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Il volto ripulito della mafia

Amelia Crisantino

Il volto ripulito della mafia

“Calati juncu ca passa la china”, poche parole per tutta una filosofia elaborata in secoli di sofferta sopravvivenza. Un detto di cui la mafia s’è appropriata, modificandone leggermente il significato: l’abbassarsi come un giunco finché non passa la piena dell’avverso destino diventa uno strategico acquattarsi, fidando nello scorrere del tempo e nell’intorbidarsi della memoria. E’ sempre andata bene, perché la logica dell’emergenza con cui lo Stato ha avversato la mafia sin dal suo formarsi ha fatto sì che, fra una piena e l’altra, i giunchi potessero crescere e fortificarsi.
Le piene passano, passano sempre. Ma sul terreno possono lasciare residui alluvionali: sassi, terriccio, tronchi che ostacolano la pronta ripresa della vegetazione. L’istinto di sopravvivenza suggerisce di adattarsi e lavorare a rimuovere gli ostacoli, strisciare sotto un tronco per rispuntare più forti dall’altro lato. E figurarsi come dev’esser triste sentire attorno a sé tutto un fervere di vita e sentirsi schiacciati da un macigno che rischia di diventare pietra tombale. A questo punto, trattandosi di uomini sempre molto religiosi, si recita un’ultima preghiera e si cerca di concludere qualcosa perché, per restare in tema di proverbi, non è fra i peggiori quello che recita “aiutati che Dio ti aiuta”.
Succede che, atterrata dagli ergastoli e dal 41 bis, l’ala politica di Cosa Nostra tenti di reagire.
I fatti. Sui giornali ha trovato ampio spazio una bizzarra proposta del boss Pietro Aglieri, il quale chiede che lo Stato organizzi un’assemblea generale, un summit fra i boss in carcere per ragionare del futuro di Cosa Nostra. Ordine del giorno: ammissione di far parte di Cosa Nostra, successiva e immediata dichiarazione di resa allo Stato, consegna delle armi. Ai suoi “colleghi” non propone di collaborare, né di dissociarsi: loro sono uomini d’onore e non fanno gli infami con gli sbirri. Basta ammettere le proprie responsabilità, non c’è bisogno di accusare gli altri. Insomma propone un momento di autocoscienza, un confronto leale e aperto da cui non possono che scaturire risultati positivi. Aglieri si propone come soggetto politico, in grado di contrattare la fine di un’organizzazione segreta come fosse un partito. Adotta il registro linguistico più adatto, sembra un sottosegretario mentre auspica “soluzioni alternative e generali, interlocutori lungimiranti”. Propone che i boss ammettano d’essere mafiosi e consegnino le armi, in cambio di “indagini più giuste” e della revisione dei processi.
Pietro Aglieri, capo mandamento di Palermo e uomo di Provenzano, è stato arrestato nel 1997 a Bagheria mentre aveva con sé molti libri di religione e di filosofia, così devoto da allestire un altare nel suo rifugio. È referente per l’ala politica di Cosa Nostra, quella che ha subito le intemperanze stragiste dei corleonesi. Visto che alla sanguinaria strategia dei corleonesi si deve il giro di vite dello Stato, Aglieri avrà avuto il suo daffare per elaborare una strategia unitaria; pare che già da 18 mesi stia provando ad intavolare una trattativa. Tutto un tessere contatti, rapporti, richieste e concessioni, pare che molti lo prendano sul serio. Non si sa cosa deciderà Riina ma un suo uomo ha partecipato all’elaborazione della proposta, che è stata controfirmata da Provenzano.
Anche l’ultimo boss catturato, preso in un ovile che se l’avessimo visto in un film avremmo detto oddio, ancora le campagne e le pecore, le tasche piene di santini con l’immancabile Padre Pio in pole position, anche lui pare che sia d’accordo ad offrire allo Stato la resa di Cosa Nostra. Anche lui uomo di Provenzano, aveva nella busta di plastica piena di appunti e messaggi che portava con sé un’ultima comunicazione del suo capo, proprio del giorno prima: le istruzioni su come comportarsi con alcuni appalti. Quindi: pronti ad ammettere appartenenze e ad arrendersi, ma gli affari sono affari.
L’ala politica di Cosa Nostra e Aglieri, sua avanguardia organica, ben conoscono gli interessi dell’organizzazione. Quello che offrono in cambio di una revisione dei processi e un regime carcerario più mite è un’ammissione di appartenenza e parziale colpevolezza. Mai che si parli di cose importanti e proiettate nel futuro invece che nel passato, cioè degli appalti e dei soldi.
Proviamo a capire la situazione. Aglieri e i politici di Cosa Nostra sempre stati contrari alle stragi, loro sono per la navigazione sottocosta senza mai dimenticare di controllare il territorio. E ora viviamo un momento politico che si configura come il paese di Bengodi per il mafioso pulitino: il volume di affari della criminalità organizzata è in crescita, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è sempre più sfumato, fioccano le condanne di risarcimento danni per chi si azzarda a parlare o scrivere, denunciando quello che magari tutti sanno ma non si deve dire. I magistrati vengono pesantemente attaccati, i reati finanziari sono cancellati, lo scambio di documenti all’interno della Comunità Europea è ostacolato, un ministro della Repubblica dichiara che con la mafia bisogna imparare a convivere. E loro in carcere, regime duro. Con le nuove leve che fanno affari d’oro. Sembra che a volte il destino sia proprio beffardo… Quando si realizza quello che per cui sempre hanno lavorato, loro sono in carcere.

Pubblicato su “la Repubblica Palermo”, 23 aprile 2002