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Mafia capitale e antimafia…

Umberto Santino

Mafia capitale e antimafia…

 

Mentre i giudici romani sentenziavano che nella capitale opera un’associazione a delinquere che gode della complicità di amministratori e politici corrotti e svolge attività criminali, dall’estorsione all’usura, dal traffico di droga al riciclaggio, ma non si può catalogare come mafia, probabilmente perché non è stata provata la capacità d’intimidazione dei suoi capi in grado di produrre assoggettamento, a Palermo, con le notizie sulle infiltrazioni in associazioni antiracket, sono tornati a galla i problemi dell’antimafia. Non sono nuovi ma ogni volta pare che si parta da zero. E c’è una ragione.

Dopo quello che è accaduto in questi anni, dall’imprenditore “antimafioso” che si è rivelato un estorsore ai suoi colleghi in prima fila nelle manifestazioni antimafia incriminati per rapporti con mafiosi , al palazzo di giustizia in cui la sezione che  assegnava  gli incarichi di amministratore dei beni confiscati era diventata un mercatino per clienti affezionati, non c’è stata una riflessione adeguata.

Ora si parla di associazioni inattive da tempo o che avrebbero rapporti con mafiosi. Chi non è un novizio dell’attività antimafia può ricordare che quando si è cercato di costruire un collegamento tra i vari soggetti, sono comparse sigle dietro cui non c’era nulla, pure invenzioni di qualcuno che voleva partecipare pensando che fosse in cantiere qualcosa di simile a un club privé o ai provini per  uno spettacolo. Al Coordinamento antimafia formatosi nel 1984 aderirono 38 organizzazioni, di cui 19 esistevano solo sulla carta o non hanno partecipato a nessuna attività. Ci sono  associazioni nazionali che dicono di raccogliere un numero altissimo di comitati, fondazioni , organizzazioni con sedi locali in tutto il territorio; se quel numero corrispondesse alla realtà si potrebbe pensare che mafiosi, ’ndranghetisti, camorristi, capi e gregari di altre consorterie criminali dovrebbero lasciare l’Italia e chiedere asilo politico da qualche altra parte.

Falcone diceva che per trovare la mafia bisogna seguire la pista dei soldi, forse si potrebbe dire la stessa cosa per l’antimafia. Dove ci sono fondi pubblici da spartire,  con o senza tabelle H, si dà il caso che ci sia una ressa per prendere parte al banchetto. Bisognerebbe mettere da parte definitivamente la discrezionalità, terreno in cui si incontrano protagonisti e comparse del sistema clientelare, con una legge che fissi dei criteri oggettivi per l’erogazione de fondi pubblici, ma non si vuol fare perché a tanti va bene così.

Anche per l’antiracket dev’essere accaduto qualcosa dal genere, ma non è solo una questione di soldi. Oggi per alcuni essere, o fingere di essere, antimafia è seguire il vento che tira, contando di poter sfruttare convenienze che non sono soltanto finanziarie. Si guadagna in prestigio, si indossa l’abito della rispettabilità necessario per comparire in società. Qualcosa di simile ai mafiosi che indossano il grembiulino. Non so se le associazioni prese di mira facciano parte di questa sceneggiata,  mi auguro di no. Se c’è un’antimafia di facciata, per fortuna ci sono  tanti che fanno  scelte coraggiose e si comportano di conseguenza. E la cosa più sbagliata è fare di ogni erba un fascio, come fa qualcuno che si autoproclama grande o piccolo inquisitore.

Una nota a margine delle recenti celebrazioni della strage del 19 luglio. Sbaglio o si è rinnovato il gioco con i morti? Prima il superpoliziotto Arnaldo La Barbera, ora il procuratore Tinebra. Non ci sono altri? Quando il capomafia Salvatore Cancemi diceva che Scarantino non l’aveva mai visto, la vicenda doveva chiudersi lì. Chi tra gli inquirenti,  stagionati o alle prime armi, ha voluto o accettato che la tragica farsa, con al centro un ragazzo di borgata, sequestrato e torturato per costringerlo a recitare un copione sotto dettatura, continuasse e perché? Si voleva chiudere al più presto l’inchiesta o si è deciso di volare basso? Da quello che è accaduto, con l’isolamento, l’avversione e i malevoli interrogatori davanti al CSM, quando erano vivi, e poi il balletto di condanne e assoluzioni,  si può trarre una conclusione: dopo la mafia, i principali nemici di Falcone e Borsellino sono stati i loro colleghi.

 

Pubblicato su Repubblica Palermo del 25 luglio 2017, con il titolo: A chi serve indossare gli abiti antimafia.