In questi giorni si è parlato molto della scarcerazione di Brusca e molte sono state le reazioni, dal mondo della politica e dell’Antimafia. Qual è la sua opinione a riguardo?
Le reazioni dei familiari sono state molto composte: hanno espresso amarezza , rammarico, indignazione, ma hanno tenuto presente che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, anche di uno dei mafiosi più sanguinari come Brusca (l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo è imperdonabile) sono indispensabili per ricostruire delitti e stragi e individuare i responsabili. E’ un compromesso, odioso ma necessario, che ha i suoi costi e il vistoso sconto di pena per Brusca è il prezzo che si è dovuto pagare.
Poi ci sono state le reazioni, fintamente sdegnate e scandalizzate, di quanti in realtà vogliono che sia cambiata o cancellata la legge sulla premialità dei collaboratori. L’ha voluta Falcone e fa parte dell’architettura che ha costruito per dare basi solide all’azione repressiva, ancorandola al diritto e non alla episodicità e alla discrezionalità.
Si è detto che Brusca non ha detto tutto quello che poteva sapere. Nulla, a quanto pare, sulle ricchezze accumulate. Per le stragi del ’92 e del ’93 restano oscuri i mandanti esterni, ancora una volta evocati e mai individuati, ma mi chiedo se la piena verità sui delitti e le stragi politico-mafiosi debba venire dai mafiosi o da rappresentanti delle istituzioni che hanno fatto la loro parte, come progettisti o esecutori o depistatori. L’omertà dei mafiosi fa parte del loro statuto identitario, l’omertà di Stato mi pare più grave, perché è in contraddizione con se stesso, almeno con quello che dovrebbe essere.
Che Palermo trova Brusca? Come è cambiata negli anni e come la descriverebbe oggi?
Nel 1990 abbiamo pubblicato un libro dal titolo La città spugna. Palermo nella ricerca sociologica. “Città spugna” significava che Palermo consumava più di quanto produceva, viveva soprattutto di denaro pubblico e aveva un ruolo consistente l’accumulazione illegale. Negli ultimi anni Palermo ha vissuto una doppia vita: vetrina luccicante come capitale nazionale della cultura 2018, con un bel po’ di esagerazione “capitale dell’antimafia”; in realtà ci sono comitati, centri studio, associazioni, fondazioni antimafia che svolgono un buon lavoro, ma sono pur sempre una minoranza, mentre la base economica si è ridotta sempre di più, sono aumentati disoccupazione e lavoro nero, fasce di popolazione vivono di illegalità. La pandemia ha azzerato piccole imprese ed esercizi commerciali, li ha esposti al controllo mafioso e per la popolazione ulteriormente emarginata la mafia offrirebbe un suo welfare elementare. Ma il grande bottino, per tutte le mafie, saranno i fondi europei se si aboliscono o attenuano i controlli.
Abbiamo più volte proposto un progetto “Sapere Palermo”, un’inchiesta che non sia soltanto un ritratto sociologico ma indichi i problemi più importanti e proponga come affrontarli. Attualmente vorremmo lavorarci con le organizzazioni sindacali ma non so se ci riusciremo. Bisogna trovare interlocutori compententi e disponibili, e non è facile.
Per quanto riguarda la mafia, secondo la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa, Cosa nostra non c’è più, ma si parla della Cosa nostra dominata da corleonesi, che nella storia della mafia rappresentano una parentesi. Cosa nostra c’era prima e c’è ancora, anche se decapitata, in parte smantellata e con molti problemi: l’impunità è finita, nel traffico di doga non è più egemone, la signoria territoriale ha smagliature e si sono insediati i nigeriani che hanno un ruolo nel traffico di droga (l’epicentro è il mercato di Ballarò e c’è un nuovo arrivato: il crak) e controllano il mercato del sesso. Il consenso è diminuito, con le reazioni alla “grande violenza, grazie al lavoro nelle scuole, alla nascita dell’associazionismo antiracket ( a suo tempo Libero Grassi fu isolato e fummo tra i pochissimi a sostenerlo), ma si rigenera per le condizioni strutturali di una società mafiogena, in cui l’illegalità è insieme cultura e risorsa, si ripropone con le feste popolari e i cantanti neomelodici, i gruppi di ragazzi che praticano aggressioni e vandalismi. Bisognerebbe lavorare su questo terreno, con un’ottica preventiva. Di tanto in tanto ‘è qualche delitto ma non pare che preluda a una guerra tra cosche. In questo contesto il nostro progetto del Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia vuole legare ricerca, memoria e progetto, è una sfida aperta e cercheremo di fare la nostra parte fino in fondo.
Quali sono i rischi di un ritorno di Brusca a San Giuseppe Jato? E quali sono le precauzioni che lo Stato dovrebbe prendere?
Per quattro anni sarà in libertà vigilata e starà in una località protetta. Non so se vorrà o potrà tornare a San Giuseppe Jato, dove correrebbe seri rischi.
Ho condiviso le dichiarazione dell’ex Pm Franca Imbergamo, che per prima raccolse le dichiarazioni di Brusca. Ha chiesto il rafforzamento del servizio centrale di protezione per controllare i collaboratori di giustizia in libertà. Oltre ai rischi per la loro vita, non è escluso che possano tornare a delinquere.
Vi è un dibattito acceso attorno all’ergastolo ostativo, qual è la sua opinione in merito?
L’ergastolo ostativo fa parte dell’architettura progettata da Falcone, di cui parlavo prima. Ci sono problemi di costituzionalità, ma è la mafia incostituzionale, in quanto ordinamento contrapposto a quello statale, ma capace anche di interagire con esso. La Corte costituzionale ha posto il problema del ruolo rieducativo della pena e il problema del carcere è una questione reale, perché è più predisposto alla punizione afflittiva che alla rieducazione. La Corte europea dei diritti umani europea dei diritti umani non è solo contraria all’ergastolo ostativo, in realtà non condivide la visione della mafia come struttura permanente, anche quando non usa esplicitamente la violenza. C’è una contraddizione di fondo: per un verso le Nazioni Unite approvano la “Risoluzione Falcone” che riprende le linee fondamentali della Convenzione di Palermo del 2000 sul crimine transnazionale, per un altro verso ci sono resistenze ad accettare la visione della mafia così com’è definita dalla legge antimafia italiana. C’è una situazione aperta, che riguarda anche le nuove mafie e le mafie straniere, con sentenze contraddittorie. Il problema vero è che la mafia per molti c’è solo quando compie grandi delitti e stragi eclatanti. Anche per la ’ndrangheta, in Europa ci si è accorti della sua esistenza solo dopo la strage di Duisburg dell’agosto 2007. Per il resto, in un contesto neoliberista, i soldi fanno piacere a tutti, anche se provengono da fonti illegali. E Milano, tra le città maggiori consumatrici di cocaina, è il paradiso finanziario della ’ndrangheta.
Pubblicato su: www.stampoantimafioso.it
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