocchezza.
Un’ultima considerazione: se i circuiti editoriali su cui navigano le nostre pubblicazioni non sono i più gettonati, se le recensioni scarseggiano, non sappiamo cosa farci. Questo è il destino di chi non ha appartenenze, né accademiche, né politiche, né mediatiche.
D’altra parte i bestsellers sono fenomeni da decodificare più per le dinamiche del successo che per i loro contenuti. Com’è il caso di Gomorra e di Saviano. Abbiamo espresso solidarietà per le minacce ricevute, la rinnoviamo per le condizioni in cui è costretto a vivere, sappiamo bene i pericoli che si corrono a dire e a fare certe cose, poiché li abbiamo vissuti sulla nostra pelle, e per giunta senza scorta, reputiamo semplicemente ridicole le considerazioni di Berlusconi, che per un verso demonizza chi parla di mafia, per un altro intasca i proventi dei libri di successo di Mondadori, dei film della Medusa e degli sceneggiati delle televisioni, come l’esaltazione del padrino nel Capo dei capi, ma già prima del successo avevamo scritto che Gomorra è un romanzo di grande leggibilità ma per conoscere la camorra sono più utili altri testi, più documentati e puntuali, a cominciare dal Marco Monnier del 1863. Dopo il successo Saviano è diventato il tuttologo che sciorina giudizi su tutto e su tutti, il maestro di vita a cui fare riferimento e qualcuno pensa di lanciarlo nell’agone politico e candidarlo alla presidenza del Consiglio! In una società dello spettacolo, che spesso somiglia a un avanspettacolo, siamo alla ricerca di un antiberlusconi e non c’è di meglio che cercarlo tra gli astri della televisione, come dire che al berlusconismo ormai non c’è scampo. Lo confessiamo: tra i nostri vizi o peccati capitali c’è quello di non adorare miti e di non sgomitare per iscriverci ai vari clan mediatici, dalla carta stampata al piccolo e al grande schermo. Se i peccati si scontano, li abbiamo scontati e continuiamo a scontarli.

Di seguito alcune indicazioni sul progetto “Mafia e società” e sulle ricerche effettuate e pubblicate.

– Idee di mafia: Umberto Santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Umberto Santino, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.

– Evoluzione del fenomeno mafioso: Amelia Crisantino, Capire la mafia, La Luna, Palermo 1994; Umberto Santino, La cosa e il nome, Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Amelia Crisantino, Della segreta e operosa associazione. Una setta all’origine della mafia, Sellerio, Palermo 2000; Umberto Santino, Breve storia della mafia e dell’antimafia, Di Girolamo, Trapani 2008.

– La mafia contemporanea: Autori Vari, Ricomposizione del blocco dominante, lotte contadine e politica delle sinistre in Sicilia (1943 -1947), Centro siciliano di documentazione, Palermo 1977; Umberto Santino, The financial mafia. The illegal accumulation of wealth and the financial-industrial complex, in “Contemporary Crises”, Vol.12, No. 3, September 1988, pp. 203-243; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni ’60 ad oggi, F. Angeli, Milano1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L’impresa mafiosa: Dall’Italia agli Stati Uniti, F. Angeli, Milano 1990; Autori Vari, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, F. Angeli, Milano 1992; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Dietro la droga, Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino1993; Umberto Santino, La borghesia mafiosa. Materiali di un percorso d’analisi, Centro Impastato, Palermo 1994; Umberto Santino, La mafia come soggetto politico, Centro Impastato, Palermo 1994; Umberto Santino, L’alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997; Umberto Santino, La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l’emarginazione delle sinistre, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997; Umberto Santino, Die Mafia und Mafia-ähnliche Organisationen in Italien, in M. Edelbacher, (heraugegeben von), Organisierte Kriminalität in Europa, Linde Verlag, Wien 1998, pp. 103-129; Umberto Santino, From the mafia to transnational crime, in “Nuove Effemeridi”, Anno XIII, n. 50, 2000, pp. 92-101; Umberto Santino, Mafia and Mafia-type Organisations in Italy, in J.S Albanese, D.K. Das, A.Verma (editors), Organized Crime. Wolrld Perspectives, Prentice Hall, New Jersey 2003, pp: 82-100; Umberto Santino, Mafia, crime transnational et mondialisation, in Défaire le développement. Refaire le monde, Parangon, Paris 2003, pp. 89-100; Umberto Santino, Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi, in “Studi sulla questione criminale”, Nuova serie di “Dei delitti e delle pene”, Anno I, n. 1, Carocci 2006, pp. 99-114; Umberto Santino, Borghesia mafiosa e società contemporanea, in L. Pepino e M. Nebiolo (a cura di), Mafia e potere, EGA, Torino 2006, pp. 45-60; Umberto Santino, Mafie e globalizzazione, Di Girolamo, Trapani 2007; Antonio Mazzeo, I padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Edizioni Alegre, Roma 2010.

– Lotta antimafia: Umberto Santino (a cura di), L’antimafia difficile, Centro Impastato, Palermo 1989; Umberto Santino, Fighting the Mafia and Organized Crime: Italy and Europe, in W.F. McDonald (ed.), Crime and Law Enforcement in the Global Village, Anderson Publishing, Cincinnati 1997, pp. 151-166; Umberto Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000, Editori Riuniti University Press, Roma 2009 (l’introduzione originaria sul sito: www.centroimpastato.it, Pubblicazioni, Saggi e articoli, con il titolo: “Movimenti sociali e movimento antimafia”); Giovanni Abbagnato, Giovanni Orcel. Vita e morte per mafia di un sindacalista siciliano, Di Girolamo, Trapani 2007; Umberto Santino, L’altra Sicilia. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dai Fasci siciliani ai giorni nostri, Di Girolamo, Trapani 2010.

– Donne e mafia: Felicia Bartolotta Impastato, a cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Anna Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Di Girolamo, Trapani 2005; Anna Puglisi, Storie di donne. Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Milly Giaccone raccontano la loro vita, Di Girolamo, Trapani 2007.

– Palermo: Amelia Crisantino, La città spugna. Palermo nella ricerca sociologica, Centro Impastato, Palermo1990; Nino Rocca, Umberto Santino (a cura di), Le tasche di Palermo. I bilanci del Comune dal 1986 al 1991, Centro Impastato, Palermo 1992; Umberto Santino, Il ’68 e il ’77 a Palermo, Centro Impastato, Palermo 2008.

– Cinisi, il paese di Gaetano Badalamenti e di Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L’assassinio e il depistaggio. Atti relativi all’omicidio di Giuseppe Impastato, Centro Impastato, Palermo 1998; Giuseppe Impastato, a cura di Umberto Santino, Lunga è la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro Impastato, Palermo 2003-2008; Anna Puglisi, Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro Impastato, Palermo 2005; Umberto Santino (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato. Le sentenze di condanna dei mandanti del delitto Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, Centro Impastato, Palermo 2008; Giovanni Impastato e Franco Vassia, Resistere a Mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato, Stampa alternativa, Viterbo 2009.

– Per le scuole: Umberto Santino, Oltre la legalità. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro Impastato, Palermo 1997-2002; Augusto Cavadi (a cura di), A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro Impastato, Palermo 1994, Di Girolamo, Trapani 2006. Altri materiali sul sito del Centro: www.centroimpastato.com.