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La lotta per la casa a Palermo

Umberto Santino

La lotta per la casa a Palermo

Il problema della casa a Palermo è uno dei tanti (disoccupazione, acqua, inquinamento, per citarne qualcuno) che passano sotto la denominazione “emergenza”, per il loro venire alla superficie di tanto in tanto, ma in realtà rappresentano un bisogno che fa parte della vita quotidiana della città. La visibilità a volte è legata a eventi come il terremoto del ’68 che spinse gli abitanti del centro storico ad abbandonare le case pericolanti e ad occupare gli edifici dello Zen, ma nelle fasi successive (per esempio negli anni ’70) non c’è stato bisogno di fatti eccezionali. Migliaia di famiglie vivono in case fatiscenti, molte non hanno un tetto, qualcuno vive in macchina (e un mese fa è morto un senzatetto che abitava nella sua auto) e le condizioni di indigenza non permettono di accedere al mercato edilizio. Nessuna meraviglia se nel 2002 la lotta per la casa è ricomparsa sul proscenio palermitano, ancora una volta con l’occupazione della cattedrale. La cattedrale era già stata occupata nel 1975, quando a lottare per la casa erano migliaia di persone.
La lotta dei senzacasa, come altre lotte popolari, ha avuto sempre un rischio: quello di dar vita a una guerra tra poveri, discriminati sulla base della selezione clientelare, assieme all’altro di una possibile strumentalizzazione da parte di soggetti più o meno del giro mafioso, interessati a cavalcare le proteste, ma ha pure segnato nella storia recente della città esperienze significative di autoorganizzazione.


Dal ’68 a oggi

Dopo il terremoto del ’68 le occupazioni delle case dello Zen videro accanto ai senzacasa alcuni militanti del Pci e negli anni successivi in quel quartiere-dormitorio c’è stato un impegno continuativo di gruppi di Nuova sinistra, con la costituzione di un comitato che ha gestito una lunga vertenza con lo IACP (Istituto autonomo case popolari) con forme originali, come l’autogestione dei servizi e l’autotassazione, e per alcuni anni in un territorio privo di qualsiasi presidio sanitario ha operato un ambulatorio dei medici del Manifesto. Lo Zen è stato per anni il terreno di formazione di una generazione di militanti e il laboratorio delle lotte popolari della città, con iniziative unitarie ma pure con scontri tra le varie formazioni.
Negli anni ’70 la lotta per la casa fu organizzata da due raggruppamenti (il Coordinamento case pericolanti con Democrazia proletaria e i Comitati di lotta con Lotta continua) che, pur con le immancabili competizioni egemoniche, hanno saputo trovare la strada dell’unità nella richiesta della requisizione delle case private sfitte, nella produzione di una documentazione adeguata, nell’evitare la guerra tra poveri. L’occupazione della cattedrale, da parte di un gruppo guidato da Mauro Rostagno, fu il fatto più eclatante, ma quel movimento ebbe il merito di dare una dimensione politica e propositiva a una lotta che rischiava di esaurirsi nella protesta.
Le lotte riprendono negli anni ’80 e ’90 nei quartieri del centro storico e in particolare all’Albergheria, dove era nato il Centro sociale “San Saverio” ad opera, tra gli altri, di don Cosimo Scordato, Nino Rocca, Maria Di Carlo e Augusto Cavadi, con la costituzione di comitati e con assemblee popolari che pongono il problema del risanamento edilizio all’interno di un progetto di sviluppo della città. L’opuscolo Ricostruire Palermo. Un centro sociale in ogni quartiere, del Centro Impastato e del Centro San Saverio, voleva essere il vademecum per la costruzione di una rete sociale fondata sulla partecipazione degli abitanti e in particolare degli strati popolari.
Qualcuno trova da ridire sul fatto che i senzacasa ancora una volta sono tornati nel duomo di Palermo. Occupare la cattedrale è dare visibilità a una mobilitazione che rischia di passare inosservata e gli occupanti non intendono impedire o disturbare le funzioni e profanare il luogo sacro.


Le case dei mafiosi ai senzacasa

Nel 2002, sotto le volte del portico della cattedrale, i senzacasa e chi appoggiava la loro iniziativa (tra i più attivi Nino Rocca e Pietro Milazzo, però più a titolo personale che per il Centro San Saverio e per la Cgil di cui erano dirigenti, il centro sociale Ex Karcere, chi scrive dava una mano) hanno pensato che si potesse rispondere all’amministrazione comunale che lamentava la mancanza di case, proponendo di utilizzare le case confiscate ai mafiosi.
La proposta è diventata uno dei punti qualificanti della piattaforma. Abbiamo incontrato il prefetto che ha bocciato la proposta, asserendo che le case dei mafiosi potevano essere utilizzate solo per usi pubblici, come caserme, alloggi per le forze dell’ordine, uffici, scuole, sedi per centri e associazioni. Ci siamo rivolti all’ufficio centrale di Libera sui beni confiscati (il responsabile era Giovanni Colussi) e si è concordata una linea che ampliava le possibilità di destinazione dei beni: potevano diventare case-parcheggio in attesa di alloggi da assegnare definitivamente e ospitare servizi sociali per gli inquilini e per il quartiere. Quella linea, sostenuta da Libera Palermo, in particolare con Giovanni Abbagnato, e da Libera scuola con la responsabile Pia Blandano e il progetto “La scuola adotta un bene confiscato”, fu appoggiata dall’allora Commissario governativo per i beni confiscati Margherita Vallefuoco e ha dato i suoi frutti: una trentina di alloggi sono stati assegnati temporaneamente ai più bisognosi. Successivamente il governo di centrodestra ha “licenziato” la Vallefuoco e abolito l’ufficio, affidando i beni confiscati al Demanio, oberato già da troppi compiti. Così non solo per le case ma anche per tutti gli altri beni confiscati si è prodotto un allungamento di tempi che somiglia alla paralisi. Del resto più volte durante il governo Berlusconi si è avanzata la proposta di rendere temporanea la confisca, consentendo ai mafiosi di rientrare prima o poi nella proprietà.
L’attuale occupazione ripropone il problema. E se è prevedibile il comportamento del sindaco e di qualche altro che grida allo scandalo per la “profanazione” del luogo sacro, viene rivolto un preciso interrogativo alle forze del centrosinistra, di opposizione e di governo: si vuole fare sul serio la lotta alla mafia? Allora rilanciare la confisca dei beni, che ha avuto una caduta verticale negli ultimi anni (nel 2001 i beni confiscati erano 310, nel 2004 solo 10), e assegnarli con procedura abbreviata è una strada obbligata e per imboccarla occorre ricostituire il Commissariato o istituire un’agenzia speciale. E la Regione siciliana, in cui è concentrato quasi il 50 per cento dei beni confiscati, deve dotarsi di una legge apposita.


La chiesa casa di tutti?

Nel 2002, nei giorni del festino di Santa Rosalia, la Curia non ha saputo fare di meglio che chiedere lo sgombero forzoso degli occupanti e da quella esperienza nacque il Comitato 12 luglio; ora ha sospeso le funzioni e per qualche giorno chiuso i gabinetti. Proprio in questi giorni Tony Pellicane, portavoce del Comitato, e gli altri denunciati per interruzione di funzioni pubbliche sono stati prosciolti, ma gli attuali occupanti vivono un isolamento immeritato.
Nelle settimane precedenti la cattedrale era stata occupata da ex detenuti che hanno paralizzato la città, bloccando il porto e interrompendo il traffico. Ora hanno occupato l’ex centro stampa dei mondiali di calcio del ’90. Chiedono di essere inseriti nella lunga lista dei precari.
Anche loro rappresentano un bisogno effettivo, in forme e con obiettivi discutibili, e più d’uno è indotto a fare di ogni erba un fascio. Con i senzacasa una parte piccola ma significativa del popolo di Palermo è stata conquistata alla mobilitazione antimafia non con le prediche sull’illegalità ma con la prospettiva di soddisfacimento di un bisogno concreto. Si è aperta un’esperienza di antimafia sociale che andrebbe incoraggiata ed estesa, non ostacolata e archiviata. E se il rischio della guerra tra poveri c’è sempre (come è avvenuto per le case di via Mozambico, contese tra assegnatari e occupanti), anche su questo la lotta di questi anni ha qualcosa da insegnare: qualcuno degli assegnatari delle case confiscate è in prima fila e non si è tirato indietro una volta accolta la sua richiesta. Questi aspetti possono preoccupare i politici che hanno sempre speculato sul bisogno ma dovrebbero interessare tutti coloro che concepiscono l’antimafia come una strada che si percorre quotidianamente e non solo come una fiaccolata annuale. Alla chiesa di Palermo si chiede una scelta: stare dalla parte di chi ha bisogno e non replicare le scene del passato, con lo “sgombero degli assedianti”. Non sono loro i mercanti da cacciare dal tempio, ma evidentemente i mercanti nel tempio hanno il diritto di starci, come la Dc per mezzo secolo e ora gli atei-devoti, tanto cari al papa attuale. E non basta che qualche prete abbia dichiarato che la chiesa dev’essere la casa di tutti e non c’è ragione di non dir messa con i senzacasa in cattedrale. Troppo poco. Accanto ai senzatetto sono stati solo Accanto ai senzatetto sono stati solo i comboniani, con padre Alex Zanotelli, e don Baldassare Meli, che ha dovuto lasciare l’Albergheria e il suo lavoro con gli immigrati e contro i pedofili. Intanto una città come Palermo spende tre milioni e mezzo per feste e processioni. E’ questa la religiosità che la Chiesa promuove: i santi-patroni di quartiere e la pandemia di statue di Padre Pio?

Qualche dato. Da una ricerca sul fabbisogno abitativo condotta dall’Università di Palermo risulta che da qui al 2011 occorrerebbero 18.000 alloggi, cioè bisognerebbe disporre di 3.000 alloggi all’anno. La giunta comunale non ha nessun programma per fare fronte a questo fabbisogno.
Le domande presentate per avere un alloggio popolare sono oltre 10.000 e la graduatoria, ferma da anni, è stata pubblicata solo in seguito alle manifestazioni dei senzacaza.
Gli abusivi, cioè gli occupanti di case popolari assegnate ad altri, sono 3.500.
Dal 2005 al 2008 dovrebbero essere pronti 680 alloggi con interventi di edilizia sovvenzionata.
Nel centro storico, in gran parte ancora con le rovine della guerra, si concentra un patrimonio edilizio di 10.000 alloggi, molti dei quali degradati, fatiscenti e disabitati. Il Comune in tre anni ha realizzato solo 69 alloggi ERP (Edilizia residenziale pubblica).
Nel 2003 si era costituita una commissione formata da rappresentanti degli uffici comunali e del Comitato dei senzacasa per stimolare l’azione del Demanio e del Comune al fine di tamponare le situazioni d’urgenza con l’assegnazione provvisoria di alloggi confiscati ai mafiosi. Nel 2005 la Commissione è stata abolita e l’assessore comunale si è attribuito un potere insindacabile sulla gestione dei beni confiscati. Le manifestazioni in corso nascono da impegni disattesi e tra le richieste c’è la ricostituzione della Commissione, con la Prefettura in funzione di garante.