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Umberto Santino

Il virus, lo stato d’eccezione e la mafia

Medici, infermieri, il personale sanitario stanno facendo miracoli per fare fronte all’epidemia del coronavirus e ci stiamo accorgendo solo adesso che la sanità pubblica è indispensabile e insostituibile. Lo stato d’eccezione in cui stiamo vivendo ha fatto emergere gli aspetti più disastrosi delle politiche di questi anni, con lo smantellamento della sanità pubblica e l’incentivo alla sanità privata. Eppure c’erano tutte le condizioni per accorgersene prima. Si è cominciato con l’aziendalizzazione e la regionalizzazione del sistema sanitario, si è continuato con la chiusura di ospedali e il taglio dei posti letto. La salute, da diritto garantito dalla Costituzione, è diventata merce e privilegio da pagare secondo le quotazioni del mercato, e il servizio pubblico che doveva assicurarla è stato classificato come “azienda”, la cui produttività si misura con il numero delle prestazioni e con l’entità delle spese e dei ricavi. E nell’azienda capita che ci siano manager, direttori, primari, ma anche altri addetti, scelti in base ad appartenenze partitiche, a reti clientelari o amicali. In questi giorni il vero miracolo è l’abnegazione di tutti coloro che si prodigano senza risparmiarsi, a rischio di ammalarsi e rimanere vittime dell’epidemia. Le condizioni in cui operano implicano anche rischi intollerabili: con un numero crescente di malati e mezzi e attrezzature limitati, si potrà creare, se non si è già creata, un’altra eccezionalità, per cui si dovrà scegliere chi curare e chi abbandonare al suo destino. Una selezione che suscita angoscianti ricordi. Si sta raccogliendo quello che si è seminato. I tagli alla sanità pubblica li hanno fatti tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni e l’evasione, che non si è mai combattuta seriamente, ha fatto mancare i fondi per servizi adeguati.

Con la riforma del titolo V della Costituzione la sanità è stata spartita tra Stato e regioni, con il proliferare di conflitti, un trattamento differenziato dei pazienti a seconda del luogo di residenza e la moltiplicazione delle sedi decisionali e degli appetiti. La sanità regionalizzata è diventata il terreno in cui si sperimentano vecchie e nuove tipologie di malaffare e di corruzione.

In questo contesto la mafia ha giocato in casa, ma lo faceva da tempo. Tra affiliati e capimafia i medici hanno avuto sempre un posto riservato, da Michele Navarra a Giuseppe Guttadauro. E in Sicilia si è avuto il caso più emblematico di sanità privatizzata. Nella clinica Villa Santa Teresa, a Bagheria, imprenditori, professionisti, mafiosi, politici, un emblematico campionario di borghesia mafiosa, per anni hanno dominato il “mercato sanitario”, imponendo una lievitazione dei costi che ha dell’incredibile. Per un tumore alla prostata il costo medio per paziente era di 143.000 euro, soldi che venivano profusi dalla regione in base all’atto di “accreditamento”. Con l’amministrazione giudiziaria è sceso a 8.000 euro. E si è parlato di “modello Provenzano”, con una serie di imprese che erano insieme canali di riciclaggio e presidi di una strategia di occupazione del sistema sanitario. Qual è la situazione adesso? Capisco che l’emergenza impone la sua agenda, ma dovremmo aver chiaro il quadro in cui ci muoviamo, al di là di singoli episodi.

Cosa accadrà dopo, quando sarà cessato lo stato d’eccezione? Si tornerà alla “normalità” o si capirà che bisognerebbe ridefinirla? Normalità dovrebbe essere la sanità pubblica capace di rispondere efficacemente alla domanda di salute, come pure la lotta a fondo all’evasione e alla corruzione e, tenendo conto di quello che è accaduto, normalità sarebbe anche l’eliminazione del sovraffollamento delle carceri, indegno di un paese civile. I condizionali sono d’obbligo.

E l’Europa? Dopo la dichiarazione imperdonabile di Christine Lagarde (gaffe o “voce dal sen fuggita”?), si sta cercando di far fronte all’emergenza. Ma il problema non è rafforzare il pronto soccorso, sospendendo, temporaneamente, vincoli paralizzanti, iniettando liquidità, acquistando quote del debito, ma mutare strategia, cioè promuovere politiche di sviluppo a lungo termine, superando le strettoie imposte dall’ideologia liberista. Ne va della stessa sopravvivenza dell’Unione.

Bisognerebbe sapere che, con una crisi gravissima, senza un piano di investimenti pubblici, rigorosamente controllati, se non sarà ridimensionata anche l’accumulazione illegale, si appesantirebbe la dipendenza dalle mafie delle imprese e di ampi settori della società.