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Libertà di ricerca

ATTACCO ALLA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE 

Querelato per diffamazione il presidente dell’Associazione “Circolo Metropolis” di Castellammare del Golfo, Paolo Arena. Aveva chiesto in un’iniziativa pubblica, le dimissioni del sindaco Nicola Rizzo, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, accusa in seguito trasformata in favoreggiamento reale. Tra i promotori del Forum Antimafia di Castellammare, sorto dopo l’operazione “Cutrara” del giugno 2020, il Circolo Metropolis, assieme ad altre associazioni locali, aveva preso posizione, con un comunicato stampa e in un’assemblea pubblica il 5 luglio 2020, indetta dal Forum Antimafia, criticando l’operato del sindaco che aveva avuto un incontro (a suo dire casuale) con il capomafia locale, e chiedendone le dimissioni per la gravità politica del suo agire. Nel suo intervento, a nome del Circolo Metropolis, il presidente aveva sostenuto che, al di là degli aspetti penali il cui accertamento compete agli organi inquirenti, c’erano delle evidenti responsabilità politiche che rendevano opportune e necessarie le dimissioni del sindaco, tutelando in tal modo l’istituzione rappresentata. Nessun attacco personale, quindi, ma la semplice espressione di una posizione sulla base di un giudizio etico e politico.

L’associazione “Circolo Metropolis”, nel ribadire il proprio giudizio su tutta la vicenda, rivendica il diritto di esercitare libera espressione e libera critica sancito dalla nostra Costituzione. Il nostro intento non è mai stato diffamatorio, ma abbiamo sempre mirato a promuovere diritti, cultura, rispetto dell’ambiente, giustizia, a pretendere coerenza e trasparenza dalle Istituzioni e continueremo a farlo. Rispondere a questo diritto con una querela ci è sembrato un attacco alla libertà di espressione, di chiusura alla società civile e al mondo dell’associazionismo, un atto inutile e controproducente, che nasconde una sostanziale debolezza politica e che serve semmai a eludere la vera questione, e cioè: un sindaco che incontra in sede non istituzionale il capo-mafia del suo paese il quale chiede (non si capisce a che titolo) un favore per suoi amici nella ricerca di un immobile da adibire a centro per anziani; stesso sindaco che ritiene ciò normale, non manifestando alcun accenno di autocritica e rimanendo al suo posto come se nulla fosse. Ciò mostra, come abbiamo sottolineato nei nostri interventi, una sostanziale sottovalutazione del fenomeno e della rilevanza politica del gesto.

Chiediamo alle associazioni, ai partiti, ai cittadini di riflettere su tutto ciò e di esprimere una posizione.

Associazione Circolo Metropolis    Castellammare del Golfo, 14.03.2021

Campagna per la libertà di stampa e di ricerca

La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che condanna l’Italia per aver violato il diritto alla libertà di opinione di Claudio Riolo conferma le ragioni e gli obiettivi della campagna per la “libertà di stampa nella lotta contro la mafia” avviata nel 2001. Desideriamo ricordare che in seguito alle citazioni di Francesco Musotto per l’articolo di Riolo Lo strano caso dell’avvocato Musotto e di Mister Hyde, pubblicato sulla rivista “Narcomafie” del novembre 1994, e di Calogero Mannino per il libro di Umberto Santino L’alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, pubblicato nel 1997, e alle vicende giudiziarie che si sono concluse con l’accoglimento delle richieste degli uomini politici, il Centro Impastato, l’Arci e altre associazioni hanno promosso una campagna di sensibilizzazione e mobilitazione, denunziando l’uso crescente del ricorso ai procedimenti civili per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa.
Gli obiettivi della campagna erano quelli di una nuova regolamentazione legislativa e la costituzione di un Fondo di solidarietà per difendere la libertà di informazione e di ricerca, con l’apertura di una sottoscrizione.
Centinaia di persone hanno partecipato alla sottoscrizione e hanno consentito di sostenere le spese delle lunghe procedure, mentre le proposte di modifiche legislative, tra cui quelle di sottrarre alla giurisdizione le cause per diffamazione, affidandole a un giurì d’onore, e di abolire le sanzioni pecuniarie sostituendole con altre misure, come repliche, correzioni e integrazioni, sono rimaste finora inascoltate.
In un seminario su “Libertà di critica, libertà di ricerca” del 13 dicembre 2004, organizzato dall’Università di Palermo, in collaborazione con l’associazione Articolo 21, Libera e Magistratura Democratica, si sottolineava la contraddizione tra il dettato costituzionale che tutela la libertà di opinione e d’informazione e una prassi che finisce con il negarla e venivano individuate proposte concrete per bilanciare la tutela della libertà di critica e di ricerca e quella della reputazione individuale.
Questi problemi sono attualissimi e le minacce mafiose a giornalisti e scrittori che affrontano temi come i rapporti tra mafie e politica pongono con forza l’esigenza di una campagna per la libertà di stampa e di ricerca all’interno di una mobilitazione per la salvaguardia dei principi fondamentali della democrazia nel nostro Paese.
La sentenza della Corte europea ci incoraggia a riprendere la campagna con iniziative adeguate, organizzate e sostenute da un ampio schieramento unitario.

Umberto Santino Presidente del Centro Impastato
Anna Bucca Presidente regionale dell’Arci Sicilia

COUR EUROPÉENNE DES DROITS DE L’HOMME

534
17.7.2008
Communiqué du Greffier

ARRÊT DE CHAMBRE
RIOLO c. ITALIE

La Cour européenne des droits de l’homme a communiqué aujourd’hui par écrit son arrêt de chambre1 dans l’affaire Riolo c. Italie (requête no 42211/07).
La Cour conclut, à l’unanimité, à la violation de l’article 10 (liberté d’expression) de la Convention européenne des droits de l’homme.
En application de l’article 41 (satisfaction équitable) de la Convention, la Cour alloue au requérant 60.000 euros (EUR) pour préjudice matériel, ainsi que 12.000 EUR pour frais et dépens. (L’arrêt n’existe qu’en français.)

1. Principaux faits
Le requérant, Claudio Riolo, est un ressortissant italien né en 1951. Il est chercheur en sciences politiques à l’université de Palerme.
L’affaire concerne la condamnation pour diffamation infligée à l’intéressé à la suite de la publication d’un article intitulé “Mafia et droit. Palerme: la province contre elle-même dans le procès Falcone. L’étrange affaire de Me Musotto et M. Hyde”.
Cet article fut publié en novembre 1994 dans le journal Narcomafie. Le requérant y critiquait notamment le comportement, considéré comme ambigu, de Me Musotto, avocat au barreau de Palerme et président de la province de Palerme. En effet, ce dernier représentait l’un des accusés dans le cadre d’une procédure pénale relative à l’assassinat de Giovanni Falcone – un magistrat engagé dans la lutte contre la mafia – alors que la question de la constitution de partie civile de la province de Palerme dans la procédure était en cours.
En avril 1995, Me Musotto alléguant avoir été diffamé, introduisit une action civile en dommages-intérêts à l’encontre du requérant. L’article fut à nouveau publié dans le journal Narcomafie et dans le quotidien national Il Manifesto en mai 1995. Il fut signé par le requérant et par 28 autres personnes, parmi lesquelles des hommes politiques, des représentants d’organisations non-gouvernementales, des juristes et des journalistes.
En mars 2000, le tribunal de Palerme condamna le requérant à verser à Me Musotto environ 36.151 EUR pour dommages moraux, plus les intérêts légaux, à payer une compensation d’environ 5.164 EUR et à rembourser les frais de justice s’élevant à 3.300 EUR. Le tribunal considéra notamment que l’intéressé s’était lancé dans une attaque personnelle contre Me Musotto, et qu’un “lecteur moyen” tirait de l’article incriminé la conviction que ce dernier était le garant d’intérêts mafieux et était conditionné par ceux-ci dans son activité politique et professionnelle.
En novembre 2002, la cour d’appel de Palerme rejeta le recours introduit par M. Riolo et le condamna à payer les frais de justice de la partie défenderesse, s’élevant à 3.700 EUR. Elle souligna, entre autre, que certaines des expressions utilisées avaient dépassé les limites d’une critique légitime de la situation dans laquelle se trouvait Me Musotto. Se référant notamment au titre de l’article et à un passage de celui-ci dans lequel le requérant décrivait Me Musotto comme un “émule maladroit [de Silvio Berlusconi]”, la cour d’appel considéra que l’article offensait la réputation de l’avocat et contenait de graves insinuations qui ne se fondaient sur aucun élément objectif. Enfin, selon la cour d’appel, la publication ultérieure de l’article dans un quotidien à diffusion nationale avait porté un préjudice encore plus important au plaignant.
Le requérant forma un recours devant la Cour de cassation, en vain.

2. Procédure et composition de la Cour
La requête a été introduite devant la Cour européenne des droits de l’homme le 14 septembre 2007.
L’arrêt a été rendu par une chambre de sept juges composée de:
Françoise Tulkens (Belge), présidente,
Antonella Mularoni (Saint-Marinaise),
Ireneu Cabral Barreto (Portugais),
Vladimiro Zagrebelsky (Italien),
Danute Jociene (Lituanienne),
Dragoljub Popovic (Serbe),
András Sajó (Hongrois), juges,
ainsi que de Sally Dollé, greffière de section.

3. Résumé de l’arrêt2
Griefs
Invoquant l’article 10 (liberté d’expression), le requérant se plaignait de sa condamnation pour diffamation.

Décision de la Cour

Article 10
La Cour observe que l’article incriminé se basait sur la situation dans laquelle se trouvait Me Musotto à l’époque des faits. Il n’appartient pas à la Cour de se pencher sur l’existence d’une incompatibilité entre les rôles joués par l’intéressé ; il n’en demeure pas moins qu’il s’agissait, sans doute, d’une situation qui pouvait donner lieu à des doutes quant à l’opportunité des choix opérés par un haut représentant de l’administration locale face à un procès concernant des faits d’une gravité extrême. L’article du requérant s’inscrivait donc dans un débat d’intérêt public, touchant à une question d’intérêt général, et ce d’autant plus que depuis septembre 1994 la double fonction de Me Musotto avait fait l’objet de nombreux articles dans la presse.
Me Musotto était un homme politique occupant, à l’époque des faits, un poste-clé dans l’administration locale. Il devait donc s’attendre à ce que ses actes soient soumis à un examen scrupuleux de la part de la presse. De surcroît, il savait ou aurait dû savoir qu’en continuant à défendre l’un des accusés dans un important procès concernant la mafia dans lequel l’administration dont il était le président aurait pu intervenir, il s’exposait à des critiques sévères. Cette circonstance ne saurait toutefois priver Me Musotto du droit à la présomption d’innocence et à ne pas faire l’objet d’accusations dépourvues de toute base factuelle.
Après examen, la Cour considère néanmoins que l’article incriminé ne contient pas d’expressions impliquant ouvertement que Me Musotto ait commis des infractions ou qu’il ait protégé les intérêts de la mafia. A ses yeux, les affirmations contenues dans l’article ne sauraient être lues dans le sens que Me Musotto se serait volontairement lié à des milieux mafieux. Le requérant a plutôt exprimé la thèse qu’un élu local pourrait être influencé, au moins en partie, par les intérêts dont ses électeurs sont porteurs. Il s’agit d’une opinion qui ne dépasse pas les limites de la liberté d’expression dans une société démocratique.
S’agissant des expressions ironiques utilisées par le requérant, la Cour rappelle que la liberté journalistique peut comprendre le recours possible à une certaine dose de provocation. Par ailleurs, les expressions utilisées par le requérant n’ont pas débouché sur des insultes et ne sauraient être jugées gratuitement offensantes ; elles avaient en effet une connexion avec la situation que l’intéressé commentait. La Cour observe également que nul ne conteste la véracité des principales informations factuelles contenues dans l’article incriminé.
Dans ces conditions, l’article du requérant ne saurait s’analyser en une attaque personnelle gratuite à l’encontre de Me Musotto.
Enfin, compte tenu de la situation financière de M. Riolo, sa condamnation à payer de telles sommes était susceptible de le dissuader de continuer à informer le public sur des sujets d’intérêt général.
Dès lors, la Cour conclut que la condamnation de l’intéressé s’analyse en une ingérence disproportionnée dans son droit à la liberté d’expression et ne saurait passer comme étant ” nécessaire dans une société démocratique “. En conséquence, il y a eu violation de l’article 10.
***
Les arrêts de la Cour sont disponibles sur son site Internet (http://www.echr.coe.int).
Contacts pour la presse
Adrien Meyer (téléphone : 00 33 (0)3 88 41 33 37) Tracey Turner-Tretz (téléphone : 00 33 (0)3 88 41 35 30) Sania Ivedi (téléphone : 00 33 (0)3 90 21 59 45)

La Cour européenne des droits de l’homme a été créée à Strasbourg par les Etats membres du Conseil de l’Europe en 1959 pour connaître des allégations de violation de la Convention européenne des droits de l’homme de 1950.

1 L’article 43 de la Convention européenne des droits de l’homme prévoit que, dans un délai de trois mois à compter de la date de l’arrêt d’une chambre, toute partie à l’affaire peut, dans des cas exceptionnels, demander le renvoi de l’affaire devant la Grande Chambre (17 membres) de la Cour. En pareille hypothèse, un collège de cinq juges examine si l’affaire soulève une question grave relative à l’interprétation ou à l’application de la Convention ou de ses protocoles ou encore une question grave de caractère général. Si tel est le cas, la Grande Chambre statue par un arrêt définitif. Si tel n’est pas le cas, le collège rejette la demande et l’arrêt devient définitif. Autrement, les arrêts de chambre deviennent définitifs à l’expiration dudit délai de trois mois ou si les parties déclarent qu’elles ne demanderont pas le renvoi de l’affaire devant la Grande Chambre.

2 Rédigé par le greffe, ce résumé ne lie pas la Cour.

Rigettato il ricorso di Umberto Santino
contro la sentenza di primo grado
nella causa intentata da Calogero Mannino
contro il Presidente del Centro Impastato

La Sezione prima civile della Corte d’appello di Palermo con sentenza del 7 novembre 2005, notificata il 1° febbraio 2006, ha rigettato l’appello proposto da Umberto Santino avverso la sentenza del giudice unico del Tribunale di Palermo del 15 maggio 2001 che lo condannava al pagamento di un risarcimento di lire 10 milioni più 5 milioni di riparazione pecuniaria per aver “diffamato” Calogero Mannino. Ha dichiarato inammissibile altresì la richiesta di Mannino che chiedeva come risarcimento 100.000 euro più 25.000 euro come riparazione pecuniaria.
L’atto di citazione di Mannino, presentato nel settembre del 1998, nasceva dalla pubblicazione di stralci di un documento anonimo nel volume di Umberto Santino, L’alleanza e il compromesso, pubblicato nel 1997.
Il difensore di Mannino sosteneva che l’autore del libro faceva sue le affermazioni dell’anonimo, che muoveva gravi accuse all’ex ministro, mentre il commento dell’autore era inequivocabile: il testo andava considerato come tutti i testi anonimi, in cui si mescolano “verità e menzogne”.
Chi scrive non può che ribadire che l’intento era quello di analizzare vicende accadute o in corso, che per il rilievo che hanno avuto e per completezza del discorso non potevano non essere richiamate all’interno di un quadro storico più ampio. La Corte d’appello ha deciso diversamente e non si può che prenderne atto.
Non si può però fare a meno di osservare che nelle motivazioni della sentenza d’appello si legge che “non vi è agli atti alcuna prova della notorietà del testo anonimo”, che l’autore del libro è scambiato più volte per “giornalista”, che gli si addebita di non avere rispettato il “principio di verità, in assenza di una definitiva valutazione in sede penale delle circostanze riportate”, che il riferimento all’ordinanza di rinvio a giudizio per fatti diversi “appare sottolineare l’attendibilità della fonte anonima, e, dunque, ingenerare equivoci sulla conferma in sede penale delle circostanze indicate nella stessa” e che si parla soltanto di “diritto di cronaca”.
La notorietà del testo anonimo sarebbe risultata evidente solo che i giudici della Corte d’appello avessero tenuto conto che esso era stato inviato a 39 personaggi pubblici, aveva avuto ampia circolazione ed era già stato pubblicato integralmente su riviste (“Umanità nova” del 12 luglio1992; “Antimafia”, n. 2 del 1992) e su un libro (Alfredo Galasso, La mafia politica, Baldini & Castoldi, Milano 1993, pp. 191-195). Dovrebbe essere pure noto che l’autore del volume L’alleanza e il compromesso non è un giornalista e che il libro è una ricostruzione storica e non una mera cronaca di fatti e che in gioco più che la libertà di cronaca c’è la libertà di ricerca. Condizionare la ricerca alla “definitiva valutazione in sede penale delle circostanze” vuol dire rimandare la ricerca ai posteri. Si fa notare inoltre che nel libro si fa riferimento inequivocabilmente al rinvio a giudizio per concorso esterno, ben diverso dalle accuse dell’anonimo.
La decisione della Corte d’appello di Palermo non aiuta certo a portare avanti lo studio sul terreno dei rapporti tra mafia e contesto sociale. Il Centro Impastato nei suoi quasi trent’anni di attività, ha dato un contributo significativo all’analisi del fenomeno mafioso e alla mobilitazione contro di esso. La tesi della mafia come fenomeno polimorfico, operante dentro un sistema relazionale dominato dalla borghesia mafiosa, cioè da professionisti, imprenditori, amministratori e politici in rapporto con mafiosi, sostenuta fin dall’inizio dell’attività del Centro e per anni isolata, recentemente ha trovato esplicito riconoscimento nel rapporto del Procuratore nazionale antimafia.
Questa tesi, ben lungi dall’essere dettata da scelte ideologiche e indurre una criminalizzazione generalizzata, ha sempre cercato di fondarsi su analisi concrete e su rapporti documentati e documentabili e, tenendo conto delle risultanze di inchieste giudiziarie recenti, il Centro ha in programma ricerche ulteriori.
Non ci nascondiamo che in queste condizioni diventa sempre più difficile svolgere questo tipo di ricerche, irrinunciabili per avere un’immagine adeguata del fenomeno mafioso nella sua evoluzione attuale e disegnare i possibili scenari nel prossimo futuro.
La sentenza viene dopo quelle che avevano condannato, in primo grado e in appello, il politologo Claudio Riolo per un articolo pubblicato sulla rivista “Narcomafie”, in seguito a citazione sempre in sede civile di Francesco Musotto. Riolo ha presentato ricorso in Cassazione che ancora dev’essere deciso. In seguito alle condanne in primo grado di Riolo e Santino è stata avviata una campagna per la libertà di informazione e di ricerca e per la costituzione di un Fondo di solidarietà. I problemi sollevati dalla campagna hanno avuto un momento significativo di approfondimento in un seminario nazionale organizzato dalla Facoltà di Lettere e dal Dipartimento studi su Politica, diritto e società dell’Università di Palermo, in collaborazione con le associazioni Articolo 21, Libera e Magistratura democratica, svoltosi a Palermo il 13 dicembre 2003, a cui hanno partecipato, tra gli altri, i parlamentari presentatori di disegni di legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Gli atti del convegno sono stati pubblicati nel 2004 dalla casa editrice La Zisa nel volume Libertà di informazione, di critica e di ricerca nella transizione italiana.
Nel corso del seminario e in altre occasioni è emersa un’esigenza di fondo: questioni del genere, in cui sono in gioco la libertà di ricerca e di informazione e l’onorabilità delle persone, dovrebbero essere decise da appositi giurì d’onore e avere sanzioni diverse dal risarcimento monetario. È davvero singolare che l’onore venga considerato come un genere da supermercato. C’è da chiedersi, inoltre, quale danno sia stato recato dall’articolo di Riolo e dal libro di Santino a personaggi che hanno continuato la loro carriera politica o si apprestano a riprenderla, nonostante il loro coinvolgimento in vicende giudiziarie, concluse o in corso.
Anche la condanna subita nel 2004 da Giovanni Impastato, per le sue dichiarazioni a tutela della memoria del fratello, costantemente infangata dal difensore di Badalamenti nel corso del processo conclusosi con la condanna all’ergastolo dell’imputato, si inscrive in una prassi che vede l’uso della giustizia civile come il terreno privilegiato per operare rivalse e ritorsioni.
L’assoluzione dello storico Giuseppe Casarrubea nel processo penale in seguito a querela dell’ex capitano Giallombardo è venuta a confermare le preoccupazioni espresse più volte. Il giudizio penale si svolge con dibattimento pubblico che offre maggiori possibilità di approfondimento e di confronto.
Il risarcimento previsto dalla sentenza di primo grado comporterebbe un ulteriore impoverimento per le già scarse risorse del Centro che, in mancanza di una legislazione regionale che fissi i criteri oggettivi per l’accesso ai fondi pubblici, è stato e continua a essere completamente autofinanziato. In coerenza con le sue scelte, il Centro ha rifiutato soluzioni di compromesso, come le leggine e gli emendamenti-fotografie a cui si ricorre per attività da “antimafia assistita”, e opera solo con i mezzi dei soci.
Alla luce di queste considerazioni, ma soprattutto perché rimane pienamente convinto delle sue ragioni, il presidente del Centro si riserva di presentare ricorso in Cassazione.

Umberto Santino
Presidente del Centro Impastato

Sentenza della Corte d’Appello condanna Umberto Santino a risarcire per diffamazione Calogero Mannino. 

Conferenza-stampa delle associazioni antimafia giovedì 2° marzo, ore 10,30, presso il Centro Impastato.

La Prima Sezione Civile della Corte d’Appello di Palermo ha recentemente confermato la condanna per diffamazione di Umberto Santino, Presidente del Centro Impastato e noto studioso del fenomeno mafioso, al risarcimento di 15 milioni di vecchie lire in favore dell’ex ministro Calogero Mannino. Santino – citato in giudizio per aver pubblicato alcuni stralci di un “testo anonimo” nel libro L’alleanza e il compromesso edito nel ’97 – è stato condannato nonostante si fosse limitato ad analizzare criticamente quel documento, prendendone le distanze con l’affermazione esplicita che esso proveniva “più o meno direttamente da ambienti mafiosi”, e nonostante quel testo, circolato nel ’92 subito dopo la strage di Capaci, fosse già stato integralmente e ripetutamente pubblicato da altri.
La sentenza è preoccupante, nella misura in cui conferma un orientamento giurisprudenziale – particolarmente presente in ambito civilistico – che tende a sottovalutare la distinzione tra attività giornalistica (diritto di cronaca) e attività di analisi e intepretazione (diritto di critica e libertà di ricerca) e risente, soprattutto, di una concezione angusta e formalistica della tutela della reputazione individuale, poco sensibile all’esigenza di un giusto contemperamento con l’interesse pubblico a conoscere, commentare e studiare il gravissimo fenomeno delle contiguità tra politica, mafia e affari. Tale orientamento certamente non incoraggia la partecipazione della parte sana della società civile all’attività di contrasto nei confronti di quella “zona grigia” del tessuto sociale, fatta di politici, amministratori, imprenditori e professionisti che colludono con le organizzazioni mafiose, opportunamente e duramente stigmatizzata anche dal Presidente della Corte d’Appello di Palermo nella recente inaugurazione dell’anno giudiziario.
La conferma della condanna di Santino, ultima di un lunga serie di analoghe sentenze nei confronti di studiosi, giornalisti, cittadini e, persino, familiari delle vittime di mafia, ci induce a ribadire con forza gli obiettivi della “campagna per la libertà di stampa nelle lotta contro la mafia” avviata nel 2001 per:
1) rivendicare il diritto di ogni cittadino a conoscere, studiare e stigmatizzare tutti quei comportamenti che configurino delle responsabilità politiche e morali di chi ricopre cariche pubbliche o ruoli rappresentativi (indipendentemente dall’accertamento di eventuali responsabilità penali che spetta esclusivamente alla magistratura);
2) elaborare una nuova regolamentazione legislativa in materia di diffamazione che tuteli più efficacemente la reputazione personale senza mettere a repentaglio la libertà di informazione, di critica e di ricerca, scoraggiando l’uso distorto e strumentale, a scopo intimidatorio e speculativo, del risarcimento monetario e incentivando forme di tutela più adeguate (giurì d’onore, rettifica e diritto di replica);
3) rilanciare la sottoscrizione per il fondo di solidarietà in difesa della libertà di stampa nell’ambito della lotta contro la mafia (c/c postale n.10690907, intestato a Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, via Villa Sperlinga 15, 90144-Palermo, specificando nella causale: “Campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”).

Su questi temi e obiettivi vogliamo riaprire il confronto a livello di opinione pubblica e intendiamo promuovere una serie di incontri con le associazioni dei magistrati e con i candidati alle elezioni del Parlamento nazionale dei diversi schieramenti politici.

Arci, Centro di documentazione G. Impastato, Libera

Lettera, non pubblicata, a “Liberazione”, 31 marzo 2006

Cari compagni,

grazie per l’articolo sulla mia condanna in appello nella causa civile intentatami dall’ex ministro Mannino, pubblicato sul giornale di oggi, e per la solidarietà espressa da dirigenti di Rifondazione. Purtroppo c’è qualche imprecisione che rischia di non fare capire il senso della campagna che, con alcune associazioni, abbiamo avviato nel 2001, in seguito alle condanne in primo grado mia e di Claudio Riolo.
Il problema che abbiamo posto è che il ricorso al processo civile sta diventando una forma di intimidazione che quasi sempre raggiunge il risultato di condannare a una pena pecuniaria giornalisti e studiosi impegnati nell’informazione e nella ricerca sui rapporti tra mafia e politica.
In sede civile ci si limita allo scambio di documenti, non c’è dibattito né approfondimento, al contrario del processo penale che, per fare l’esempio di Giuseppe Casarrubea, ha portato alla sua assoluzione (non alla condanna, come si dice nell’articolo di Gemma Contin).
Proponiamo che di questioni così delicate se ne occupi non il palazzo di giustizia ma un giurì d’onore e che le sanzioni consistano in repliche, integrazioni, correzioni, non nell’esborso di denaro, come se l’onorabilità fosse un genere da supermercato.
Su questi temi vogliamo aprire un dibattito con i candidati e successivamente con gli eletti, tenendo conto che i disegni di legge presentati nella scorsa legislatura erano inadeguati e in ogni caso non sono andati in porto.
Brevemente su espressioni come “la storia di Umberto non la conosce nessuno”. Certo su di me e sul Centro non hanno fatto un film, per fortuna, mentre su Peppino si è ormai consolidata un’icona che ha ben poco a che vedere con il Peppino reale, che la mafia non l’aveva a cento passi, come milioni di siciliani e di meridionali, ma in casa: il titolo del libro che abbiamo fatto con la madre di Peppino, ristampato parecchie volte, non per caso è La mafia in casa mia. E la specificità di Peppino nella storia delle lotte contro la mafia sta proprio in questo.
Forse l’attività mia e del Centro Impastato sarebbe più conosciuta se si dedicasse un po’ più di attenzione, a cominciare dalle recensioni delle decine di volumi che abbiamo pubblicato in trent’anni di lavoro, totalmente autofinanziato (anche questa una specificità), dalle ricerche sulla violenza mafiosa, sulle imprese, sul traffico internazionale di droghe, su mafia e politica (il libro incriminato è L’alleanza e il compromesso, in cui vengono pubblicate anche le repliche di Salvo Lima ai miei dossier) alla Storia del movimento antimafia. Purtroppo il nostro lavoro è più apprezzato all’estero che in Italia. Ci chiediamo perché.

Ancora grazie e un caro saluto
Umberto Santino

Chi è interessato alla campagna per la libertà di ricerca può mettersi in contatto con il Centro: csdgi@tin.it, e visitare il nostro sito:www.centroimpastato.it. Per i versamenti sul Fondo di solidarietà: Centro Impastato, via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, conto corrente postale: 10690907, specificando la causale.

Christian Pose intervista Umberto Santino

C. P. Professor Santino, può parlarci del suo libro L’alleanza e il compromesso?. Ricordarci il contesto socio-politico e socio-storico di quest’opera molto importante, del suo obiettivo e dell’incriminazione di cui lei è stato fatto oggetto?
U.S. Ho pubblicato il libro L’alleanza e il compromesso nel 1997, raccogliendo i materiali dei miei due dossier su Salvo Lima, il parlamentare europeo legato ad ambienti mafiosi, il primo presentato a Strasburgo nel 1984 e il secondo a Roma nel 1989. Nel libro facevo un’analisi dei rapporti tra mafia e politica, utilizzando anche gli atti giudiziari del processo ad Andreotti. Nella mia analisi il rapporto mafia-politica è costitutivo del fenomeno mafioso, in duplice senso: la mafia è soggetto politico in quanto esercita la signoria su un determinato territorio, controllando le attività che si svolgono su di esso e anche le relazioni personali. In un secondo senso la mafia ha un ruolo politico attraverso il sistema di rapporti con uomini della pubblica amministrazione, dei partiti politici e delle istituzioni. Nel libro pubblicavo anche le repliche di Lima ai miei dossier: un caso unico, poiché non ci sono altri esempi di risposte scritte di Lima alle accuse che gli venivano rivolte. Lima sosteneva che non c’erano processi giudiziari sul suo conto. Io rispondevo che le mie denunce riguardavano rapporti documentati con uomini di mafia che, anche se non costituivano reati, erano pur sempre gravi sul piano etico e politico.
Nel libro ho utilizzato anche, in parte, un testo anonimo che riguardava l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, ma dicevo esplicitamente che i testi anonimi normalmente provengono, direttamente o indirettamente, dal mondo mafioso e che è impossibile distinguere dov’è la verità e dov’è la menzogna. Mannino mi ha citato in giudizio civile, sostenendo che io avevo fatte mie le accuse dell’anonimo. Sono stato condannato in primo grado e in appello, anche se a un pena pecuniaria modesta. La sentenza di primo grado diceva che per esserci diffamazione basta citare un documento, anche se non lo si condivide, e la sentenza d’appello dice che non ho rispettato il principio di verità: avrei dovuto accertare che ci fosse stata una pronuncia in sede giudiziaria definitiva. In Italia sentenza definitiva è quella della Cassazione che arriva dopo molti anni. Quindi i giornali potrebbero chiudere e la ricerca possono farla solo i posteri.
Spesso, negli ultimi anni, uomini politici hanno fatto ricorso al giudizio civile, che consiste solo nello scambio di documenti e non prevede il dibattito e l’approfondimento. Così ha fatto il presidente della provincia di Palermo e parlamentare europeo Francesco Musotto contro il politologo Claudio Riolo, così ha fatto Mannino contro di me. Nel 2001, dopo la sentenza di primo grado, Riolo e io, con alcune associazioni, abbiamo lanciato una campagna per la libertà di ricerca e di stampa nella lotta contro la mafia, sostenendo che problemi del genere dovrebbero essere discussi davanti a un giurì d’onore, non davanti ai tribunali, e le sanzioni non dovrebbero essere monetarie, come se l’onorabilità fosse un genere da supermercato, ma dovrebbero consistere in repliche, precisazioni, correzioni, integrazioni. Vogliamo continuare questa campagna, perché riteniamo assolutamente necessario in una società democratica analizzare i rapporti tra mafia e contesto sociale e soprattutto con la vita politica.

C.P. Lei ha lavorato con la Commissione parlamentare antimafia; quali critiche fa alla Commissione e all’apparato legislativo e giudiziario italiano specificatamente antimafia? Ci sono dei punti positivi malgrado tutto, dei relè realmente efficaci per gli attori, ricercatori, politici, magistrati, avvocati impegnati nella lotta contro il crimine organizzato mafioso? I servizi segreti civili e militari americani esercitano una qualche influenza in questo ambito, da Palermo a Roma? Qual è la natura delle pressioni esercitate attualmente?
U.S. Sono stato consulente della Commissione parlamentare dal 2003 al 2005. Mi sono dimesso poiché non mi è mai stato assegnato un lavoro. La Commissione era paralizzata dalla maggioranza e l’opposizione non riusciva a svolgere un ruolo effettivo. Evidentemente qualcuno ha pensato che mi sarei contentato di un incarico onorifico.
Quanto alla legislazione c’è da dire che in Italia tutte le leggi contro la mafia sono dettate dall’idea della mafia come fabbrica di omicidi: la mafia c’è se spara, se non spara non c’è. La legge antimafia del 1982 è venuta dopo l’assassinio del generale-prefetto Dalla Chiesa e anche le altre leggi sono venute dopo le stragi in cui sono morti i magistrati Falcone e Borsellino. Negli ultimi anni i mafiosi hanno capito che i grandi delitti hanno avuto effetti boomerang e che è preferibile non compiere delitti eclatanti. Si parla di “mafia sommersa” o “invisibile” e per molti significa che la mafia non c’è più o comunque non c’è da preoccuparsi. Così buona parte della legislazione è stata cancellata o attenuata, i magistrati si sono trovati con armi spuntate, i commissari che si occupavano di racket e di beni confiscati sono stati licenziati o sostituiti con personaggi incolori.
Il problema degli ultimi anni in Italia è il berlusconismo, una forma di occupazione del potere che considera l’illegalità come una risorsa e fa dell’impunità una bandiera. Le leggi ad personam, fatte per tutelare gli interessi di Berlusconi e dei suoi amici, l’attacco alla magistratura, le facilitazioni al rientro dei capitali dall’estero, i condoni, hanno determinato un quadro socio-politico che ho definito “legalizzazione dell’illegalità”. Questo quadro è il più ospitale per le organizzazioni mafiose dall’Unità d’Italia a oggi. Rispetto ai cinquant’anni di potere democristiano c’è stato un salto di qualità: il potere democristiano si fondava sulla mediazione con tutti i poteri, compresa la mafia; il berlusconismo è intrinsecamente fondato sull’interesse privato e sull’illegalità.
Non so se attualmente i servizi segreti americani giocano un ruolo sul terreno della criminalità organizzata in Sicilia e in Italia. Non ho informazioni adeguate. La mafia è stata favorita dagli americani, nel secondo dopoguerra, quando serviva come baluardo armato contro il comunismo, anche se bisogna evitare letture della storia del tipo: gli ordini venivano da Washington. Si è trattato di un matrimonio consensuale, in cui si sono ritrovati mafia, proprietari terrieri, partiti conservatori e fattori geopolitici. In anni più recenti si è fatto di tutto per ostacolare la compartecipazione al potere del Partito comunista, ricorrendo alle stragi (da Piazza Fontana nel 1969 alla stazione di Bologna nel 1980) e qui si sono incontrati neofascisti, piduisti (la loggia massonica P2 di Licio Gelli), servizi segreti e in qualche caso (strage di Natale del 1984) c’è stato un ruolo, accertato giudiziariamente, della mafia.
Per le stragi di mafia più recenti, del ’92 e del ’93 non si è riusciti finora ad andare oltre la “cupola” mafiosa e la richiesta di costituire delle commissioni parlamentari d’inchiesta non è stata accolta.

C.P. Può parlarci di Pietro Grasso, nuovo procuratore antimafia? Della sua funzione? Qual è il suo orientamento politico? La sua nomina è recente , quali sono i vostri punti di convergenza e di opposizioni, se ce ne sono? Vede per l’avvenire delle zone d’ombra o degli ostacoli seri alla sua politica? Esercita una qualche influenza a livello europeo, di istituzioni governative, parlamentari, giudiziarie, politiche e dell’informazione?
U.S. Pietro Grasso è stato giudice a latere nel maxiprocesso di Palermo (1986-1987) ed estensore della sentenza di primo grado. Poi è stato consulente della Commissione antimafia , consigliere al ministero di Grazia e Giustizia quando era direttore Giovanni Falcone, procuratore aggiunto presso la Procura nazionale antimafia e procuratore capo a Palermo. Alcuni magistrati lo hanno accusato di non aver continuato il lavoro del procuratore Caselli sul terreno dei rapporti tra mafia e politica, ma c’è da dire che i tempi erano cambiati, l’attenzione verso il fenomeno mafioso era sminuita e in ogni caso il ruolo della magistratura su questo terreno è limitato ai casi in cui ci sono reati. Penso che da anni non si faccia lotta politica contro la mafia e si sia delegato tutto alla magistratura.
Attualmente Grasso è superprocuratore nazionale antimafia: Le forze governative e di maggioranza hanno escluso Caselli, con una legge ad personam sui limiti di età: una cosa vergognosa che ho denunciato. Grasso non ha detto una parola su questa esclusione ed è andato lui alla Superprocura. Le destre evidentemente hanno preferito Grasso, che però il giorno dopo l’insediamento ha dichiarato che la lotta contro la mafia non è più al centro dell’attenzione, che il problema non è solo la mafia militare ma la borghesia mafiosa (espressione da me usata per l’analisi del sistema relazionale dei mafiosi) e anche durante questa campagna elettorale ha detto chiaramente che non bisogna candidare uomini indagati e sotto processo, ma Forza Italia e altri partiti di centrodestra hanno polemizzato con queste dichiarazioni. Anche qualche giorno fa ha detto che non si parla di mafia durante la campagna elettorale e il Presidente della Commissione antimafia, di Forza Italia, ha detto che queste sono “fesserie”. Insomma: le destre credevano che Grasso fosse un personaggio di cui fidarsi, ma il procuratore vuole dimostrare che è autonomo e che va per la sua strada.
Come superprocuratore ha un certo potere ma deve fare i conti con questo quadro politico e a livello europeo e internazionale ci sono disposizioni, come il mandato di cattura europea e la convenzione delle Nazioni Unite firmata a Palermo nel dicembre del 2000, che sono rimaste sulla carta. Il governo Berlusconi non le ha sottoscritte.

C.P. I mezzi della ricerca per la lotta civile contro il crimine organizzato mafioso sono aumentati? Quali sono le ricadute del Forum sociale antimafia e delle campagne della società civile presso le città del bacino del Mediterraneo?
U.S. A livello scientifico non ci sono programmi coordinati di ricerca. Si procede autonomamente. Il Centro da me fondato nel 1977 è totalmente autofinanziato, poiché la regione siciliana non ha una legge di carattere generale ed eroga i soldi pubblici con criteri clientelari. In Sicilia ci sono altri centri studi finanziati con fondi pubblici che organizzano convegni e dibattiti ma non fanno ricerca. Le Università fanno pochissimo, qualche studio di singoli docenti e qualche seminario, spesso organizzato dagli studenti.
Dopo le grandi manifestazioni in seguito alle stragi del ’92 e del ’93 il ruolo della società civile si fonda sull’impegno di pochi. Le attività continuative delle associazioni della società civile sono essenzialmente tre: lavoro nelle scuole, antiracket, uso sociale dei beni confiscati, con dei limiti. Nelle scuole si parla genericamente di legalità; l’antiracket c’è solo in Italia meridionale, mentre estorsioni e usura sono ormai diffuse in tutta Italia; sui beni confiscati (ancora troppo pochi) il governo voleva fare una legge che rendesse precaria, non definitiva, la confisca: un altro colpo all’antimafia e un favore alla mafia.
In Italia a livello nazionale c’è una rete di associazioni che si chiama Libera che svolge varie iniziative. I Forum antimafia, le campagne antimafia coinvolgono un numero limitato di persone e nell’area mediterranea non c’è una consapevolezza adeguata di questi fenomeni, per esempio del ruolo delle organizzazioni criminali nell’immigrazione clandestina e nei traffici di persone. Non bisogna dimenticare che all’interno dei processi di globalizzazione per molte aree del pianeta, compresa l’area del Mediterraneo, soprattutto le coste africane e i Balcani, l’accumulazione illegale è l’unica risorsa a fronte di processi di emarginazione che riguardano gran parte della popolazione mondiale.
L’anno scorso al Forum del Mediterraneo di Barcellona ho fatto una relazione su questi temi ma l’attenzione è ancora inadeguata. A livello europeo un organismo che raccoglie le organizzazioni non governative (Encod: European Ngo Council on Drugs and Development) non ha fondi e può fare molto poco. Un nostro libro sul traffico di droghe per le facoltà universitarie e le scuole medie superiori, in quattro lingue (Dietro la droga, Derrière la Drogue, Behind Drugs, Detrás de la droga) pubblicato nel 1993, grazie a un finanziamento della Comunità europea, è ormai invecchiato ma non abbiamo i soldi per ripubblicarlo. Anche in Francia non credo che si faccia abbastanza. Un’organizzazione che si occupava seriamente di traffico internazionale di droghe, l’OGD (Observatoire Géopolitique des Drogues) con sede a Parigi, con cui collaboravo, ha dovuto chiudere per mancanza di finanziamenti.

L’intervista, nel testo italiano e nella traduzione in francese di Nathalie Bouyssès, è pubblicata sul sito: http://linked222.free.fr

Università degli Studi di Palermo
Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento studi su Politica, Diritto e Società
in collaborazione con
Articolo 21, Libera e Magistratura Democratica

Seminario di studi su:

Libertà di critica, libertà di ricerca.
Valore, tutela, minacce.

Palermo, 13 dicembre 2003
Aula magna della Facoltà di Lettere e Filosofia

Presentazione:

Nell’Italia di oggi, la libertà d’informazione e di critica nel campo politico, e quella di ricerca nel campo degli studi storici, politici e sociali rappresentano dei valori garantiti, in linea di principio, dalla Costituzione (art. 21, e anche art. 33), dalle leggi ordinarie e dal comune sentire. In pratica, ci sono dei punti sensibili nei quali tali fondamentali libertà appaiono ogni minacciate. La complessità e la delicatezza della problematica in questione – dovuta spesso a un intrinseco conflitto tra valori diversi, tutti degni di essere tutelati – ci ha sollecitato a promuovere una giornata di studio e di confronto.
C’è innanzitutto da approfondire il profilo giuridico del problema. Nel 2001 le associazioni antimafia hanno avviato una “campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”. Infatti sempre più spesso accade che uomini politici, sentendosi diffamati da critiche rivolte al loro operato, cerchino di rivalersi in sede giudiziaria contro chi esercita per professione o per impegno civile e politico i diritti di cronaca e di critica garantiti appunto dall’articolo 21 della Costituzione. Il ricorso ai procedimenti civili per cercare di ottenere risarcimenti milionari o, addirittura, miliardari rischia di andare ben al di là della legittima tutela dell’onorabilità personale, giacché appare strumentale alla instaurazione di un clima d’intimidazione nei confronti di chiunque intenda far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle contiguità tra politica, mafia e affari. Più in generale, andando oltre il campo specifico dell’antimafia, questa tendenza a trasferire la dialettica democratica e il conflitto politico in sede giudiziaria, con la pretesa, per di più, di “monetizzare” un danno immateriale come quello morale, come si concilia con l’esigenza fondamentale, in un sistema democratico, di garantire l’esercizio della critica politica? Ed ancora, il difetto di bilanciamento tra interessi inevitabilmente in conflitto, dovuto a una concezione formalistica della tutela della reputazione individuale, non rischia forse di inibire il diritto/dovere di sottoporre l’operato di chi ricopre cariche pubbliche o ruoli rappresentativi al vaglio dell’opinione pubblica, indebolendo i meccanismi di responsabilità politica posti a salvaguardia della credibilità delle istituzioni? Sono temi che saranno discussi nella prima sessione del seminario, cui spetta tra l’altro il compito di interloquire con coloro che in Parlamento stanno lavorando all’elaborazione di una nuova legislazione in materia di diffamazione.
Bisogna aggiungere che la problematica sopra esposta si colloca in un contesto di opinione pubblica nel quale il tema dell’autonomia della ricerca nel campo storico-politico non appare con il dovuto rilievo. A quest’aspetto sarà dedicata la seconda sessione del seminario. Accade sempre più di frequente che nel corso della loro attività gli studiosi si trovino oggetto di inopinati richiami al principio di autorità. I pressanti appelli indirizzati agli storici dal mondo politico e dalle stesse istituzioni per la costruzione di una memoria condivisa del passato nascondono malamente il fastidio per la pluralità degli approcci interpretativi possibili, e talvolta per la stessa idea di una ricostruzione realistica (non ideologica, né edificante) dei conflitti del passato. Non si vuole qui negare la legittimità di un uso pubblico della storia, ovvero di una presentazione del passato a fini identitari o legittimanti da parte di istituzioni e movimenti politici; ma l’opinione pubblica deve avere ben presente la differenza di strumenti ma anche di intenzioni tra questa sfera e quella della ricerca propriamente detta. Gli studiosi sono stati anche perentoriamente invitati a riscrivere la storia italiana recente in relazione all’uno o all’altro documento di qualche Commissione parlamentare d’inchiesta, all’una o all’altra sentenza dei tribunali della Repubblica. Si tratta di un richiamo più sottile, ma anche più subdolo, al principio di autorità. E’ evidente che l’accertamento della verità nelle assemblee politiche, e anche nei tribunali, risponde a tecniche e/o finalità che sono diverse da quelle della ricerca; la documentazione raccolta in questi luoghi istituzionali rappresenta piuttosto una fonte cui liberamente il ricercatore può, se lo ritiene, attingere senza sentirsi per nulla vincolato dai risultati raggiunti colà. Paradossale è infine che in alcuni casi a decidere dei risultati della ricerca storica o socio-politologica siano stati chiamati proprio i tribunali della Repubblica, con un ennesimo e potenzialmente più grave cortocircuito tra campi della vita collettiva che dovrebbero essere tenuti ben distinti.

Programma:

Prima sessione: Diritto di cronaca, diritto di critica e libertà di ricerca tra interesse pubblico e tutela della persona.

Presiedono: Giovanni Ruffino – Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia
Vittorio Villa – Direttore del Dipartimento studi su Politica, Diritto e Società

ore 9,30 – Introduzione: Claudio Riolo – Università di Palermo

ore 10 – Relazioni:

– Proposte legislative in materia di diffamazione
on. Sergio Cola e on.Vincenzo Siniscalchi
Commissione Giustizia della Camera dei Deputati

– Manifestazione del pensiero e valori costituzionali in gioco: l’interesse pubblico all’esercizio della critica politica
Mario Dogliani – Università di Torino

– Tutela civile e tutela penale della reputazione: le implicazioni di una scelta
Giovanni Fiandaca – Università di Palermo

ore 11,20 – Break

ore 11,30 – Interventi programmati e dibattito:
Luigi Cavallaro – Giudice Tribunale di Palermo
VincenzoGervasi – Avvocato
Antonello Miranda – Università di Palermo
Claudia Mirto – Segretaria prov. Associazione della stampa
Piergiorgio Morosini – Giudice Tribunale di Palermo
Paolo Serventi Longhi – Segretario gen. Federazione naz. della stampa

ore 13,30 – Repliche dei relatori

ore 14 – Sospensione dei lavori
Seconda sessione: Le verità della ricerca e le verità delle istituzioni.

Presiedono: Rita Borsellino – Vicepresidente naz. di Libera
Antonio Ingroia – Segretario Magistratura democratica di Palermo

ore 15,30 – Introduzione: Salvatore Lupo – Università di Palermo

ore 16 – Relazioni:

– La verità storica e la verità giudiziaria
Alfredo Galasso – Università di Palermo

– Libertà di ricerca e di espressione in una dittatura mediatica. Esperienze recenti
Nicola Tranfaglia – Università di Torino

– La verità giornalistica e le verità ufficiali
Marco Travaglio – Giornalista

ore 17 – Break

ore 17,10 – Interventi programmati e dibattito:
Alessandro Bellavista – Università di Palermo
Giuseppe Casarrubea – Storico
Enrico Fontana – Vicepresidente naz. di Libera
Giuseppe Carlo Marino – Università di Palermo
Massimo Russo – Presidente distr. di Palermo dell’Associazione naz. magistrati
Umberto Santino – Presidente Centro sic. di documentazione G. Impastato
Roberto Scarpinato – Procuratore agg. Direzione distr. antimafia di Palermo
Piero Violante – Università di Palermo

ore 19,10 – repliche dei relatori

Politica e mafia:
diritto di critica e responsabilità politica

Nel luglio 2001, in seguito a due sentenze del Tribunale civile di Palermo che condannavano Claudio Riolo e Umberto Santino a risarcire, rispettivamente, Francesco Musotto e Calogero Mannino per diffamazione, abbiamo avviato una campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia. Abbiamo rilevato la nuova abitudine assunta da molti esponenti politici della prima o della seconda repubblica che, coinvolti a torto o ragione in disavventure giudiziarie, cercano di far pagare il conto delle loro “sfortune” a chi esercita, per professione o per impegno antimafia, i diritti di cronaca e di critica garantiti dall’articolo 21 della Costituzione. Abbiamo denunziato l’uso distorto e strumentale del ricorso ai procedimenti civili per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa, che invece di tutelare l’onorabilità delle persone rischia d’instaurare un clima d’intimidazione nei confronti di chiunque intenda far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle contiguità tra politica, mafia e affari. Abbiamo rivendicato il diritto e il dovere di sottoporre l’operato di chi ricopre cariche pubbliche o ruoli rappresentativi al vaglio critico dell’opinione pubblica, con la consapevolezza che ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri cittadini nella misura in cui coinvolge la credibilità delle istituzioni.

A distanza di due anni si sono moltiplicate le richieste di risarcimenti milionari o, addirittura, miliardari nei confronti di giornalisti, studiosi e familiari delle vittime. Sono aumentate anche le condanne emesse dai giudici, soprattutto in ambito civilistico, che risentono spesso di una concezione angusta e formalistica della tutela della reputazione individuale, poco sensibile all’esigenza di un giusto contemperamento con l’interesse pubblico all’esercizio della critica politica. In particolare la Prima Sezione Civile della Corte d’Appello di Palermo ha recentemente confermato la condanna di Claudio Riolo a risarcire Francesco Musetto per un vecchio articolo pubblicato nel ’94, nel quale si commentava criticamente la decisione del Presidente della Provincia, nonché avvocato penalista, di mantenere la difesa di un suo cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci, mentre l’ente locale si costituiva parte civile nello stesso processo. Si tratta di una condanna molto pesante, che si è già tradotta nel pignoramento di un quinto dello stipendio per l’intera vita lavorativa e, addirittura, dell’indennità di fine rapporto fino al completamento della cifra di 140 milioni di lire, con l’aggiunta ulteriore delle spese del giudizio di secondo grado.
Se è lecito criticare le sentenze senza delegittimare i giudici, come ha più volte affermato il Consiglio Superiore della Magistratura, vorremmo esprimere il nostro disappunto e la nostra preoccupazione. Innanzitutto perché condividiamo e facciamo nostre le critiche e le analisi contenute nell’articolo, che riteniamo fondate su fatti veri e incontestabili, espresse in forma sarcastica ma civile e finalizzate ad un obiettivo di evidente interesse pubblico, quello di sollecitare partiti e istituzioni a tenere alta la guardia contro i tentativi di condizionamento mafioso. In secondo luogo perché temiamo che l’effetto di questa e di altre analoghe condanne possa, indipendentemente dalla volontà dei giudici che le hanno emesse, inibire l’esercizio della libertà di stampa e del diritto di critica politica contribuendo ad un rischioso restringimento degli spazi democratici.

In particolare, sul terreno della lotta contro la mafia, la piena libertà d’informazione e di opinione è indispensabile per individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti che configurino delle responsabilità politiche e morali, indipendentemente dall’accertamento di eventuali responsabilità penali che spetta esclusivamente alla magistratura.
Il principio di distinzione tra responsabilità politica e responsabilità penale, approvato dalla Commissione parlamentare antimafia nel 1993 con una larghissima e inedita maggioranza (Dc, Pds, Psi, Lega, Rc, Pri., Pli, Psdi, Verdi, Rete) ma rimasto purtroppo inapplicato, stabiliva che il Parlamento ed i partiti, sulla base di fatti accertati che non necessariamente costituiscono reato, potessero comminare delle precise sanzioni politiche, “consistenti nella stigmatizzazione dell’operato e, nei casi più gravi, nell’allontanamento del responsabile dalle funzioni esercitate”. L’applicazione rigorosa ed imparziale di questo principio, che rappresenta l’esatto opposto del cosiddetto “giustizialismo”, potrebbe risolvere l’annoso conflitto tra politica e magistratura, giacché eviterebbe di rimandare ogni giudizio politico all’esito delle decisioni penali. Se l’autorità politica facesse autonomamente il proprio dovere non ci sarebbe alcuna delega di fatto ai giudici, che potrebbero così lavorare con maggiore serenità e indipendenza.
E’ del tutto evidente che questa fondamentale distinzione presuppone la massima libertà di cronaca e di critica, giacché, come ha affermato la stessa Commissione parlamentare, “il presupposto per muovere una contestazione di responsabilità politica è la conoscibilità di fatti o di vicende che a quella contestazione possono dar luogo; se non si conosce, non si è in grado di esercitare alcun controllo”.

Se proviamo ad applicare questi principi alle attuali vicende giudiziarie che coinvolgono anche i massimi vertici del Governo siciliano, apparirà chiaro che le eventuali dimissioni del Presidente Cuffaro non dovrebbero dipendere dal fatto che abbia ricevuto o meno un avviso di garanzia, ma dalla valutazione sull’inaffidabilità di un uomo politico che, quantomeno, ha dimostrato ripetutamente di non saper scegliere i propri collaboratori. Come chiarisce, ancora una volta, la Commissione parlamentare antimafia, “se la persona di fiducia di un uomo politico compie atti di grave scorrettezza o di rilevanza penale, l’uomo politico non risponde dei fatti commessi dalla persona di fiducia, ma risponde per aver dato prova di non saper scegliere o di non aver accertato o di aver tollerato comportamenti scorretti”. Così come, per fare altri esempi, se un Ministro, un Sindaco o un Presidente di Provincia partecipa a cene elettorali, battesimi e matrimoni organizzati da personaggi mafiosi, o se nella sua casa di campagna si riuniscono boss latitanti o si nascondono armi delle cosche, le ipotesi possibili sono solo due: o ne è consapevole e quindi complice, oppure è inconsapevole ma inaffidabile. In ogni caso spetta esclusivamente alla magistratura stabilire se il suo comportamento abbia o meno una rilevanza penale, ma è compito della politica valutare, senza strumentalizzazioni di parte e in nome dell’interesse generale, se il personaggio in questione sia adeguato o meno a svolgere le funzioni politiche cui è preposto. Ed è altrettanto evidente che spetta a tutti i cittadini, e in particolare ai giornalisti e agli studiosi, il diritto e il dovere di far conoscere, criticare e analizzare liberamente i comportamenti degli uomini pubblici, che devono essere trasparenti e sottoposti al massimo controllo democratico.
Ci proponiamo, pertanto, di rilanciare una campagna di sensibilizzazione e di mobilitazione dell’opinione pubblica per:
a) sollecitare le forze politiche e istituzionali ad elaborare un codice di autoregolamentazione comune, che si ispiri alle proposte della commissione parlamentare antimafia del ’93 sulla distinzione tra responsabilità politica e responsabilità penale;
b) rivendicare una nuova regolamentazione legislativa in materia di diffamazione, che ristabilisca un giusto equilibrio tra diritto di cronaca e di critica e tutela della persona, e che uniformi procedimento penale e procedimento civile per impedirne un uso distorto e strumentale;
c) riaprire la sottoscrizione, avviata nel 2001, per il fondo di solidarietà in difesa della libertà di stampa nell’ambito della lotta contro la mafia (il fondo, gestito dal coordinamento delle associazioni promotrici e da un comitato di garanti, composto da Rita Borsellino, Luigi Ciotti e Valentino Parlato, ha raccolto più di quaranta milioni di lire e viene già utilizzato in sostegno di Riolo). Per sottoscrivere si può utilizzare il c/c postale n.10690907, intestato a Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, via Villa Sperlinga 15, 90144-Palermo, specificando nella causale: “Campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”. (Per informazioni: www.centroimpastato.it – tel. 091.6259789 – fax: 091.348997 – e-mail: csdgi@tin.it , libera.palermo@inwind.it ).

Arci, Centro di documentazione “G. Impastato”, Libera, Palermo anno uno

Diritto di critica e lotta alla mafia
Intervista a Claudio Riolo

Sperava nell’appello. Ma i giudici gli hanno dato torto ancora. Il docente universitario Claudio Riolo dovrà pagare fino alla pensione per risarcire Francesco Musotto, che lo aveva citato in giudizio per un articolo pubblicato su Narcomafie nel ’94. Si trattava di un commento critico alla decisione del Presidente della Provincia di mantenere la difesa di un suo cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci, mentre l’ente locale si costituiva parte civile nello stesso processo. In difesa di Riolo, un gruppo di intellettuali che ha fatto ripubblicare l’articolo incriminato e si è schierato a difesa della libertà di opinione.

Riolo la delusione è ovvia. Adesso ce l’ha con i giudici?
In questi anni mi sono sempre schierato, da semplice cittadino, in difesa della funzione e dell’indipendenza della magistratura contro le accuse strumentali di politicizzazione che tendono a delegittimarla. Non ho cambiato idea. Ma ciò, come ha recentemente ribadito il Consiglio Superiore della Magistratura, non significa assumere una posizione acritica nei confronti dei giudici e delle loro sentenze. Non a caso le motivazioni delle sentenze civili e penali sono pubbliche e possono essere criticate nel merito.

Perché, dunque, critica questa sentenza?
Francamente non mi aspettavo che i giudici della prima Sezione Civile della Corte di Appello confermassero la sentenza di primo grado. Mi sembra una sentenza ingiusta che rischia di diventare oggettivamente, aldilà delle intenzioni di chi l’ha emanata, una “condanna esemplare” che potrebbe scoraggiare l’esercizio dei diritti garantiti dall’articolo 21 della Costituzione. Non si tratta solo del diritto di cronaca ma del diritto di critica politica e, andando oltre il caso in questione, della possibilità stessa di analizzare e studiare il fenomeno delle contiguità tra politica e mafia.

Secondo i giudici non c’erano solo opinioni, c’erano opinioni e giudizi diffamatori…
Gli atti processuali sono pubblici. Posso fornirli a chiunque sia interessato a leggerli per farsene un’idea propria. Sono in coscienza convinto di non aver superato i limiti consentiti dalla giurisprudenza della Cassazione all’esercizio del diritto di critica politica: l’incontestabile verità dei fatti su cui fondo una soggettiva ma legittima intepretazione critica dei comportamenti del Musotto in occasione della costituzione di parte civile della Provincia nel processo per la strage di Capaci; il contenimento delle espressioni e delle valutazioni utilizzate nell’articolo in una forma espositiva civile; l’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza e al vaglio critico dei comportamenti di chi ricopra cariche pubbliche o ruoli rappresentativi. Non mi sembra che i giudici riescano a dimostrare in modo convincente il contrario.

Rimane il fatto che quelle critiche sono state giudicate lesive della reputazione di Musotto…
Non c’è niente di personale o di fazioso in quelle critiche. Avrei scritto le stesse cose nei confronti di un qualsiasi rappresentante delle pubbliche istituzioni, non importa di quale colore politico, che si fosse comportato in modo altrettanto discutibile e contraddittorio.

Centoquaranta milioni, da pagare in prima persona, in giudizio è stato citato lei e non l’editore, è così?
Si tratta di una sorta di “condanna a vita”. Il pignoramento di un quinto dello stipendio fino all’età della pensione e, successivamente, della stessa indennità di fine rapporto fino al raggiungimento della cifra di 140 milioni di vecchie lire è molto pesante per chi, come me, vive esclusivamente del proprio lavoro. Ma, aldilà del mio caso, il tentativo di monetizzare un presunto “danno morale” in base a dei discutibili “criteri equitativi” può produrre effetti punitivi molto diversi se applicati a soggetti diseguali.

Intende dire che chi ha soldi, o spalle ben coperte, può accollarsi il rischio?
Una condanna da 100 milioni non mette certamente in crisi una grande casa editrice o una importante testata giornalistica, ma può far fallire un piccolo editore o un giornaletto di provincia.

Condanna a parte, di questo suo caso vuol farne una campagna?
Il problema è di interesse generale. Se si può essere condannati per i contenuti formali e sostanziali del mio articolo vuol dire che buona parte della letteratura storica e socio-politologica già esistente su mafia e corruzione è potenzialmente a rischio di condanne analoghe. E, infatti, il mio non è un caso isolato. Oltre ai numerosi giornalisti, che sono certamente i più esposti, basti qui ricordare le condanne di primo grado al risarcimento danni di studiosi come Alfredo Galasso e Umberto Santino, o il processo in corso per diffamazione contro lo storico Giuseppe Casarrubea.

L’esatto contrario di quanto pretendeva Musotto per chiudere la questione, chiedeva che almeno lei riconoscesse il torto. Non vuole proprio?
Per la verità Musotto non ha mai cercato alcun chiarimento. Io credo che qualsiasi esponente politico democratico dovrebbe essere in grado di tollerare le critiche che non gli piacciono, anche quelle più aspre o ironiche, confrontandosi nel merito e spiegando in modo trasparente all’opinione pubblica le ragioni dei suoi comportamenti politici. Invece si è chiuso nel silenzio, ha preferito evitare un processo penale ed ha, inspiegabilmente, aspettato cinque mesi prima di avviare il procedimento civile per chiedere un risarcimento economico. Non mi sembra la reazione a caldo di un uomo offeso e indignato ma, piuttosto, una scelta fredda e meditata che risponde a delle ragioni che mi sfuggono.

Ce l’ha con lei che l’ha offeso, che altro dovrebbe fare?
Che Musotto ce l’abbia con me non mi stupisce. Ma il livore che, ad esempio, emerge da una intervista rilasciata a Repubblica nel giugno 2001, è francamente sproporzionato. Il mio articolo, pubblicato su un mensile a scarsa diffusione, dopo che i suoi comportamenti erano stati oggetto di critiche dure e pesanti sui principali quotidiani nazionali, diventa il principale capro espiatorio cui, addirittura, viene attribuita la responsabilità di avere contribuito a creare il clima favorevole al suo arresto.

È la tesi di Musotto, si creò un clima pesante che precedette il suo arresto, non è d’accordo?
La tesi del complotto è priva di qualsiasi fondamento. Ma vorrei ricordare che è impossibile stabilire qualsiasi collegamento tra il mio articolo e l’arresto di Musotto, avvenuto un anno dopo e per ragioni legate alle note vicende di un suo stretto familiare, condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa. Francesco Musotto, invece, è stato assolto ed è stato anche risarcito con 450 milioni dallo Stato, con l’elezione al Parlamento europeo e con la rielezione per ben due volte alla Presidenza della Provincia. Che c’entra il mio articolo con tutto questo?.

Forse se l’articolo non fosse stato ripubblicato, la vicenda poteva essere chiusa, non pensa?
Non credo proprio. L’articolo è stato ripubblicato sul quotidiano Il Manifesto e su Narcomafie nel maggio ’95, come risposta alla richiesta di risarcimento nei miei confronti. E’ stata una iniziativa di solidarietà, assunta da 28 esponenti del mondo politico e culturale, che lo hanno sottoscritto “condividendone in pieno i contenuti e ritenendolo legittima espressione dell’esercizio della libertà di stampa, di opinione e di critica politica”. Non credo che un qualificato giurista come Dogliani, o un ex magistrato come Di Lello, o dei noti politologi come Cazzola, Mastropaolo e Morisi, o dei politici di rilievo nazionale come Castellina, Folena, Lumia, Manconi e Vendola sarebbero stati così avventati da sottoscrivere un articolo pieno di “insulti, calunnie e infamità”.

Musotto è ovviamente di opinione contraria…
Musotto ha definito me e tutti i cofirmatari dell’articolo come “snob elitari” che “vomitavano odio”. Ma la cosa più sorprendente è che il Presidente della Provincia abbia dichiarato, sempre nella stessa intervista a Repubblica, di aver querelato tutti. Evidentemente ricorda male. In realtà Musotto non ha mai avviato alcun procedimento penale o civile contro nessuno dei ventotto firmatari né contro le due testate giornalistiche.

E adesso che farà?
Innanzitutto sto facendo ricorso in Cassazione. In secondo luogo stiamo valutando, nell’ambito delle associazioni che nel 2001 hanno promosso la “campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”, di rilanciarne i due obiettivi: una nuova regolamentazione legislativa in materia di diffamazione, che ristabilisca un giusto equilibrio tra diritto di cronaca e di critica e tutela della persona, e che uniformi procedimento penale e procedimento civile per impedirne un uso distorto e strumentale; e la costituzione di un fondo di solidarietà.

Un fondo di garanzia per i polemisti?
Per la libertà di critica. Nella prima fase della campagna abbiamo già ottenuto centinaia di adesioni, ci siamo confrontati con alcuni deputati della commissione parlamentare che sta elaborando la nuova legge sulla diffamazione e abbiamo raccolto più di quaranta milioni. Di questo fondo, su proposta delle associazioni promotrici e su decisione del comitato dei garanti costituito da Rita Borsellino, Luigi Ciotti e Valentino Parlato, sto già usufruendo per affrontare le spese del secondo grado di giudizio e del ricorso in Cassazione. Non so come andrà a finire. Ma un fatto è certo. Non ci faremo intimidire e continueremo a batterci per esercitare il diritto di manifestare liberamente il nostro pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Pubblicata su “la Repubblica Palermo” il 18 luglio 2003.

Musotto e il professore
di Augusto Cavadi

Ammettiamo che vi chiamaste Francesco Musotto e che vi trovaste a svolgere, contemporaneamente, la funzione (privata) di avvocato di un imputato per la strage di Capaci e la funzione (pubblica) di presidente della Provincia di Palermo. Ammettiamo che un professore universitario di politologia scrivesse su un mensile del Gruppo Abele di Torino – per esempio “Narcomafie” – un articolo critico nei confronti della vostra decisione di mantenere la difesa professionale dell’imputato in quello stesso processo in cui l’istituzione da voi presieduta compare come parte civile lesa. Se ciò avvenisse, cosa fareste? Scrivereste sulla medesima rivista un articolo di risposta ai rilievi del politologo, mostrandone argomentativamente i punti deboli, o ricorrereste al giudice chiedendo i danni per “diffamazione a mezzo stampa”? L’avvocato Musotto – che anche nella recente campagna elettorale per il rinnovo della presidenza della Provincia ha mostrato di non gradire il confronto dialettico con gli avversari – ha optato (siamo nel 1995) per la seconda, più sbrigativa soluzione, ottenendo (e siamo al 2001) la condanna del professor Claudio Riolo al pignoramento di un quinto dello stipendio fino all’età della pensione e, poi, dell’indennità di fine rapporto fino al raggiungimento di 140 milioni di vecchie lire.
Inutile, anzi controproducente dal punto di vista finanziario, il ricorso in appello da parte del condannato: il 30 maggio 2003 la sentenza di primo grado è stata riconfermata e l’interessato condannato ad altri 4.700 euro di spese aggiuntive. Non resta, adesso, che la Cassazione.
E’ giusto che queste vicende vengano strappate alla penombra della quotidianità perché i giudici hanno il diritto, anzi il dovere, di procedere secondo scienza e coscienza, ma anche l’opinione pubblica ha il diritto, anzi il dovere, di riflettere e di discutere – con rispetto ma con franchezza – sulle sentenze. In democrazia i processi non si boicottano (e statisti chiacchieratissimi della Prima Repubblica hanno dato recentemente lezioni di civismo a politicanti altrettanto chiacchierati della Seconda Repubblica), ma il popolo, in nome della cui sovranità vengono emessi i verdetti, non può ignorarne esiti e conseguenze. Per questo, a mio avviso, non è inopportuno notare che il caso Riolo non è un episodio isolato. Umberto Santino a Palermo (per un volume su mafia e politica in cui si analizza, fra le altre, una vicenda legata a Calogero Mannino), Giuseppe Casarrubea a Partinico (per la strage di Portella della Ginestra), centinaia di giornalisti, pubblicisti, storici e sociologi nel resto del Paese, sono stati condannati o sono attualmente sotto processo per accuse simili: non è il caso di chiedersi se sentenze così dure, comminate o minacciate, per quanto ineccepibili possano risultare sul piano formale in base alla normativa vigente e per quanto emanate con le migliori intenzioni del mondo, non comportino, oggettivamente, una sorta di pedagogia dissuasoria e intimidatrice nei confronti di quanti dedicano – con ritorni economici irrisori – tempo ed energie allo studio degli intrecci fra sistema di potere istituzionale e sistema di potere mafioso? Se questa “guerra preventiva” dovesse dare i suoi tragici frutti, il dibattito politico-culturale arretrerebbe di decenni e sulla mafia si potrebbero solo raccontare aneddoti folkloristici del tutto marginali rispetto ai nodi essenziali. Tornerebbe d’attualità l’osservazione di Karl Kraus: “Nulla è cambiato, al più il fatto che non lo si può dire”. Chi vuole, può esprimere concretamente il proprio sostegno a chi è sotto tiro e contribuire personalmente a scongiurare il pericolo di ‘normalizzazione’ con un versamento a favore del fondo di solidarietà costituito a tale scopo (c/c postale n. 10690907 intestato a Centro Siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, via Villa Sperlinga 15, 90144 – Palermo, specificando nella causale: “Campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”).
Questo per l’aspetto umano – o psicosociologico – della questione. Per l’aspetto più propriamente politico, è impellente chiedersi – come hanno fatto in un documento di due anni fa centinaia di intellettuali, artisti, professionisti e operatori sociali – se non sia necessaria “una nuova regolamentazione legislativa in materia di ‘diffamazione’, che ristabilisca un giusto equilibrio tra diritto di cronaca e di critica e tutela della persona”. La legge – infatti – deve tutelare, indubbiamente, il buon nome di ogni cittadino; ma, con non minore forza, soprattutto se si tratta di persona che ricopre cariche pubbliche, il diritto dei concittadini – garantito dall’articolo 21 della nostra Costituzione – di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Le democrazie, più o meno imperfette, dall’Atene di Pericle alla Washington di Clinton, vivono grazie alla capacità delle istituzioni di sottoporsi agli interrogativi degli intellettuali liberi: dove questa possibilità viene a mancare, si protende l’ombra della dittatura. La corsa della maggioranza parlamentare verso il ripristino dell’immunità vorrebbe preservare i politici dal rischio di essere combattuti con le armi giudiziarie: non c’è qualcosa di paradossale – su cui esponenti del centro-destra eventualmente in buona fede avrebbero da riflettere – nel fatto che sia lo stesso schieramento a operare proprio in senso inverso, a contrastare gli attacchi squisitamente politico-culturali ricorrendo ai mezzi legali? Insomma: i giudici vanno tenuti fuori dalle diatribe quando si tratta dell’interesse dei politici e vanno chiamati in causa (letteralmente!) quando qualcuno osa criticare le scelte di un politico?

Pubblicato su “Centonove” il 17 ottobre 2003

APPELLO PER LA LIBERTA’ DI STAMPA NELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA

Due recenti sentenze di primo grado del Tribunale civile di Palermo hanno condannato Claudio Riolo, politologo presso l’Università di Palermo, e Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, al risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa.
Riolo ha pubblicato sulla rivista mensile Narcomafie, nel novembre ’94, un articolo di commento critico alla decisione di Francesco Musotto, Presidente della Provincia di Palermo e avvocato penalista, di mantenere la difesa di un suo cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci, mentre l’ente locale si costituiva parte civile nello stesso processo. L’articolo, ritenuto diffamatorio dal Musotto che ha chiesto 700 milioni di risarcimento, è stato ripubblicato nel maggio ’95 su Narcomafie e sul quotidiano Il Manifesto a firma di 28 autorevoli esponenti del mondo politico e culturale, che lo hanno sottoscritto “condividendone in pieno i contenuti e ritenendolo legittima espressione dell’esercizio della libertà di stampa, di opinione e di critica politica”. Tuttavia Musotto non ha querelato né citato in giudizio nessuno dei nuovi firmatari e, dopo quasi sei anni di lungaggini processuali, Riolo è stato condannato a pagare complessivamente 118 milioni.
A sua volta, l’ex ministro Calogero Mannino ha chiesto una riparazione pecuniaria di 200 milioni a Umberto Santino, ritenendosi diffamato per la pubblicazione di alcuni stralci di un “testo anonimo” nel libro “L’alleanza e il compromesso” edito nel ’97. Nonostante l’autore si fosse limitato ad analizzare criticamente quel documento, prendendone le distanze con l’affermazione esplicita che esso proviene “più o meno direttamente da ambienti mafiosi”, e nonostante quel testo, circolato nel ’92 subito dopo la strage di Capaci, fosse già stato integralmente e ripetutamente pubblicato da altri, Santino è stato condannato a pagare circa 20 milioni. Due miliardi è, invece, la richiesta di risarcimento rivolta dallo stesso ex ministro ad Alfredo Galasso, docente di diritto civile presso l’Università di Palermo, per aver riportato il medesimo testo anonimo nel libro “La mafia politica”, pubblicato nel ’93. Ma il procedimento è ancora in corso e si attende la conclusione.
Questi fatti non rappresentano dei casi isolati, ma si inquadrano in una preoccupante tendenza generale alla limitazione del “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” garantito dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Negli ultimi anni, parallelamente ad un preoccupante processo di concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, gli attacchi dei poteri forti alla libertà di informazione e di opinione si sono moltiplicati, e ciò è tanto più grave e significativo quando esponenti della prima o della seconda repubblica, coinvolti a torto o ragione in procedimenti penali, cercano di far pagare il conto delle loro “sfortune” a chi esercita per professione o per impegno antimafia il diritto di cronaca e di critica.
In particolare stiamo assistendo ad un crescente uso indiscriminato del ricorso ai procedimenti civili per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa. Il procedimento civile, infatti, offre una serie di vantaggi rispetto a quello penale: il risarcimento danni può essere chiesto a distanza di cinque anni dai fatti, mentre per sporgere querela non si possono superare i novanta giorni; nel civile si può ottenere la condanna del presunto diffamatore senza l’onere di dover dimostrare l’esistenza del reato di diffamazione; è, per di più, possibile ottenere risarcimenti sproporzionati per “danno morale” anche quando non si riesca a dimostrare l’esistenza di un effettivo “danno patrimoniale”; la condanna, infine, è immediatamente esecutiva, senza dover attendere l’espletazione di tutti i gradi del giudizio. Oltre a tutto ciò il giudizio civile comporta un minor clamore rispetto a quello penale, clamore che comunque è sempre controproducente anche per il presunto “diffamato”.
Si sono, pertanto, moltiplicate le richieste di risarcimenti miliardari nei confronti di giornalisti, studiosi e familiari delle vittime (basti, qui, ricordare i 20 miliardi chiesti da Berlusconi a Luttazzi, Freccero e Travaglio per la trasmissione televisiva Satyricon, o il miliardo chiesto da Mannino a Giuseppina La Torre per alcune interviste rilasciate nel ’95, o ancora il miliardo e 150 milioni chiesti da Musotto ad Attilio Bolzoni per gli articoli su Repubblica riguardanti le sue traversie giudiziarie del ’95) il cui effetto non è la legittima tutela dell’onorabilità della persona, ma l’instaurazione di un clima d’intimidazione nei confronti di chiunque intenda far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle contiguità tra politica, mafia e affari.
Con questo appello intendiamo rivendicare con forza il diritto e il dovere di sottoporre l’operato di chi ricopra cariche pubbliche o ruoli rappresentativi al vaglio critico dell’opinione pubblica, con la consapevolezza che ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri cittadini nella misura in cui coinvolge la credibilità delle istituzioni. In particolare, sul terreno della lotta contro la mafia, la piena libertà d’informazione e di opinione è indispensabile per individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti che configurino delle responsabilità politiche e morali, indipendentemente dall’accertamento di eventuali responsabilità penali che spetta esclusivamente alla magistratura.
Ci proponiamo, pertanto, di avviare una campagna di sensibilizzazione e di mobilitazione dell’opinione pubblica per la realizzazione dei seguenti obiettivi:
a) una nuova regolamentazione legislativa in materia di “diffamazione”, che ristabilisca un giusto equilibrio tra diritto di cronaca e di critica e tutela della persona, e che uniformi procedimento penale e procedimento civile per impedirne un uso distorto e strumentale;
b) la costituzione di un fondo di solidarietà tramite la sottoscrizione del presente appello (ad ogni firma corrisponderà la sottoscrizione di una quota minima di centomila lire); il fondo sarà utilizzato, a cominciare dalle due condanne citate, per difendere la libertà di informazione, di opinione e di ricerca limitatamente all’ambito della lotta contro la mafia (sarà gestito, sulla base di un regolamento, da un comitato di garanti, di cui faranno parte, tra gli altri, Rita Borsellino, Luigi Ciotti e Valentino Parlato).

I promotori: Arci, Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” , Centro sociale “San Francesco Saverio”, Il Manifesto, Libera, Mezzocielo, Micromega, Narcomafie, Palermo anno uno, Promemoria Palermo, Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, Segno, Uisp.

Per sottoscrivere l’appello si può utilizzare il c/c postale n. 10690907, intestato a Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, via Villa Sperlinga 15, 90144-Palermo, specificando nella causale: “Campagna per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”.
Per comunicazioni e informazioni: tel. 091.333773(Miro Barbaro c/o Arci) o 091.6259789 – fax: 091.348997 – e-mail: csdgi@tin.it (c/o Centro Impastato).
Elenco sottoscrittori:

3° H e 3° G Scuola Media “P. V. Marone” – Palermo, eu. 100,00; Abbagnato Giovanni – Palermo, L. 100.000; Abbozzo Laura – Firenze, L. 100.000; Accardi Tina – Palermo, L. 100.000; Acerbi Luisa – Milano, eu. 25,00; Alagna Francesco – Padova, eu. 20,66; Alagna Leonardo – Palermo, L. 100.000; Albino Antonella – , L. 100.000; Alleruzzo Anna – Palermo, L. 100.000; Alosi Nicola – Palermo, L. 100.000; Alù Gabriella – Cacioppo Margherita – Palermo, L. 100.000; Annapaola Laldi – Empoli, eu. 103,29; ARCI Circolo “Due strade” – Firenze, L. 288.000; Arcuri Adriana – Palermo, L. 50.000; Arcuri Flora – Palermo, L. 100.000; Arcuri Giovanni – Palermo, eu. 750,00; Arici Francesca – Palermo, L. 100.000; Armao Fabio – Torino, L. 100.000; Ass. donne siciliane contro la mafia – Capo d’Orlando, eu. 52,00; Asso Francesco, eu. 75,00; Associazione culturale Prospettive – Mezzojuso (Pa), L. 100.000; Associazione Guerre e pace – Milano, eu. 51,62; Associazione provinciale di Viterbo “Italia-Nicaragua” – Tuscania (Vt), L. 100.000; Attanasio Massimo – Palermo, L. 100.000; Attinà Fulvio – Siracusa, L. 100.000; Attinelli Simonetta – Palermo, L. 100.000; Avinio Damiano – Como, eu. 51,65; Balletta Silvana – Palermo, eu. 52,00; Balzano Cristiana – Insinna Leonardo – Palermo, L. 100.000; Baraldi Tiziana – Mantova, eu. 20,00; Barbera Marzia – Milano, L. 100.000; Battaglia Letizia – Palermo, L. 100.000; Bellia Giuseppe – Palma di Montechiaro, eu. 250,00; Belotti Angelo – Lonato, eu. 15,00; Benedetto Caterina – San Damiano D’Asti, eu. 60,00; Bergesio Ginafranco – Roma, L. 100.000; Berlanda Franco – Torino, L. 100.000; Bertolli Marco – Seravezza (Lucca), eu. 51,65; Bertolotti Giorgio – Dormelletto, eu. 15,00; Bertucci Angelo e Monica – Rovereto, L. 100.000; Bianco Alberto – Tolosa, eu. 50,00; Billitteri Daniele – Palermo, L. 100.000; Bobbio Luigi – Torino, L. 200.000; Bonaldi Francesca – Borbiago di Mira, eu. 50,00; Bonanno Francesco (e altri) – Misilmeri, L. 120.000; Bonavita Tomaso – Cesena , eu. 25,00; Bonavita Tommaso – Cesena, L. 100.000; Bongiovanni Giorgio (Antimafia 2000) – Porto S. Elpidio, L. 200.000; Bonini Gabriella – Poviglio (RE), eu. 25,00; Bonomelli Anna Maria – Brescia, eu. 20,00; Bonsangue Diego – Palermo, L. 150.000; Bonsangue Paola – Palermo, L. 100.000; Boreggi Claudio – Roma, eu. 50,00; Borsellino Maria Donatella – Palermo, L. 100.000; Brigaglia Aldo – Palermo, L. 100.000; Brigiano Anna – Palermo, L. 100.000; Bruzzone Emanuele – Asti, L. 200.000; Bussolari Roberta – S. Giovanni in Persiceto (Bo), L. 100.000; Calabrò Carlo – Palermo, L. 100.000; Calapso Rita – Palermo, L. 100.000; Calderaro Rino, L. 100.000; Calderoni Giorgio – Forlì, L. 100.000; Calfus Maria – Chieri (To), eu. 15,00; Camassa Angelica – Palermo, L. 100.000; Camassa Paola – Palermo, L. 300.000; Camisani Rita – Brescia, L. 100.000; Cancila Orazio – Palermo, eu. 50,00; Canonico Augusto – Palermo, L. 100.000; Caon Vilma – Valdagno (Vi), eu. 50,19; Caponnetto Antonino – Firenze, L. 500.000; Capursi Vincenza – Palermo, L. 100.000; Carbone Bruno – Palermo, L. 100.000; Carini Paola – Castelvetro (Pc), eu. 51,65; Carloni Renata – Montespertoli, L. 150.000; Caruso Casimiro – Palermo, L. 100.000; Cascio Antonia – Di Cara Nino – Palermo, eu. 104,00; Cascio Rino – Palermo, L. 100.000; Castellina Luciana – Roma, L. 100.000; Castiglione Dario, L. 150.000; Cavadi Augusto – Palermo, L. 100.000; Cavadi Rosalba – Palermo, L. 100.000; Cavallaro Luigi – Palermo, L. 100.000; Cavallone Filomena – Torino, L. 40.000; Celano Bruno – Palermo, L. 100.000; Cerutti Furio – Montespertoli, L. 150.000; CGIL provinciale di Varese, L. 100.000; Cimino Marta + gruppo Usl 6 – Palermo, L. 250.000; Ciulla Salvo – Palermo, L. 500.000; Clemenza Francesco – Palermo, L. 100.000; Colajanni Emilia – Palermo, L. 200.000; Collisani Amalia – Palermo, L. 100.000; Condello Nelly e Manlio – Palermo, eu. 50,00; Cooperativa teatrale Dioniso (Collovà) – Palermo, L. 100.000; Corsini Enrico – Bottegone, eu. 40,00; Corso Paola – Roma, eu. 50,00; Coscarella Rita e Gulli Umberto – Palermo, eu. 300,00; Costa Aldo – Palermo, L. 100.000; Costadura Giacomo – Palermo, L. 100.000; Crespino Quintina – Gazzaniga, L. 100.000; Crisantino Amelia – Monreale, L. 100.000; Croppoli Maurizio – Torino, eu. 30,00; Crupi Gaetano – Reggio Emilia, eu. 10,00; D’Agostino Mari – Palermo, L. 100.000; D’Agostino Giovanni – Palermo, L. 100.000; D’Agostino Maria Chiara Torino, eu. 40,00; D’Andretta Pasquale – Roma, L. 100.000; De Domenico Nicola, L. 100.000; De Mauro Franca – Palermo, L. 100.000; De Pasquale Raffaella – Palermo, L. 100.000; Decimo Giancarlo – Palermo, eu. 50,00; Degli Esposti Maurizio – Bologna, eu. 30,00; Demarchi Carlo – Lanzo Torinese, L. 100.000; Di Buono Gabriella – Palermo, L. 210.000; Di Stefano Gianfranco – Palermo, eu. 50,00; Dondi Remo – Piumazzo, eu. 30,00; Falci Amedeo – Palermo, L. 200.000; Farfaglio Gaetana, L. 100.000; Farfaglio Maria Luisa, L. 100.000; Farsetta Francesca – Tivoli, L. 100.000; Fatta del Bosco M. Cristina – Palermo, L. 100.000; Fava Fausto – S. Giovanni in Persiceto (Bo), L. 100.000; Ferro Giovanni – Palermo, eu. 1.000,00; Ficarra Anna – Palermo, L. 100.000; Fidora Etrio – Palermo, L. 50.000; Filardo Giuseppe – Palermo, L. 100.000; Fornasaro Renzo – Trieste, eu. 50,00; Francese Giuseppe – Palermo, L. 200.000; Franchina Antonella – Palermo, L. 100.000; Galluzzo Mosè – Palermo, L. 100.000; Gandolfo Giuseppe – Marsala, eu. 20,00; Genco Mario – Palermo, L. 100.000; Gerbino Giulio- Palermo, L. 100.000; Giacomo Lorenzo – Pisa, eu. 10,33; Giaimo Antonio – Enna, L. 100.000; Giovenco Amalia – Palermo, L. 100.000; Giudice Giovanni – Palermo, L. 98.500; Gracci Angiolo – Firenze, eu. 30,00; Grassi Pina – Palermo, L. 100.000; Grasso Luciana – Palermo, L. 100.000; Greco Gioacchino – Monreale, L. 100.000; Grilli Marisa – Milano, eu. 100,00; Grimaudo Sabina – Palermo, L. 100.000; Gruppi Tilde e Luciano – Albano Laziale, eu. 26,00; Gruppo Abele – Torino, L. 5.000.000; Gruppo Solidarietà – Moie di Maiolati SP. (An), L. 100.000; Guainazzi Matteo – Madrid, eu. 51,65; Guarascio Carlotta – Cosenza, L. 100.000; Gulli Cristina – Palermo, eu. 50,00; Gullo Gaetano – Palermo, L. 100.000; Indovina Gabriella – Palermo, L. 100.000; Indovina Serena – Palermo, L. 100.000; Infranca Antonino – Palermo, L. 100.000; Ingrassia Sarina – Monreale (Pa), eu. 100,00; Istituto Antonio Ugo – Palermo, L. 100.000; Jamieson Alison – Perugia, eu. 50,00; La Fiura Giovanni – Monreale(CSD), L. 100.000; La Rocca Antonio – Santena, eu. 52,48; La Rocca Teresa – Palermo, L. 100.000; Lauro Margherita – Palermo, L. 100.000; Lavoratori Assessorato Regionale Bilancio – Palermo, L. 200.000; Lavoratori Assessorato Regionale Territorio – Palermo, L. 500.000; Lazzara Edoardo – Palermo, L. 100.000; Li Cheri Giovanni – Palermo, L. 100.000; Licata Elio – Gubbio, eu.100,00; Licata Giancarlo – Roma, L. 100.000; Licheri Giovanni – Palermo, eu. 50,00; Lo Faso Umberto – Palermo, L. 100.000; Lo Piccolo Lorenzo – Fucarino Rosa – Palermo, L. 100.000; Lo Piccolo Procopio – Milano, eu. 50,00; Loffredo Bibi – Palermo, L. 100.000; Lombino Santo – Bolognetta, L. 100.000; Lorentzen Joken, eu. 75,00; Lumbieri Maria – Palermo, eu. 750,00; Lumia Giuseppe, L. 100.000; Mafai Simona – Palermo, L. 100.000; Mafai Simona – Palermo, eu. 100,00; Mafai Simona – Palermo, eu. 103,29; Mafai Simona – Palermo, eu. 150,00; Mafai Simona – Palermo, eu. 150,00; Maghi Anna – Civitella D’Agliano (Vt), eu. 10,33; Malpelli Giorgio – Verona, eu. 10,00 – Mangano Giulio – La Turbie (Francia), L. 500.000; Maniscalco Giandomenico -Picciotto Patrizia – Palermo, L. 100.000; Marcano Ciraldo – Catania, eu. 49,99; Marcolungo Antonio – Torino, eu. 100,00; Marebiami Lidia – Pisa, L. 50.000; Marino Giuseppe Carlo – Palermo, L. 100.000; Marino Sergio – Palermo, L. 100.000; Marocco Francesco – Bianzone, eu. 100,00; Martinello Riccardo – Borbiago di Mira, eu. 50,00; Martino Francesca – Palermo, L. 100.000; Massari Oreste, L. 100.000; Mastropaolo Alfio – Teresa – Antonio – Luigi – Torino, L. 1.500.000; Mazzarese Tecla – Pavia, L. 100.000; Medi Elena – Milano, L. 100.000; Melato Mariangela – Roma, L. 500.000; Melis Pierpaolo – Cagliari, L. 100.000; Mercadante Vito – Palermo, eu. 50,00; Miceli Dario – Palermo, L. 100.000; Mignosi Vincenzo – Palermo, L. 100.000; Mirto Salvo – Palermo, L. 100.000; Mizio Gisella – Palermo, L. 100.000; Molinari Esilda – Priero (Cn), eu. 10,00; Molinari Giuseppe – Brescia, L. 100.000; Montalbano Eva – Palermo, L. 100.000; Monte Diletta e Andrea – Bari, L. 200.000; Monteleone Carla – Palermo, eu. 52,00; Montemagno Gabriello – Palermo, L. 100.000; Morello Titti – Palermo, L. 100.000; Muccioli Patrizia – Palermo, L. 100.000; Musumeci Daniela – Catalfamo Giusi – Palermo, L. 100.000; Nastasi Pietro e Vera – Palermo, L. 200.000; Nastri Laura – Palermo, L. 1.100.000; Neri Riccardo Torino, eu. 50,00; Niccoli Silvana – Lanciano, eu. 15,00; Nicoletti Rita – Palermo, L. 100.000; Nobile Giovanna, L. 50.000; Nome illegibile, eu. 100,00; Noto Lina – Palermo, eu. 36,15; Nuvole – Torino, L. 500.000; Ortoleva Antonio – Palermo, L. 100.000; Ortoleva Liliana – Palermo, L. 100.000; Ottonello Franca – Rapallo, L. 100.000; Pacini Stefano – Siena, eu. 10,00; Palermo Anno Uno, L. 500.000; Paolini Marcello – Bolzano, eu. 52,00; Parrinello Delia – Palermo, L. 100.000; Pasini Marino – Cretia (Cr), L. 30.000; Paternostro Dino – Corleone, L. 100.000; Pavone Marco – Palermo, L. 100.000; Pecoraro Cristina – Palermo, L. 100.000; Pedone Fulvio – Palermo, L. 100.000; Petrucci Nicola – Palermo, L. 100.000; Pezzimenti Elvira – Palermo, eu. 52,00; Pezzino Paolo – Pisa, L. 100.000; Pirajno Rosanna – Palermo, L. 200.000; Pirrone Marco – Palermo, L. 100.000; Pistolesi Anna – Roma, eu. 100,00; Pizzuto Maurizio – Ciancimino Anna Maria – Palermo, L. 100.000; Polizzi Giuseppe – Palermo, L. 100.000; Pomar Marco – Palermo, L. 100.000; Prattico Ettore – Roma, eu. 50,00; Puglisi Rosalba – Palermo, L. 100.000; Ragaini Silvio – Castelplanio (An), eu. 25,00; Raia Daniela – Palermo, L. 100.000; Raineri Annibale – Palermo, L. 100.000; Renda Francesco, L. 100.000; Riccobono Liliana – Palermo, eu. 154,94; Rifondazione Comunista (Gruppo parlamentare) – Roma, L. 2.000.000; Rinaldi Gaetana Maria – Palermo, L. 100.000; Rindone Elio – Roma, L. 100.000; Riolo Alessandro – Palermo, L. 100.000; Riolo Fernando – Palermo, L. 100.000; Riolo Francesca – Palermo, L. 100.000; Riolo Melissa – Brescia, eu. 50,00; Riolo Pietro – Palermo, L. 100.000; Rizzo Domenico – Palermo, eu. 50,00; Rizzo Salvatore – Palermo, L. 100.000; Rizzoli Alberto – Bolzano, eu. 52,00; Rocca Stefano – Palermo, L. 100.000; Roccella Massimo – Milano, L. 100.000; Romani Pierpaolo – Giacciano con Baruchella (Rovigo), L. 100.000; Romano Riccardo – S. Giovanni La Punta, L. 100.000; Romano Vincenzo – Palermo, L. 100.000; Rovelli Roberto – Palermo, L. 100.000; Ruffino Giovanni – Palermo, L. 100.000; Russo Gabriella – Palermo, L. 100.000; Russo Vita – Roma, eu. 50,00; Sagona Giovanna – Palermo, L. 100.000; Sala Tecla – Sovico (Mi), L. 100.000; Salatiello Bice – Palermo, L. 100.000; Samonà Leonardo – Palermo, L. 100.000; Santomi Maurizio – Roma, L. 100.000; Savoja Umberto – Palermo, eu. 50,00; Scamardella Pacifico Giuseppe (a nome della CDST di Desio (Mi)), L. 100.000; Scardulla Sergio – Palermo, L. 100.000; Scarpa Renato – Roma, L. 100.000; Schaffner Maria Rosa – Firenze, eu. 50,00; Schifani Giorgio – Palermo, eu. 258,23; Sciarrino Silvana – Palermo, L. 100.000; Sciarrone Rocco – Torino, L. 200.000; Sciortino Teresa – Palermo, L. 100.000; Sclafani Faro – Cinisi (Pa), eu. 50,00; Scordato Cosimo – Palermo, L. 100.000; Scotonni Italo – Trento, eu. 51,65; Serafino Franca – Spotorno Antonio – Palermo, L. 100.000; Siebert Renate e Jedlowski Paolo – Arcavacata (Cosenza), L. 200.000; Sorrentino Armando – Palermo, L. 100.000; Sottile Carmelo – Palermo, L. 100.000; Sottile Roberto – Palermo, L. 100.000; Spalla Pietro – Pietro, L. 50.000; Squarcialupi Vera – Milano, eu. 55,00; Staino Sergio – S. Martino La Palma (Fi), L. 100.000; Stajano Corrado, L. 100.000; Stira Salvatore – Palermo, L. 100.000; Strazzeri M. Vittoria – Palermo, L. 100.000; Tamagnini Nevio – Sant’Arcangelo di Romagna, eu. 52,00; Tarantino Giovanna – Palermo, L. 100.000; Terrana Marina – Palermo, L. 100.000; Terranova Filippo – Palermo, L. 100.000; Terranova Giacomo – Palermo, L. 100.000; Tonolo Renata e Giulio – Torino, eu. 52,00; Trezzo Maria – Scandicci (Fi), L. 100.000; Triolo Bice – Palermo, L. 100.000; Triolo Lucia e Nicolaci Peppino – Palermo, eu. 100,00; Tulumello Alberto – Palermo, L. 100.000; Turri Diamante – Palermo, L. 100.000; Turrisi Maria Rosa – Palermo, L. 50.000; Tutone Michele – Palermo, L. 100.000; Vaccaro Salvo – Palermo, L. 100.000; Vecchio Silvana – Milano, L. 100.000; Vespa Giuseppe – Brescia, eu. 50,00; Vespa Giuseppe – Brescia, eu. 50,00; Vespa Giuseppe – Brescia, eu. 25,00; Vianelli Luciana – Pioppo (Pa), eu. 52,00; Viola Paolo – Palermo, L. 100.000; Vittorelli Maria Letizia – Palermo, L. 100.000; Wigi Marco ?- Orvieto, L. 100.000; Zanella Franca – Borghetto Adige (Trento), L. 100.000.
Totale entrate, eu. 27.182

Appello dell’Associazione “Non solo Portella”:
solidarietà a Giuseppe Casarrubea

DOPO L’INCRIMINAZIONE DI STUDIOSI COME UMBERTO SANTINO E LAUDIO RIOLO – GIA’ CONDANNATI A PAGARE CIFRE ESORBITANTI IN SEDE CIVILE – GIUSEPPINA LA TORRE, ALFREDO GALASSO (PROCESSO IN CORSO), ADESSO E’ STATO RINVIATO A GIUDIZIO LO STORICO GIUSEPPE CASARRUBEA, FIGLIO DI UNA VITTIMA DI ATTENTATI TERRORISTICO-MAFIOSI.
CASARRUBEA DA MOLTI ANNI SI E’ MESSO SULLE TRACCE DEI MANDANTI DELLE STRAGI AVVENUTE IN SICILIA NEL SECONDO DOPOGUERRA.
PER LE SUE RICERCHE DOVRA’ COMPARIRE DAVANTI AI GIUDICI IL PROSSIMO 4 OTTOBRE 2002

L’ASSOCIAZIONE “NON SOLO PORTELLA” CHE ORGANIZZA LE VITTIME DI QUELLE STRAGI HA LANCIATO NEI GIORNI SCORSI UN APPELLO DI SOLIDARIETA’ E AVVIATO – VIA INTERNET – UNA ‘CATENA DELLA MEMORIA’.
CHIEDIAMO A CHI NON VUOLE DIMENTICARE DI SOTTOSCRIVERLA

“Una catena della memoria”
a cominciare da un processo non sui mandanti della strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947:11 morti e 30 feriti) e degli attacchi contro le Camere del Lavoro (22 giugno 1947: 2 morti e 10 feriti) mai processati, ma contro chi, cercando la verità, e sulla scorta di atti antimafia, documenti delle cancellerie di tribunali e 50 anni di bibliografia sul tema, ha cercato con tenacia tra depistaggi, falsi, omissioni delle autorità pubbliche, gli autori di quelle infami e barbare tragedie: il primo atto del terrorismo neofascista in Italia.
Questa catena non ha nè televisioni nè giornali a sua disposizione.
Vive solo in chi non ha ancora cancellato il senso della sua storia.
Se vuoi aderire invia un semplice messaggio al seguente indirizzo e mail: icasar@tin.it

“NON SOLO PORTELLA”
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di
Portella della Ginestra (1° maggio 1947), della mafia e di altre stragi compiute in Sicilia
Presidente Giuseppe Casarrubea-Via Marchese di Villabianca, lotto 2°
90047-Partinico (tel. 091-8907679)
E mail: icasar@tin.it
Partinico, 21 settembre 2002

Cari amici,
come forse già sapete, il prossimo 4 ottobre dovrò comparire davanti alla sezione del tribunale di Partinico (Palermo), per alcune valutazioni da me formulate nel quadro di una ricerca sui mandanti della strage di Portella della Ginestra. I capi di accusa riguardano alcune mie affermazioni su un generale dei carabinieri in pensione, capitano della stazione dei CC. di Alcamo all’epoca dei fatti (1947). Nel precisare che non ho mai avuto nulla contro questa persona né, tanto meno, contro l’Arma dei Carabinieri, che nella sua storia ha avuto tanti caduti nella lotta contro la mafia, mi corre anche l’obbligo di ricordare che le circostanze che portarono all’eliminazione del bantitismo in Sicilia in quegli anni bui della nostra Repubblica, furono tutt’altro che adamantine, e che circa i fatti specifici per i quali vengo imputato, ho elementi sufficienti per contrastare l’accusa. Mi sono avvalso, infatti, nella mia ricerca, degli atti del processo di Viterbo, degli atti pubblicati dalla Commissione Antimafia, delle carte sulle stragi del ’47, desecretate grazie anche alla mia personale iniziativa, nonchè di una lunga bibliografia sul tema, mai smentita prima.
Ho sempre ritenuto che non ci può essere verità e giustizia in Italia se non a partire dalla chiarezza sui troppi misteri che ne hanno offuscato la storia e questa convinzione è stato l’unico movente della mia fatica. Sono altresì convinto che non ci può essere futuro per le nuove generazioni se viene tolto loro il diritto alla memoria e alla verità storica dei fatti.
Nel ringraziare quanti mi hanno espresso la loro solidarietà vi invio il testo dell’appello lanciato dall’Associazione ‘Non solo Portella’ che rappresento. Se lo condividete fatelo girare tra i vostri amici. Di seguito riporto l’accusa che viene fatta contro di me.
Capi d’imputazione:
– delitto p.e p. dagli artt. 595, I,II,III comma c.p., art. 13 L.8.2.1948 n° 47, per avere, quale autore del libro “Portella della Ginestra, microstoria di una strage di Stato” offeso la reputazione di Roberto Giallombardo con il mezzo della stampa, scrivendo “l’episodio in realtà accadeva in circostanze piuttosto strane, perché nell’imboscata cadevano, oltre al Ferreri, il padre di questi Vito, Antonino Coraci e i fratelli Giuseppe e Fedele Pianello, confidenti di Paolantonio, tanto più che, stando alle affermazioni di Terranova ”Cacaova” prima dell’uccisione di Fra’ Diavolo, che era rimasto ferito vi era stata una conversazione telefonica con Palermo, di cui era stato informato lo stesso Giuliano. Ferreri venne ucciso in quello strano conflitto a fuoco dal Giallombardo, nonostante questi fosse stato avvertito dal Paolantonio della funzione di questo confidente per la cattura di Giuliano.
– Da tale affermazione, già suffragata da atti processuali (1952) l’accusa traeva la conclusione che io avrei attribuito al Giallombardo la veste di killer spietato e freddo criminale al servizio ora di questo ed ora di quell’altro padrone.
– delitto p.e p. dagli artt. 595, I,II,III comma c.p., art. 13 L. 8.2.1948 n°47, per avere, quale autore delle interviste rilasciate dall’emittente privata TIVU7 di Partinico in data 30.4.’97 e 5.5.’97, offeso la reputazione di Giallombardo Roberto con il mezzo della televisione, affermando “Ferreri venne eliminato a freddo, unitamente a suo padre Vito, a Vito Coraci [n.d.a.: leggasi Antonino] ed ai fratelli Pianello in un agguato teso da parte del Giallombardo la notte del 26 giugno 1947. Naturalmente un’esecuzione di questo genere, in piena Repubblica, non dimentichiamo che siamo nel secondo anno della Repubblica, é un fatto assolutamente criminale”.
Devo precisare che non ho mai dato del “killer” o del “freddo criminale” al servizio di chicchessia al Giallombardo. Ho espresso valutazioni più complesse che rinviano a responsabilità alte, in tutta questa vicenda, che sono sicuro saranno chiarite in sede processuale.
Giuseppe Casarrubea

APPELLO PER LA DIFESA DEI DIRITTI DELLA RICERCA STORICA
E PER LA LIBERTA’ DI STAMPA NELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA

Il prossimo 4 ottobre presso la Pretura di Partinico (Palermo) si aprirà il processo intentato dal generale dei Carabinieri in pensione Roberto Giallombardo, contro Giuseppe Casarrubea, uno studioso che da anni si batte per la ricerca della verità sui mandanti della strage di Portella della Ginestra e degli attacchi contro le sedi di sinistra e le Camere del Lavoro, nella provincia di Palermo (1° maggio- 22 giugno 1947)
Tra i caduti anche suo padre, uno dei tanti sindacalisti ammazzati dalla mafia in quegli anni bui della nostra Repubblica. Diverse sue pubblicazioni sono testimonianza del suo impegno di ricerca. Tra le tante, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, edita a Milano da Franco Angeli nel 1997 (50° delle stragi) nella collana di studi di storia contemporanea diretta dal prof. Franco Della Peruta.
L’autore, sulla scorta di una lunga bibliografia, di atti processuali e di documenti della Commissione Antimafia, aveva sostenuto che alcuni elementi chiave di quelle stragi, come Salvatore Ferreri, alias ‘Fra Diavolo (banda Giuliano) ne erano stati gli esecutori materiali pur essendo, al contempo, confidenti delle più alte autorità di pubblica sicurezza in Sicilia, e come tali, chiusa la manovra stragista, erano stati premeditatamente eliminati. Cosa che Casarrubea aveva ribadito in un’intervista concessa a una emittente televisiva locale in occasione del cinquantenario di quelle stragi.
Lasciamo alla magistratura il compito di chiarire i fatti, anche se a distanza di oltre mezzo secolo nessuna verità ufficiale e credibile sappiamo né sulle stragi del 1947, nè sulla morte del bandito Salvatore Giuliano e del suo luogotenente Gaspare Pisciotta.
In un’epoca che troppo facilmente è propensa a rimuovere passato e memoria di quelle lotte che videro il movimento sindacale e contadino alla testa del processo di rinnovamento democratico del nostro Paese, Casarrubea è un testimone di ricerca della verità e della giustizia. Non lasciamolo solo e attiviamo in suo favore ogni nostra iniziativa: scrivendo un articolo per un giornale, una e-mail, presenziando al processo, formando dei gruppi di solidarietà concreta, telefonando a un amico, a una rivista, ecc.
Affermiamo il principio costituzionale che la scienza non può essere processata, la conoscenza storica non può essere trascinata nelle aule dei tribunali, né può essere surrogata dai monopoli dell’informazione.
E’ intollerabile che oggi il diritto della libertà della ricerca scientifica debba essere messo in discussione persino contro gli stessi familiari delle vittime, alle quali lo Stato non ha consegnato, neanche dopo cinquantacinque anni, né verità né giustizia.
ASSOCIAZIONE “NON SOLO PORTELLA”
(Se aderisci, manda un messaggio a Giuseppe Casarrubea, al seguente indirizzo e-mail: icasar@tin.it Se vuoi dare un contributo per le spese processuali e sostenere la causa puoi effettuare un versamento sul conto corrente bancario dell’Associazione ‘Non solo Portella’, presso il Banco di Sicilia di Partinico (PA), intestandolo a : Associazione ‘Non solo Portella’, via Raccuglia- 90047- Partinico (PA), indicando il tuo nome e cognome, la seguente motivazione del versamento: “Solidarietà allo storico Giuseppe Casarrubea”- Coordin. Bancarie nazionali: Banco di Sicilia, cod. Banca 01020. CAB filiale 43490- N° di conto 410 352021).

Siti web
Il testo del manifesto per la libertà della ricerca, le adesioni e la documentazione sulle stragi si possono trovare in:
www.accadeinsicilia.net/per-giuseppe-casarrubea.htm
http://www.accadeinsicilia.net/giuliano-e-lo-stato.htm
http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/appello2.htm
http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/adesioni2.htm
http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/stragi_47.htm
http://www.edscuola.com/archivio/interlinea/casarrubea.html
http://utenti.lycos.it/panerose/pagina_art.php?id_art=650
http://www.misteriditalia.com/giuliano/portella/portella.htm
http://www.centroimpastato.it/publ/online/portella.htm
http://www.ildialogo.org
http://www.consumietici.it (settore diritti)
http://www.consumietici.it/ita/articolo_popup.asp?

Adesione all’appello del presidente del Centro Impastato

Caro Giuseppe,
ti avevo manifestato la mia solidarietà non appena apparsa la notizia della querela, proponendoti di avviare delle iniziative che ponessero il problema della libertà di informazione e di ricerca, a partire da alcuni casi concreti. Purtroppo da allora non ci siamo potuti incontrare, neppure all’interno della campagna che abbiamo lanciato in seguito alle condanne di Riolo e mia e nelle numerose presentazioni del mio ultimo libro sulla storia delle lotte contro la mafia, dedicato a tutti i caduti in questa lunghissima guerra, tra cui tuo padre.
La nostra campagna ha avuto momenti di confronto interessanti, ha raccolto un notevole numero di adesioni e di sottoscrizioni, ma gli obiettivi che ci proponevamo (la modifica della legislazione in atto e la costituzione di un consistente Fondo di solidarietà) non sono stati raggiunti, tenendo conto di un contesto che si è andato rapidamente aggravando.
Ora, nell’imminenza del tuo processo, non posso che rinnovarti la solidarietà mia e del Centro, ma vorrei che si andasse oltre la solidarietà. L’iniziativa di presentarsi in occasione dell’udienza del 4 ottobre con i ritratti di alcuni dei tantissimi protagonisti della lotta contro la mafia la cui uccisione è rimasta impunita,mi pare bellissima. Anche se non potrò esserci, rinnovo la mia richiesta, più volte indirizzata alla Commissione parlamentare antimafia, che almeno in sede politica si rispolverino quelle storie vecchie ormai di più di mezzo secolo e si scriva finalmente, dopo la relazione sul depistaggio delle indagini per il delitto Impastato, che ho salutato come il primo atto significativo in quella direzione, una storia dell’impunità in Italia.
Purtroppo il clima politico non potrebbe essere peggiore ma i rappresentanti di quel tanto che in qualche modo si richiama alla sinistra cosa fanno? Di fronte all’impunità di uomini che siedono al governo si lascerà passare l’onda lunga e limacciosa del revisionismo che vuole appiattire colpe e responsabilità e ignorare che la lotta alla mafia c’è chi l’ha fatta, pagandone un prezzo altissimo, e c’è chi era inequivocabilmente dall’altra parte? Niente di più pericoloso dell’unamismo che avanza a grandi passi assieme alle teorizzazioni del’affarismo amorale, parente stretto del prepotere mafioso e alla prassi ormai inveterata di legalizzazione dell’illegalità.
Le nostre battaglie non si svolgono soltanto nelle aule dei tribunali ma in tutta la società e in un periodo tra i più difficili della storia dell’Italia repubblicana.
Mi auguro, senza farmi troppe illusioni, che la tua vicenda processuale abbia un esito migliore di quella mia e di Riolo, ma mi auguro soprattutto che la nostra battaglia si possa svolgere con la dovuta decisione e con la necessaria unità, nel rispetto delle convinzioni, delle competenze, della storia personale di ciascuno.
Aderisco ovviamente al tuo appello che pubblicheremo nel nostro sito.
Un abbraccio.