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Umberto Santino

Dopo Messina Denaro

Gli osanna che accompagnano l’arresto di Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza, sono comprensibili: è, o sarebbe, l’ultimo atto di una storia che ha visto l’assedio dei corleonesi, a cui Messina Denaro era strettamente legato, prima con la guerra interna e i delitti politico-mafiosi e poi con le stragi. Di questa storia Messina Denaro è stato, se non il regista, certamente il comprimario. Ma non va dimenticato che trent’anni di latitanza non possono spiegarsi se non con una rete di protezioni e connivenze ampia e ramificata, tale da assicurare una forma di mimetizzazione con l’ambiente. E le connivenze sono state a tutti i livelli: oltre alla rete parentale, ci sono state la borghesia mafiosa (termine coniato da chi scrive e ormai usato a proposito e a sproposito) le logge massoniche particolarmente attive nel trapanese, le relazioni con politici e istituzioni. Lo sottolinea l’ex procuratrice aggiunta Teresa Principato, che per anni ha dato la caccia al latitante e ha vissuto contrasti e delusioni, in un Palazzo di giustizia in cui soggiornava qualche “talpa”. Si farà luce su questo groviglio di complicità o l’arresto servirà a metterle da parte? E anche in questo caso, si è fatto ricorso a qualche forma di trattativa? E’ stato catturato o si è consegnato, essendo un malato con limitata aspettativa di vita?

 

L’invisibilità, le cliniche private e il ruolo dei medici

Nonostante la “terra bruciata” che si è fatta attorno a Messina Denaro, con una serie di arresti, c’è voluto il ricovero in una clinica privata come La Maddalena, un’“eccellenza”nel panorama sanitario, per renderlo visibile, possibilmente in seguito a una “soffiata”, ma gli investigatori parlano di un’indagine “classica”, che ha seguito passo per passo gli spostamenti del latitante negli ultimi anni, utilizzando il “metodo Dalla Chiesa”. Abitualmente le cliniche private sanno mantenere i segreti, se si pensa che i quattro figli di Totò Riina sono nati in una delle cliniche più prestigiose della città. Bernardo Provenzano però, per i suoi malanni alla prostata, ha preferito recarsi in Francia e, per non svelare il segreto, avrebbe fatto ricorso all’omicidio di Attilio Manca, camuffato da improbabile suicidio. I mafiosi si feriscono nel corso di attentati, si ammalano e c’è chi li cura in piena segretezza, non certo per rispettare il giuramento di Ippocrate. Non per caso i medici sono tra i professionisti più affiliati o vicini a Cosa nostra, come il capomafia corleonese Michele Navarra, Beppe Lima, fratello di Salvo e suo grande capoelettore, Giuseppe Guttadauro, fratello del cognato di Matteo, primari ospedalieri per merito “di cosca”, ma c’è chi non si presta e viene eliminato. E’ il caso di Sebastiano Bosio, ucciso il 6 novembre del 1981 perché avrebbe rifiutato il ricovero di qualche mafioso, e di Paolo Giaccone, ucciso l’11 agosto del 1982, perché non ha accolto la richiesta di modificare una perizia.

 

E ora? Cosa accadrà in Cosa nostra?

La domanda da porsi, dopo un arresto più volte annunciato, o auspicato, e finalmente realizzato, è: cosa accadrà  in Cosa nostra? Nonostante l’elezione mediatica a “capo di Cosa nostra”, Matteo Messina Denaro era un capo per la mafia trapanese, non era il capo di tutta Cosa nostra, perché un capo dei capi nella Cosa nostra attuale si dice che non ci sia. Perché i tentativi di ricostruire la cupola sono stati vanificati dagli arresti, perché l’organizzazione piramidale e verticistica, a trazione corleonese, al centro del maxiprocesso, è stata smantellata e c’è da chiedersi se ai mafiosi convenga ricostituirla. In studi sulla mafia come organizzazione (penso in particolare a quelli di Maurizio Catino) Cosa nostra è stata considerata come federazione di clan, con organi sovraordinati di coordinamento, cioè le commissioni e la cupola. Negli ultimi anni i mandamenti e le famiglie hanno avuto un loro spazio e non si sa fino a che punto arrivi la loro libertà d’azione. Quel che è certo è che un’organizzazione con una pluralità di agenti decisionali, più orizzontale che verticale, potremmo dire di tipo repubblicano, è meno vulnerabile di un’associazione a direzione unificata. Se è così, l’arresto di Messina Denaro, può comportare problemi di successione per il crimine mafioso trapanese, ma, dati i suoi legami e il ruolo avuto in tanti delitti e nelle stragi, non sono da escludere ripercussioni su un piano più ampio.

 

E nell’antimafia?

La presidente del Consiglio, saputa la notizia, si è precipitata a Palermo e ha dichiarato che la mafia può essere battuta e la lotta contro di essa continuerà. Il ministro dell’Interno Piantedosi dalla Turchia ha fatto pervenire il suo compiacimento e la sua assicurazione per il futuro. L’arresto del latitante più ricercato del pianeta è una medaglia al valore e sembra che la lotta alla mafia sia al centro dell’attività di questo governo, ma i provvedimenti presi finora non sembra che vadano in questa direzione. Favorire l’evasione fiscale, allentare i controlli sull’uso dei fondi europei, tagliare le intercettazioni e limitare la libertà di informazione significa aprire le porte alle mafie. Permetterle di agire sottotraccia. E la riforma Cartabia, ereditata dal precedente governo e in vigore dal 30 dicembre, abolisce l’obbligatorietà dell’azione penale e affida la procedibilità per reati come i sequestri di persona alla querela di parte. La giustizia diventa un affare privato. Si è posto il problema del metodo mafioso e il ministro Nordio, ex PM che non ha avuto buoni rapporti con i procuratori impegnati in indagini antimafia, cerca di mettere una toppa. E poi c’è il problema dell’ergastolo ostativo, risolto in modo paradossale. Mente i mafiosi collaboratori di giustizia debbono fare una “dichiarazione dei redditi”, elencando dettagliatamente i beni in possesso, il mafioso dissociato che non collabora, rivelando i delitti d cui è a conoscenza, è esentato da questa dichiarazione. Una consacrazione dell’omertà che ridurrà drasticamente le collaborazioni.

La Commissione parlamentare antimafia attende di essere ricostituita. Vale sempre lo stereotipo che la mafia c’è solo quando spara e l’arresto del più noto capomafia rischia di chiudere una fase della mafia e della lotta alla mafia, mettendola sul conto di un passato da archiviare. Si dice che Messina Denaro abbia le carte di Riina, a suo tempo portate via dal covo palermitano che non è stato perquisito (quel villino era stato assegnato al Centro Impastato, ma vi abbiamo rinunciato anche perché non avevamo i soldi per restaurarlo, ora c’è una stazione dei carabinieri) e custodisca i segreti di Cosa nostra, a cominciare dalle stragi di cui rimangono ignoti i mandanti. Se non si decide a rivelarli, resteranno sigillati dal suo silenzio.

 

L’altra Castelvetrano. Il maneggio di Giuseppe Cimarosa

A Castelvetrano e nel trapanese non ci sono solo la dinastia dei Messina Denaro, la borghesia mafiosa, le logge massoniche, c’è anche una bella esperienza il cui protagonista si chiama Giuseppe Cimarosa. E’ parente di Messina Denaro, figlio di Lorenzo, collaboratore di giustizia, e ha deciso di rimanere a Castelvetrano, pur sapendo di correre rischi. Gestisce un maneggio, pratica l’ippoterapia e organizza spettacoli con suoi splendidi cavalli. E’ un esempio di cosa si possa fare, nonostante il dato anagrafico. Non per caso fa riferimento a Peppino Impastato. C’è da augurarsi che il suo esempio sia seguito e contribuisca a costruire un’altra Castelvetrano e un’altra Sicilia.