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Umberto Santino

Sul Papa a Palermo

“L’unico populismo possibile è quello cristiano; sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese”, così ha detto papa Francesco nella sua omelia durante la messa al Foro italico, richiamando, consapevolmente o meno , uno slogan maoista, condannando i populismi correnti e accennando ai problemi che travagliano anche il suo pontificato. Com’era facile prevedere il papa ha parlato di mafia rivolgendo un appello che riprende,  a suo modo, il grido di Giovanni Paolo II all’ombra dei templi di Agrigento: “Mafiosi convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio”, ma quello del papa polacco era un anatema, quello del papa argentino è un invito. Li chiama “fratelli e sorelle” (ci sono anche le donne di mafia) e li esorta a cambiare. E invece dell’evocazione del Cristo giustiziere in posa michelangiolesca, papa Francesco, ribattezzato “Ciccio”, ha richiamato qualcosa di più realistico e che si compie in un orizzonte terreno: “la vostra vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte”. La lotta per l’arricchimento e il potere, con l’uso programmatico della violenza, li condanna alla guerra intestina e, da quando più che la certezza dell’impunità c’è la certezza o la probabilità della pena, li attende l’ergastolo e il 41 bis.

Allora i mafiosi risposero al grido del papa polacco uccidendo don Puglisi a Palermo, don Diana a Casal di Principe e mettendo qualche bomba nei pressi del Laterano e ai piedi di una chiesa romana. Ma i sicari di padre Puglisi dicono che non hanno resistito al suo sguardo da agnello sacrificale e al suo “me l’aspettavo” e, da assassini in servizio permanente e effettivo, si sono mutati in collaboratori di giustizia, cattolici praticanti e studenti di teologia.

Il programma della visita del papa è stato in gran parte dedicato, nel venticinquesimo anniversario del suo assassinio, al parroco di Brancaccio, beatificato come martire della fede. Secondo la ricostruzione dei teologi che hanno istruito il processo di beatificazione, i mafiosi che lo hanno ucciso hanno agito in odium fidei, in dispregio del Vangelo, che è in inconciliabile contraddizione con lo spirito di mafia. Più verosimilmente la decisione di ucciderlo si è fondata sulla sua opera quotidiana che hanno sentito come una delegittimazione e una sfida. Togliere i ragazzi dalla strada, chiedere servizi essenziali come la fognatura e la scuola media,  fare di un quartiere-discarica un posto civile, era un’intrusione sgradita, che rischiava di diventare incontrollabile, e invitarli a incontrarsi e discutere per i mafiosi, che consideravano Brancaccio una loro riserva storica, è stato un delitto di lesa maestà.

Ora tutti inneggiano al piccolo prete, umile e determinato, ma uno dei fratelli ricorda che i suoi appelli sono caduti nel vuoto, che è stato isolato ma non si è tirato indietro. E il papa lo ha ricordato per la sua “invisibilità”: “non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli antimafia” e qualcuno ha pensato  alle disavventure recenti di protagonisti dello spettacolo antimafia.

Nell’incontro con il clero Papa Francesco ha detto che fare il prete non è una professione ma una missione, che non bisogna legarsi ai poteri del mondo e pensare a far carriera. Ma per la sua struttura gerarchica, che finora è stata un connotato irriformabile della chiesa cattolica, è fisiologico che più d’uno sgomiti per diventare monsignore, vescovo o cardinale. C’ è stato un accenno alla religiosità popolare, alle processioni con la Madonna e i santi che si inchinano davanti alle case dei capimafia. “Non va bene”, ha detto il papa che parlava a braccio. Ma la religiosità popolare è di per sé intrisa di feticismo e di superstizione, di relazioni con il sacro fondate sul do ut des, sulla grazia richiesta e ricevuta, ripagata con l’offerta in denaro e l’accensione del cero. E che altro è se non feticismo il culto delle reliquie? Anche al beato Puglisi hanno tolto le costole per esporle nei reliquiari.

Il dialogo con i giovani è stato un continuo richiamo alla possibilità del cambiamento, alla Sicilia terra di incontri in un mondo di scontri e alla fine della giornata siciliana ci si chiede:  cosa lascia la visita del papa? Cos’è cambiato in questi anni? Cos’è Brancaccio oggi? Le finestre che durante il funerale del parroco assassinato erano chiuse si sono spalancate al passaggio del pontefice e si sono rivisti i lenzuoli. C’è la scuola media, c’è un centro sportivo, c’è il centro Padre nostro, con problemi tra chi si contende l’eredità di padre Puglisi, c’è casa sua trasformata in museo, ma si dice che i Graviano, anche da ergastolani, comandino ancora, perché le radici da cui nasce la pianta mafiosa (un’economia legale inesistente, l’illegalità diffusa, molti, o quasi tutti, che pagano il pizzo) non sono state scalzate. Forse sarà questo il miracolo che si attende per fare santo il beato Puglisi.

Pubblicato su “la Repubblica Palermo del 19 settembre 2018, con il titolo: A Brancaccio non tutto è cambiato.