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La sinistra che non c’è

Umberto Santino

La sinistra che non c’è

Le considerazioni di Enrico Del Mercato sulla sinistra siciliana possono essere l’occasione per una riflessione che non può riguardare solo la Sicilia. Si tratta di ricostruire una storia che ha dominato la scena mondiale fin dalla seconda metà del XIX secolo. La sinistra, le sinistre, debbono la loro denominazione alla collocazione negli emicicli parlamentari, ma la loro nascita e il loro sviluppo non si sono realizzati nelle sedi istituzionali, ma nel corpo della società. I “proletari di tutto il mondo” che il Manifesto di Marx ed Engels del 1848 invitava ad unirsi, erano gli operai ammassati nelle fabbriche e negli slum londinesi, che cominciavano a ribellarsi e venivano chiamati ad essere attori di un processo rivoluzionario. Su questa base, i partiti socialisti e comunisti erano forme di organizzazione e scuole di educazione delle classi subalterne. Con percorsi più o meno fedeli alle teorizzazioni, le rivoluzioni socialiste furono l’esempio da seguire per molti decenni. In Italia gli operai del Nord e i contadini del Sud dovevano essere i soggetti della strategia rivoluzionaria di Gramsci. Ma prima di lui lo avevano capito e praticato in Sicilia Giovanni Orcel e Nicolò Alongi, dirigenti di mobilitazioni di massa che si scontravano con la violenza mafiosa. Nel secondo dopoguerra il Blocco del popolo vinse le elezioni regionali del 20 aprile 1947 perché era alla testa di un movimento con centinaia di migliaia di persone: braccianti, mezzadri e contadini poveri. A quella vittoria si rispose con la strage di Portella della Ginestra e l’alleanza della Democrazia cristiana con le destre. La riforma agraria del 1950, con fazzoletti di terra assegnati per sorteggio, diede il via a un flusso migratorio di più di un milione di persone. Questo dissanguamento demografico ha segnato un drastico ridimensionamento di sindacati e partiti che avevano diretto le lotte, scrivendo la pagina più intensa e drammatica della storia dell’antimafia. Nei decenni successivi le sinistre in Sicilia hanno avuto un ruolo sempre meno rilevante perché hanno perso gran parte della loro base sociale. Il Partito comunista ha cercato di tenersi a galla con il consociativismo. Ultimo sprazzo di luce: l’impegno di Pio La Torre contro la mafia e per la pace.

Nel resto d’Italia gli operai negli ultimi anni sono stati decimati dalla crisi e dalle delocalizzazioni. Con l’implosione del “socialismo reale”, il PCI (nel frattempo i socialisti erano stati spazzati via da Tangentopoli) ha celebrato alla Bolognina il suo passaggio ufficiale da partito di classe a partito d’opinione. Con il renzismo si ha la cancellazione di ogni traccia di sinistra. Adesso ci sono frammenti di ceto politico che cercano di sopravvivere e predicatori di alternative senza aggancio con la realtà. Come si esce da questo vicolo cieco? Penso che l’unica strada sia guardare alla società così come si presenta oggi: un panorama popolato da disoccupati, precari, lavoratori in nero, giovani senza futuro, immigrati costretti a un lavoro schiavistico. Questi potrebbero essere i soggetti di un nuovo blocco sociale, ma è un mondo frammentato e difficile da ricomporre, però è qui che si gioca non solo il futuro della sinistra, ma della democrazia.

Forse un riferimento al passato può giovare:  il piano del lavoro di Di Vittorio, il segretario della CGIL più combattivo e prestigioso, del 1949, era una risposta alla disoccupazione del suo tempo. Oggi un piano del lavoro deve rispondere alle attese di strati sociali emarginati. Con quali obiettivi?  Si potrebbe porre al centro la salvaguardia dell’ambiente, mettendo in sicurezza il territorio, edifici pubblici e abitazioni private.  Centri storici e periferie. Un grande cantiere che darebbe lavoro a milioni di persone. Ma ci vogliono grandi investimenti pubblici, in controtendenza rispetto ai canoni del neoliberismo. Per mutare rotta ci vorrebbe una mobilitazione che richiede una presenza diffusa sul territorio, smantellata negli ultimi anni. È un sogno? Lo rimarrà, se non ci si comincia a muovere in questa direzione. In Sicilia come altrove. Va da sé che questo è un discorso di lunga lena e non un manifesto per campagne elettorali.

Pubblicato su “Repubblica Palermo”, il 31 ottobre 2017, con il titolo: La sinistra deve ripartire dai disoccupati.