loading...

Il fallimento del proibizionismo

Il fallimento del proibizionismo

Tiziana Lo Porto intervista Umberto Santino

Rispetto al quadro tracciato nel libro Dietro la droga cosa è cambiato negli ultimi anni, per quanto riguarda la produzione e il consumo di droghe, i soggetti criminali e i proventi del narcotraffico?

La situazione è molto più complessa, nel senso che è aumentato il numero delle sostanze psicoattive (termine preferibile a quello di droghe) in circolazione, sono aumentati produzione e consumo, si sono moltiplicati i gruppi criminali e sono aumentati i proventi del traffico internazionale.

Negli ultimi anni si è sviluppato il consumo delle droghe sintetiche e oggi il consumatore tipo usa contemporaneamente varie sostanze.

Per fare qualche esempio sull’incremento della produzione, nel 1990 la produzione mondiale di oppio era poco più di 4.000 tonnellate, nel 1996 era di 5.000 tonnellate; la produzione di cloridrato di cocaina nei paesi latino-americano alla fine degli anni ’80 era tra le 500 e le 700 tonnellate, nel ’96 è stata tra le 1.000 e le 1.500 tonnellate. Le colture di cannabis in Marocco nel 1988 si estendevano per 30.000 ettari e negli ultimi anni sono arrivate a più di 70.000 ettari. Le coltivazioni di piante da droghe si sono estese al di là delle aree tradizionali ed è sempre più rilevante il ruolo dell’Africa, degli ex paesi socialisti. C’è un vero e proprio boom delle droghe sintetiche: stimolanti di tipo amfetaminico, ecstasi ecc.: si calcola un aumento medio annuo del 16 per cento.

Secondo i dati dell’UNDCP (United Nations International Drug Control Programme), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di droga, negli anni ’90 i consumatori di eroina e oppiacei sono 8 milioni, quelli di cocaina più di 13 milioni, più di 141 milioni i consumatori di cannabis, 25 milioni e mezzo quelli di allucinogeni, più di 30 milioni quelli di amfetaminici e più di 227 milioni quelli di sostanze sedative.

Ormai siamo in presenza di un mercato planetario delle droghe che vede la presenza di vari gruppi criminali di tipo mafioso: oltre alle mafie italiane (la mafia siciliana, la ‘ndrangheta, la camorra e la mafia pugliese), ci sono le triadi cinesi, la yakusa giapponese, la mafia turca, le mafie russe, i cartelli latino-americani. Questi gruppi operano in collaborazione tra loro ed è scorretto parlare di un Number One universale.

Quanto alle stime dei proventi del narcotraffico si parla di qualcosa come 400 miliardi di dollari l’anno.


Quale è il ruolo della Sicilia? La mafia siciliana ha ancora le posizioni egemoniche degli anni passati?

La mafia siciliana negli anni ’70 e nei primi anni ’80 ha avuto un ruolo di primissimo piano, tanto che Gaetano Badalamenti è stato condannato come il protagonista della Pizza Connection. In territorio siciliano operavano dei laboratori per la produzione dell’eroina che veniva imbarcata all’aeroporto di Punta Raisi verso gli Stati Uniti. Ora, con un mercato molto più ampio e con il proliferare delle organizzazioni criminali, il ruolo della mafia siciliana nel mercato dell’eroina si è ridimensionato, ma alcune famiglie mafiose si sono rifatte con la cocaina e oggi ci sono buoni rapporti con gruppi mafiosi albanesi, anche se la mafia pugliese gode di una posizione territoriale più favorevole rispetto all’Oriente.


Qual è il ruolo dei Paesi dell’Est e dell’ex Unione Sovietica nel mercato internazionale delle droghe?

Possiamo dire che nel caos generato dal crollo del “socialismo reale” i trafficanti di droghe e di armi si muovono come pesci nell’acqua. Si sono già formate delle vere e proprie “borghesie mafiose” con tutti e due i piedi ben piantati nell’accumulazione illegale, che hanno ereditato e sviluppato prassi illegali proprie dei servizi segreti e degli apparati burocratici e di partito. La rivoluzione d’Ottobre non poteva avere esito peggiore.

Lo sviluppo del narcotraffico e dell’accumulazione illegale, il proliferare delle mafie si lega con l’attuale quadro mondiale, definibile come “capitalismo senza alternative”. La crisi delle economie legali comporta necessariamente il ricorso all’accumulazione illegale e le droghe sono certamente il più grosso business dei gruppi criminali di tipo mafioso, vecchi e nuovi. Nei paesi ultimi arrivati nella corsa verso il capitalismo il crimine è la risorsa più conveniente, spesso l’unica disponibile in un contesto dominato dal neoliberismo, in cui la competizione assume le caratteristiche di una selezione darwiniana, in cui non c’è posto per i più deboli.


Ci sono novità sul piano della legislazione internazionale?

La Convenzione di Vienna del 1988 ha ribadito la scelta proibizionista, nonostante l’evidente fallimento di una politica che mirava a ridurre produzione e consumo e invece ha avuto l’effetto contrario.

La consapevolezza di questo fallimento, della netta sproporzione tra costi e benefici, ha cominciato a farsi strada ma il dibattito è ancora dominato da posizioni fondamentaliste, che rappresentano il problema delle droghe come un insanabile contrasto tra Bene e Male che richiede il ricorso al diritto penale non solo per i narcotrafficanti ma anche per i consumatori.

La Convenzione internazionale vigente ha una base molto discutibile, a cominciare dalle tabelle relative alle sostanze, stilate con criteri molto poco scientifici. La distinzione tra sostanze stupefacenti e sostanze psicotrope è opinabile. La cannabis viene considerata alla stessa stregua dell’eroina, mentre il suo principio attivo, il THC (Tetraidrocannabinolo), è considerato psicotropo, cioè meno pericoloso. La foglia di coca, che è da millenni un consumo tradizionale delle popolazioni andine, è classificata tra le sostanze più pericolose, e si potrebbe continuare. Un primo passo per una riforma della Convenzione dovrebbe essere l’uso di un criterio scientifico nella classificazione delle varie sostanze, ma ciò richiede una svolta sul piano culturale: è pericoloso anche l’abuso di sostanze come l’alcol e il tabacco, che essendo “droghe del Nord” sono perfettamente lecite. Ma, al di là della Convenzione, è l’approccio complessivo che deve cambiare, mettendo al centro delle politiche internazionali il rapporto tra un Nord sempre più ricco e un Sud sempre più povero. L’esatto contrario delle politiche neoliberiste che aggravano gli squilibri territoriali e i divari sociali.


Cosa pensa della legislazione italiana e delle proposte di legge riguardanti la legalizzazione delle droghe leggere e la depenalizzazione completa del consumo delle droghe promosse da Forum droghe? Pensa che l’abolizione del proibizionismo darebbe un colpo mortale alla mafia?

Condivido tali proposte e la logica che le ispira che si richiama alla riduzione del danno. Bisogna salvaguardare la vita, la salute e la dignità dei tossicodipendenti, attualmente soggetti a una vera e propria schiavitù nei confronti dei criminali che gestiscono il traffico di droghe.

Ricordiamo cosa è avvenuto a Palermo con l’eroina killer (12 morti da luglio a novembre 1995).

Sono un antiproibizionista laico e non penso che ci siano toccasana.

L’eliminazione del proibizionismo toglierebbe alle mafie uno dei pilastri dell’accumulazione illegale, ma non bisogna illudersi che i mafiosi chiudano bottega, farebbero altro, o potenziando le attività tradizionali, come l’estorsione e l’usura, o trovando altri canali (per esempio l’emigrazione clandestina, già abbastanza “fiorente”).

Il consumo di droghe non è un problema di diritto penale, ma va affrontato con altri strumenti, soprattutto preventivi. A mio avviso la prima cosa da fare è un’attività continua, permanente di informazione-educazione sugli effetti delle varie sostanze psicoattive (legali e illegali). Il libro voleva servire soprattutto a questo ma è stato solo un sassolino rispetto al flusso continuo di disinformazione prodotto dai mass media.

Pubblicata su “L’inchiesta”, n. 33, 25 febbraio – 10 marzo 1998, p. 13.